Questa è ASK VICE: la serie in cui scrivi e i nostri advice columnist rispondono, con l’aiuto di figure esperte. Oggi a scriverci è R.
Ciao VICE,
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penso sempre più spesso che vorrei fare sesso con un mio carissimo amico. Solo che per me è molto strano: non sono mai stato attratto dagli uomini in questi ventitré anni. Certo, so riconoscere se qualcuno è un bel ragazzo, l’ho sempre detto ma—davvero—con zero interesse sessuale. Quello è stato sempre al 100 percento verso le ragazze.
Ora invece faccio pensieri sconci quando vedo il mio amico, quando cerco apposta i suoi profili, quando mi masturbo. Mi capitava già saltuariamente di farli, questi pensieri, ma credo che la loro frequenza sia aumentata esponenzialmente quando sei mesi fa si è lasciato con la sua tipa e—è bisessuale—ha iniziato ad avere incontri sessuali anche con uomini. E in tutta risposta, senza che potessi evitarlo, mi sono detto: e perché con me no?
La cosa buffa è che ho pure guardato del porno gay per capirci di più, ma non mi è piaciuto. Preferisco ancora quello tra donne o uomo-donna. Solo che con lui sto da sempre fin troppo bene, e tutti i nostri momenti bromance mi fanno sentire senza difese. In fondo lui lo sa, e ci gioca parecchio. Come quando una settimana fa con la scusa (?) dell’ubriachezza mi ha dato un bacio a stampo dicendo che forse era meglio se stavamo a casa noi due invece di andare a ballare, e io gli ho risposto, “ma, dai, che cavolo fai, spostati” davanti a tutti.
Che cacchio succede? Se voglio fare sesso con lui, che significa? È possibile essere etero ma voler far sesso con l’unico ragazzo, bello come tanti, che però trovi irrimediabilmente affascinante? Se lo raccontassi a qualcuno, mi crederebbe? E se poi farci sesso non mi piacesse o mi piacesse troppo?
R.
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Ciao R.,
se dici di essere etero, lo sei. Definirsi è il primo passo per capire chi si è o come ci si sente e—anche se forse non ci si pensa spesso perché va per la maggiore—l’eterosessualità è un’etichetta come tutte le altre. Ma questo non esclude che tu abbia voglia di fare sesso con un singolo ragazzo, o che tu possa metterti in questioning (ovvero mettere in discussione, in questo caso, il tuo orientamento sessuale).
“Le etichette sono descrittive, non prescrittive,” chiarisce Stefano Verza, psicologo clinico, specializzato in come ambiente sociale e psico-sessualità dell’individuo influiscono l’uno sull’altra. “Il modo in cui ci descriviamo aiuta a presentarci al mondo, ma non è un fortezza granitica intorno a noi: possiamo entrare e uscire dai confini.”
Secondo Verza, ci sono tre elementi da prendere in considerazione. Innanzitutto, l’identità sessuale, che è appunto come ci percepiamo e ci presentiamo, ed è la lettura soggettiva che facciamo del complesso mosaico di cui è fatta la nostra sessualità (e tutto ciò che le sta intorno). Poi, l’orientamento sessuale, che è parte della nostra identità, e si riferisce all’attrazione fisica che proviamo per le altre persone. Infine, i comportamenti sessuali, cioè cosa facciamo all’atto pratico, che può essere una espressione totale, parziale o nulla del nostro orientamento sessuale. Per esempio, una persona può essere bisessuale senza aver mai fatto sesso con altre del suo stesso sesso. Oppure, appunto, una persona può essere eterosessuale e voler fare sesso con una dello stesso sesso.
A te magari di queste puntualizzazioni non importa granché, ma è per dire che il cortocircuito che stai provando afferisce a quella che credi sia una discrepanza, anche se in una piccola percentuale rispetto al tuo vissuto, tra quello che dici essere il tuo orientamento (eterosessuale) e l’attrazione che stai attualmente provando (per una persona del tuo stesso sesso). Ma lo è davvero?
“Spesso l’orientamento sessuale è da intendersi come orientamento sessuale prevalente,” spiega Verza, ma può capitare che quella piccola percentuale non venga mai espressa per via del contesto sociale, perché non ci capita di aver avuto l’occasione o perché magari si sviluppa in un altro momento della nostra vita. “La sessualità, nel suo complesso, è fluida e può mutare col tempo,” continua.
