Il 2018 è stato un anno fenomenale per la musica fatta con la chitarra. In un’epoca dominata dal pop in cui i critici sembrano entrare in crisi ciclicamente ogni sei mesi e dichiarare morto il rock, il 2018 ha dato a tutti un sospiro di sollievo, con una scuderia di nuovi artisti che hanno portato il genere ad altezze prima sconosciute. Ancora più interessante è il fatto che i nuovi nomi che hanno avuto un impatto maggiore sono sempre stati nomi femminili: Sophie Allison delle Soccer Mommy; Lindsey Jordan di Snail Mail; Lucy Dacus, Phoebe Bridgers e Julien Baker, tre artiste soliste che, nel 2018, hanno anche iniziato a suonare insieme con il progetto boygenius.
È un fatto importante, per ovvi motivi. Il rock è un genere che ha sempre tenuto fuori le donne: i suoi annali sono pieni di volti maschili e anno dopo anno quintetti di giovani pallidi sono portati in trionfo come i nuovi salvatori dell’indie, di solito da critici maschi. E nonostante il fatto che da Sister Rosetta Tharpe fino a Mitski e St Vincent le donne abbiano sempre fatto musica con le chitarre innovativa fin dall’alba del rock, è ancora molto più difficile per le artiste donne sfondare nell’opinione pubblica come musiciste rock. Anzi, è già straordinario che una donna lasci il segno tanto quanto queste musiciste hanno fatto nel 2018, specialmente quando la vita quotidiana di una donna in tour è ancora intrisa di sessismo.
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In una tavola rotonda organizzata dal New York Times e pubblicata nel settembre del 2017, alcune musiciste rock donne (tra cui Allison e Jordan) hanno parlato del pregiudizio di genere nell’industria. Si andava da venire scambiate per il tour manager o una fan della propria band, a richieste di foto di nudo dopo aver rifiutato una collaborazione musicale. Tuttavia, nonostante l’ordinarietà di esperienze come queste, c’è spesso la percezione diffusa che la misoginia nel rock sia ormai finita. Poco tempo, parlando con The Fader , Matty Healy dei 1975 (che è anche comproprietario dell’etichetta Dirty Hit, che ha una scuderia a predominanza femminile) ha detto che “la misoginia non esiste più nel rock and roll”. E per quanto Healy abbia chiarito e si sia scusato per questo commento, suggerisce l’idea che siccome di recente le donne sono più visibili nella musica rock, non devono più affrontare lo storico problema del genere.
Naturalmente lo devono affrontare eccome, ed è un’ulteriore dimostrazione di talento e resilienza che abbiano dovuto affrontare pressioni che gli uomini non devono affrontare e siano comunque riuscite a fare una parte (praticamente tutta) dei lavori migliori che esistano nel genere. Non stupisce che i critici nel 2018 urlino ai quattro venti il successo delle donne nella musica rock: la predominanza artistica delle donne nel genere era attesissima, ed è arrivata in un momento in cui la musica con le chitarre non è ancora così accomodante verso le persone che non sono uomini bianchi cisgender.
Nel corso dell’anno abbiamo visto articoli su articoli su un “movimento” o “scena” di donne nell’indie rock, alcuni che raggruppavano vagamente artiste donne per il loro stile di scrittura dei testi (molte delle donne coinvolte scrivono musica diaristica, che parla delle loro esperienze personali), altri che riconoscevano che ciò che unisce queste donne è perlopiù il fatto di essere donne. Anch’io, intervistando varie artiste coinvolte nell’attuale esplosione femminile in varie aree del rock, ho chiesto loro delle comunità che hanno formato insieme ad altre musiciste e di come questo le abbia aiutate in senso personale e artistico.
È allettante creare una narrazione che pone queste artiste l’una vicina all’altra come bastioni di un nuovo “movimento” nella musica rock, anche se non la pensano più di tanto così nemmeno loro stesse. Sophie Allison, la caustica leader delle Soccer Mommy, il cui scintillante diario da cameretta sotto forma di disco, Clean, è uscito quest’anno, mi ha detto al telefono: “Mi chiedono sempre di questo movimento, ma io non ne faccio parte. Non ho fatto niente in quel senso, non conosco questa gente con cui mi associano tutto il tempo”. Le sue parole indicano che per quanto la rappresentazione delle donne in ogni livello dell’industria musicale debba crescere, e per quanto il mero numero di donne nei gruppi rock esordienti sia una lente interessante attraverso cui osservare l’anno passato, quando ci concentriamo esclusivamente sul genere e su chi questi musicisti sono invece che su cosa stanno facendo, stiamo svilendo il loro lavoro.
