Se la cultura pop ci ha insegnato qualcosa, è che il miglior modo per prendersi una rivincita su qualcuno che ti ha fatto incazzare è di pubblicare una canzone che lo sputtani. Che si tratti di Sun Kil Moon vs War On Drugs, Frankee vs Eamon o Childish Gambino vs The World, tutti hanno lavato i panni sporchi in pubblico almeno una volta. Dopo “War On Drugs, Suck My Cock”, che è praticamente la versione musicale di uno che si scaccola, si pulisce il dito su un’altra persona e scappa, avevo quasi perso le speranze nella diss track come modo efficace di rispondere a un’offesa. Ma poi ho scoperto questa traccia inedita dei Cure.
Essendo una delle prime band a ottenere successo commerciale prima che il rock alternativo fosse effettivamente accettato dal mainstream, i Cure hanno accumulato così tanto materiale nel corso di 40 anni di carriera che nemmeno una compilation di B-side e rarità da quattro dischi riesce a raccoglierlo tutto. Naturalmente, tantissime tracce sono rimaste fuori, incluse: circa 500 versioni alternative di “All Mine”, una cover del tema di Mission Impossible (suonata ad un soundcheck a Vienna nel 1996) e una canzone che racconta la disputa che la band ha avuto con la rivista musicale NME, intitolata “Desperate Journalist”.
Videos by VICE
Registrata durante una Peel session nel 1979, “Desperate Journalist” (a volte citata con il titolo completo: “Desperate Journalist In Ongoing Meaningful Review Situation”) è una versione di “Grinding Halt” con il testo cambiato per prendere in giro la famosa recensione negativa scritta dal giornalista di NME Paul Morley su Three Imaginary Boys. Nel dettaglio, Paul Morley descrive Robert Smith come “una lampada da terra”.
La traccia è, volendo descriverla in tre parole, bella fottutamente punk. Niente dice “vaffanculo, Paul” come prendere una canzone di un album che lui ha preso in giro e descritto come “schiuma senza sostanza” e cambiare il testo per prendere in giro lui come essere umano (“Tutto si ferma all’improvviso / Uso parole così lunghe”). Estraendo frasi dalla recensione e urlandole sopra il drum beat in 4/4 con un tono assolutamente petulante come soltanto un gruppo punk inglese sarebbe riuscito a fare, Robert Smith prende tutti gli insulti e le ingiurie che Morley ha rivolto ai Cure proprio all’inizio della loro carriera e li usa per criticare la natura stessa del giornalismo musicale. “Usa parole lunghe come semiotica e semolino”, dice Smith, riferendosi a un altro giornalista di NME, Ian Penman, “Ma io ribatto con enigma e metropoli”.
Quando senti la semplicistica aggressività della new wave e del post-punk andare a braccetto con frasi come: “I ragazzi ci danno dentro di simbolismo insignificante e lo mescolano con un’obliquità rude e senz’anima” o “A volte sembrano un John Otway avant-garde o uno spirito cattivo”, diventa impossibile prendere la recensione sul serio. Alla fine, è difficile stabilire chi ne esce peggio: Paul Morley o l’intero concetto della recensione di album (o, come la chiama Robert Smith, una “insalata di parole”).
Di base è il miglior dissing che nessuno abbia mai sentito. Quindi ascoltiamolo adesso.
La versione originale di questo articolo è uscita su Noisey UK.