Ecco, quelle occasioni riguardano probabilmente proprio il tuo caro amico. “In generale, può darsi che non possa mai capitare nell’arco della vita un ‘errore di campionamento’ sulle nostre preferenze in base alle persone che abbiamo conosciuto: magari perché non esiste la possibilità, o magari perché non abbiamo mai incontrato nessuno che abbia messo in discussione il nostro orientamento,” continua Verza. “Imbattersi in una interferenza però, persino in una persona specifica, è uno scenario possibile.”
Qui le congetture abbondano, ma le risposte puoi dartele, se vorrai, solo tu, anche sentendo un esperto. Possiamo continuare però in questa sede a darti delle suggestioni, dato che dalla tua lettera emerge che le stai provando tutte per capirti, anche con un “apprezzabile approccio etologico-scientifico,” precisa Verza.
Prendi il porno, per esempio: è dimostrato che ciò che piace guardare a molte persone può non combaciare col sesso che gli piace praticare nella vita reale. “È il bello del porno, il fatto che nella tua stanza puoi esplorare tutte le tue fantasie, senza doverle necessariamente realizzare,” continua Verza. E può succedere esattamente il contrario: può piacerti o non piacerti per niente guardare quello che già fai o ti piacerebbe esplorare nella vita reale. Il porno ha spesso a che vedere più “con gli aspetti estetici e visivi,” continua Verza. Anche in questo caso, come vedi, le sfumature sono moltissime.
Per dirla diversamente, quando si parla di sessualità individuale i sillogismi non funzionano per forza: Se A è B, B è C, non per forza A sarà C. Da ciò che scrivi infatti emerge l’impressione che, in conseguenza a una confessione sulla situazione che vivi, i tuoi amici potrebbero non capirti. È qualcosa che potrebbe capitare, “si chiama eterodefinire,” spiega Verza. “Significa prestare maggiore attenzione alla nostra interpretazione (in questo caso sull’orientamento) che al vissuto soggettivo dell’altro. Ma quello che vediamo da fuori è sempre una fettina parziale di ciò che vive davvero chi si racconta.”
Dal punto di vista di Verza, le domande da porsi in questo caso sarebbero piuttosto: “Quali sono i motivi che mi spingono a pensare che i miei amici non possano credermi? Perché sento il bisogno che gli altri mi credano per sentire vera una mia esperienza?”
Non dovrebbero essere, poi, né i tuoi amici né noi a dirti: “Dai allora prova, e da questo tentativo ne trarrai così il verdetto definitivo.” Potrebbe anche rimanere una fantasia per del grande autoerotismo, come già sta succedendo. Oppure, potresti provare a scoprire cose inedite.
In questo secondo caso potrebbe non piacerti, e dovresti probabilmente domandarti: “Non mi è piaciuto perché ci stavo pensando troppo o non mi è piaciuto perché ho scoperto che non mi piace e basta?,” suggerisce Verza. O ancora: forse ho scambiato l’attrazione platonica (ovvero amicale), romantica (ovvero il trasporto emotivo) o estetica (ovvero per l’aspetto), o tutte insieme, per attrazione sessuale?
Oppure potrebbe piacerti o, come hai suggerito tu, “piacerti troppo.” E in quel caso cosa ci sarebbe di male? Al massimo tra qualche anno dirai a quei tuoi amici che pensi potrebbero darti un giudizio troppo affrettato che avevano ragione.
“Come direbbe Kinsey [che ha inventato l’omonima scala, altrimenti detta Heterosexual-Homosexual Rating Scale, primo tentativo di definire una sessualità più veritiera e fluida]: il mondo non è diviso in pecore e capre, non tutte le cose sono bianche o nere,” chiosa Verza. E tu, caro R., hai tutto il diritto di salire o scendere dalle scale tutte le volte che vuoi, di fermarti al gradino che preferisci o di cambiarlo se penserai sia il caso. Qua nessuno sta a contare i tuoi passi. Provaci un po’ meno anche tu, e pensa anche che in tutta questa situazione ad accompagnarti potrebbe esserci pure il tuo amico: hai provato, senza scansarlo, a parlargli sinceramente?
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