Lindsey Jordan di Snail Mail concorda. Mi chiama dal terminal delle partenze all’aeroporto di Heathrow, subito dopo aver concluso il suo tour più lungo. Ha passato gli ultimi mesi a promuovere il suo primo album Lush, che al momento si trova ai primi posti di quasi ogni classifica di fine anno, ed è ufficialmente al quarto posto in quella di Noisey America. È una delle rivelazioni dell’anno: sveglia, divertente, attenta; eppure, molto spesso, gran parte di quello che si scrive su di lei ha a che fare con il suo genere o la sua sessualità, o entrambe le cose. Francamente, quando le chiedo come si sente a dover costantemente discutere la sua posizione come Donna Del Rock, Jordan sembra davvero esaurita: “Una volta mi arrabbiavo molto di più, specialmente perché il giro stampa era molto più intenso”, dice. “Ne parlavo tipo dieci volte al giorno, non esagero. Mi identifico come donna e mi identifico come gay, ma parlare di queste cose non ha nulla a che fare con il motivo per cui ho iniziato a suonare. Mi vedo semplicemente come un’autrice e una musicista”.
Allison ha espresso la sua frustrazione pubblicamente per questo tipo di intervista incentrata sul genere. Ha detto di trovarla un’esperienza sminuente: “Semplicemente, non è un obbligo per ogni donna quello di spiegare a tutti la roba fastidiosa che le succede ogni giorno, e spiegare a tutti quali battaglie deve combattere, così può essere trattata meglio”, dichiara. “Ovviamente è una cosa molto importante, ma tu sei più di quello, non sei soltanto una donna e nient’altro. Ci sono vari strati”.
Uno dei motivi che l’etichetta “Donne Del Rock” è largamente disutile, è che gli uomini non sono categoricamente coperti dalla stampa musicale nello stesso modo. A parte quando condividono un’origine geografica comune (come, per esempio, le scene indie di Camden e di Birmingham, perlopiù create a tavolino da NME nel corso degli ultimi 15 anni), i musicisti maschi non vengono messi nello stesso gruppo di altra gente che non fa musica molto simile a loro solo perché sono maschi. Eppure, non è raro incrociare articoli che individuano artiste palesemente diverse come Snail Mail, che fa pop-rock aggressivo, e Julian Baker, che suona un folk rock cupo e maturo, come parte della stessa “scena”. Per quanto entrambe siano musiciste introspettive e personali che suonano la chitarra, le similitudini generalmente finiscono qui, e connessioni come questa, per Jordan, sono semplicemente pigre. “Penso che gran parte dei paragoni che vengono fatti per Snail Mail siano con artiste molto diverse da me”, dice. “Tutte queste artiste mettono molto impegno nei loro progetti, e penso che a nessuna faccia piacere essere usata come simbolo di rappresentanza”.
Questo non vuol dire che collegare artiste donne sia sempre o senza senso o una brutta cosa: è difficile, per esempio, non pensare alle tre componenti delle boygenius (Dacus, Bridgers e Baker) come a un gruppo di artiste legate da uno stile condiviso o da un particolare tipo di introspezione lirica. Tutte e tre suonano la chitarra e hanno un certo gusto per l’autoironia e l’autoanalisi, e la condivisione di qualità e interessi significa che stiano naturalmente bene l’una insieme alle altre, viaggiano su binari paralleli. Ma omologarle interamente, riferendosi a loro come un’unità, una singola “scena” o “movimento” in cui tutte fanno la stessa cosa, significa ignorare proprio la cosa migliore delle boygenius, cioè le particolarità individuali di ognuna: il senso dell’umorismo di Bridgers, il timbro scuro di Dacus che fa da fondamento per le altre due e la tecnica superlativa di Baker come chitarrista sono caratteristiche che vengono amplificate dal contesto della band.
Qualcosa di simile si potrebbe dire di Soccer Mommy e Snail Mail. Per quanto non suonino assieme, sono punti di riferimento sensati l’una per l’altra. Sono contemporanee, hanno suonato agli stessi concertini casalinghi, ed entrambe concordano che la loro musica abbia ciò che Allison chiama “lo stesso livello di energia e stile”. Per Jordan, tuttavia, è importante evidenziare che paragonare in continuazione i due act non fa bene a nessuna: “Non voglio parlare per Sophie ma penso che venire paragonate perché siamo entrambe donne giovani sia fastidioso”. Poi continua lodando la sua amica e collega: “Penso che abbia molta integrità come songwriter e che la sua musica sia così speciale che penso sempre che, quando la gente ci collega, una parte del suo duro lavoro vada perduta. Soccer Mommy è una band molto speciale. Lei e io siamo autrici diverse e ogni volta che vedo quel tipo di paragone mi dispiace perché vorrei che la gente prestasse attenzione a quel disco per quello che è, sarebbe a dire una cosa incredibile”.
