Rodrigo Duterte si è insediato come presidente delle Filippine un mese fa, minacciando la morte degli spacciatori e promettendo l’estensione a livello nazionale dell’approccio alla lotta contro il crimine che lo aveva già reso famoso come sindaco di Davao: quello dell’uso degli “Squadroni della morte.”
“Se sarò eletto presidente, non potrà esserci pulizia senza spargimento di sangue,” aveva dichiarato durante la campagna elettorale. Alla fine, si è scoperto che non era solo retorica: Duterte diceva sul serio.
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Nei primi 30 giorni dal suo insediamento, sulle strade delle Filippine sono stati uccisi in media 35 sospetti criminali al giorno, per mano della polizia o di vigilantes auto-dichiarati —un numero di morti pari a quello dei primi cinque mesi dell’anno.
“Sparategli e vi darò una medaglia,” aveva detto, parlando degli spacciatori.
Stando a una “Lista degli Omicidi” redatta dal Philippine Daily Inquirer, un giornale locale di punta, da quando è entrato in carica Duterte almeno 420 persone sono state uccise perché sospettate di essere spacciatori: 122 sarebbero stati ammazzati con colpi d’arma da fuoco sparati da uomini non identificati, i rimanenti sarebbero stati uccisi dalla polizia. Tra il primo gennaio e l’8 maggio 2016 – il giorno precedente all’elezione di Duterte – ne sarebbero state uccise 39.
La lista è stata compilata usando le segnalazioni dei giornalisti dell’Inquirer da tutte le Filippine. “La vera lista degli omicidi è molto, molto più lunga,” ha spiegato Sara Pacia, una dei giornalisti che coinvolto nel progetto.
Uno dei morti era Redentor Manalang, colpito alla testa da un proiettile domenica scorsa in una via residenziale di Pasay, a sud di Manila. Il suo corpo era afflosciato sul retro del suo triciclo per passeggeri, a cui era appeso un cartello insanguinato con su scritto: “Sono uno spacciatore. Non seguite il mio esempio.”
Più tardi a Pasay, quella notte, su una delle arterie principali del quartiere piangeva disperaga Jennelyn Olaire, mentre teneva tra le braccia il corpo del suo compagno, Michael Siaron. Il suo sangue le impregnava i vestiti e si asciugava sulla sua pelle: anche Siaron, un autista di bici-taxi, era stato colpito alla testa sempre da assalitori non identificati, che hanno lasciato un cartello con un messaggio simile a quello trovato vicino al corpo di Redentor.
Siaron aveva iniziato a fare uso di droghe l’anno prima, spiegava Olaires, insistendo sul fatto che non le vendesse. “Abbiamo comprato la cena con gli 80 pesos (1,50 euro) guadagnati oggi. Era uscito di nuovo per cercare di racimolare qualche soldo per la colazione,” dice. “Se davvero era uno spacciatore, come sospettavano, allora perché viviamo in una baracca accanto al fiume?”
“Chiunque gli abbia fatto questo è una persona tremendamente crudele,” ha aggiunto la sorella. “Hanno ucciso l’unica persona che ci manteneva.”
Sia Siaron che Manalang erano disarmati, ed erano consumatori di basso livello — due dei tanti coinvolti nella recente epidemia di metanfetamine che sta affliggendo il paese, e che sta rovinando la vita di quasi 100 milioni di persone. Secondo Jose Manuel Diokno, avvocato a capo della Free Legal Assistance Group, l’aumento degli omicidi extragiudiziali non aiuterà granché: “I poveri sono i più colpiti, non le persone che controllano il traffico di droga.”
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La Polizia Nazionale delle Filippine si è detta contraria alle uccisioni extragiudiziali: stando al Commissario Capo Dionardo Carlos, portavoce delle forze dell’ordine, ognuna di queste morti verrà considerata alla stregua di un normale omicidio.
Il sistema giudiziario delle Filippine, tuttavia, è noto per la sua inefficienza: stando a un recente studio, il paese godrebbe attualmente del più alto tasso di impunità criminale al mondo, davanti a Messico, Russia e Colombia. Un paese nel quale uomini armati girano sulle moto e continua a sparare alle persone in pubblico, senza la paura di essere scoperti e catturati, e nel quale la polizia sembra – sorprendentemente – non interessarsi a questo tipo di omicidi.
Stando alle statistiche della polizia, da luglio 2015 a luglio 2016, a Manila, il crimine è diminuito complessivamente del 38 per cento. Ma i numeri indicano anche un altro dato: i crimini per droga saranno anche diminuiti, ma ci sarebbe stato anche un aumento del 57 per cento degli assassinii premeditati, e un aumento del 125 per cento degli omicidi.
“Siamo stufi di dover imbalsamare i morti, ce ne sono troppi.”
Centinaia di migliaia di spacciatori e consumatori si stanno arrendendo alla polizia, sperando di evitare la morte per mano dei vigilantes armati, lasciati liberi di sorvegliare le strade.
Dopotutto, è il presidente in persona ad aver dato alle persone la licenza di farsi giustizia da soli. “Per favore, sentitevi liberi di chiamare noi, la polizia, o di farlo voi stessi se avete una pistola: avete il mio sostengo,” aveva detto Duterte in diretta sulla TV nazionale il mese scorso.
Quella stessa domenica, su una strada silenziosa di Pasay, il corpo di Ryan Alfred Esquivel era sdraiato a terra accanto al marciapiede, con un rivolo di sangue che sgocciolava lentamente verso il centro della strada. L’ennesimo cartello lo bollava come uno spacciatore. Almeno altre sette persone sarebbero state uccise quella notte, probabilmente dai vigilantes.
“Siamo stufi di dover imbalsamare i morti, ce ne sono troppi,” spiegava Alejandro Ormanita, l’imbalsamatore che stava raccogliendo il corpo di Esquivel. “Ma teniamo duro: lo stiamo facendo per il presidente.”
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