Jordan ha ragione. L’album delle Soccer Mommy Clean, come tutti gli album fatti da musiciste talentuose che sono state tirate dentro a questa “ondata di musiciste donne indie”, si merita spazio per respirare. È abbastanza sostanzioso da restare in piedi da solo e non ha bisogno di alcun punto di riferimento. Ma insistendo sui paragoni ed enfatizzando l’importanza del “movimento” delle Donne Del Rock invece di quella di artiste e opere individuali, i critici musicali implicano che sia quello, non la musica, a essere degno di nota. Ciò, d’altro canto, dà l’idea che le donne che fanno musica rock sono viste come una “scena” che avviene in un momento temporale, che è arrivato ma che prima o poi passerà. Non sarebbe forse meglio approcciarsi all’attuale egemonia delle donne sul mondo rock come se fosse normale? Invece di rendere il loro genere e la loro identità la parte più importante di ogni articolo?
Lucy Dacus spera che ci troviamo a un punto di svolta nella concezione delle donne da parte della stampa musicale e dei fan. Ci siamo incontrate a fine ottobre per un’intervista prima di un suo concerto a Londra in supporto del suo secondo disco Historian, e lei mi ha raccontato di quanto le boygenius abbiano aumentato le sue speranze per il futuro: “Penso che Phoebe e Julien e io siamo state più disponibili a parlare [dell’essere donne che fanno musica] nel corso di questa storia delle boygenius, perché lo capiamo, siamo tutte insieme. E penso che la conclusione più importante a cui siamo giunte è che non siamo in competizione. Coesistiamo e cresciamo insieme e lavoriamo insieme. È così che dovrebbe essere. Penso che la cosa più pericolosa sia quando le donne si sentono come se ci fosse uno spazio limitato e debbano competere per occuparlo”.
Per come la vede lei, la cosa migliore che può venire dalla dominazione delle donne nell’indie rock è che essere un’artista donna diventi semplicemente la norma. Spera che la gente capisca che “non è un trend, semplicemente si parlerà della tua musica se è bella. Capisci?”
Anche Allison e Jordan sperano che si parlerà di donne in modo più ampio in futuro. Nonostante entrambe abbiano creato lavori che hanno ispirato analisi attente e studiate (gli esempi sono numerosi: Jenn Pelly su Clean e Daisy Jones su Lush sono due dei migliori) quando queste artiste sono intervistate il focus è raramente su ciò che hanno creato e più su quello che sono. Jordan, in quella che è davvero una triste rivelazione, mi dice di parlare della sua musica “molto raramente”, cosa che le sembra un peccato quando “il cuore di quello che sta succedendo, il motivo per cui la gente sembra entrare in connessione con Snail Mail è semplicemente me, da sola, a scrivere. Ne parlo raramente, mi sembra di star sempre parlando del fatto di essere gay o di cose del genere”. Allison, in maniera simile, mi dice: “Parlerei più volentieri della mia scrittura, dei problemi che metto nelle canzoni, o semplicemente di cose che sono davvero importanti per me, come l’ansia o la percezione del proprio corpo”.
È stupefacente che due delle artiste più brillanti dell’anno, che hanno pubblicato album lodati da ogni pubblicazione e divorati dagli ascoltatori, sentano di aver a malapena parlato di ciò che hanno fatto. Le loro parole, forse, possono essere una sveglia per quella stampa musicale che è stata, comprensibilmente, così colpita dalla iniezione di forza che le donne hanno fatto al rock da mettere spesso le identity politics davanti alla musica stessa. Perché, come fa notare Jordan, la musica è davvero la parte più interessante: “Penso di essere un’autrice prima di ogni altra cosa, quindi naturalmente è quello di cui mi sentirei più a mio agio a parlare, perché è la cosa che mi dà più gioia. In ogni momento della mia vita io vorrei scrivere”.
Nonostante sia inevitabile che l’identità di un artista condizioni ogni aspetto del suo lavoro, se abbiamo imparato qualcosa nel 2018 è che, da questo momento in avanti, non c’è più bisogno che questa sia tutta la storia. Nel 2019, speriamo che “Donne Del Rock” come etichetta di genere muoia definitivamente e che i fan e i critici allo stesso modo possano iniziare a trattare le donne come autrici nel rock, strumentiste nel rock e creatrici nel rock, sempre con il rispetto che si meritano come musiciste in cima al mondo.
Lauren è su Twitter.
La versione originale di questo articolo è stata pubblicata da Noisey UK.