Mentre scrivo, a Londra è il weekend di apertura di Black Panther e tutta la stampa è in subbuglio. Quinto film di sempre per incassi, secondo film in un anno (dopo Get Out) a sfatare il vecchio motto degli studios hollywoodiani che “i protagonisti neri non fanno botteghino.”
È un sabato particolare, perché è anche il weekend di apertura di Lady Bird, una storia di formazione ambientata nell’ultimo anno di liceo di una ragazza californiana. Un piccolo film indipendente diretto da Greta Gerwig e magistralmente interpretato da Saoirse Ronan e Laurie Metcalf. Che sia il momento storico che prova a Hollywood che “le donne fanno botteghino”? Ci pensa l’unico giornalista maschio nella stanza a riportarci alla realtà: “Noi non abbiamo molte autrici… Io che sono caporedattore vedo quello che le nuove leve mi mandano e non sono molto brave.” Sentendo il rumore della polvere che si deposita sui mobili, decide di correggere il tiro: “Però a dirla tutta neanche gli uomini. È una questione d’età.”
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A dissipare la coltre di imbarazzo che si è creata entrano Greta Gerwig, prima candidatura all’Oscar, e Saoirse Ronan, terza candidatura all’Oscar—due donne piuttosto brave.
“Neanche nella mia immaginazione beccavamo cinque candidature,” dice Gerwig della recente buona notizia (è la quinta donna in novant’anni a ricevere una nomination come Migliore regista). “È un evento molto importante. Ammiro da sempre le donne che mi hanno aperto la strada—Kathryn Bigelow, che è la prima donna ad aver vinto come regista—e Sofia Coppola, che è stata candidata come miglior regista e ha vinto come miglior sceneggiatrice. Hanno avuto una risonanza incredibile nella mia vita. Mi hanno spronata, come persona che aveva una mezza intenzione di diventare sceneggiatrice e regista. Ciò che spero è che anche questo sia un momento di incoraggiamento per giovani donne che seguono gli Oscar e non hanno ancora fatto il proprio film.”
Per il suo esordio alla regia, Gerwig torna nella sua città d’origine, Sacramento. “È da anni che volevo ambientare un film a Sacramento. In un film che ho scritto con Noah Baumbach, Frances Ha, c’è una parte ambientata lì, e durante le riprese Sam Levy (che è anche il mio direttore della fotografia) mi ha detto, ‘Sarebbe fantastico girare qui un intero film.’ Quando ho cominciato a scrivere Lady Bird sapevo che quella era l’ambientazione,” spiega. “È un posto che adoro, è dove sono cresciuta, e oltretutto non è che sia una location che si vede in tutti i film. Ho una passione per i registi con uno specifico senso della geografia. I fratelli Dardenne offrono uno spaccato del Belgio molto preciso, Gus van Sant ha mostrato una sua versione del Pacifico nord-occidentale, Richard Linklater ha fatto lo stesso col Texas. Ci sono pochi mezzi che catturano il luoghi come lo fa il cinema, e sebbene per ora avessi scritto film ambientati a New York, che è una parte di me, Sacramento la conosco. Sacramento è la mia gente.”
Per Saoirse Ronan, assicurarsi di rappresentare fedelmente “la gente” di Greta Gerwig era imprescindibile. La sua prima conversazione con la regista è stata “sul suo accento, la sua maniera di parlare. Di solito è la mia prima preoccupazione,” racconta Ronan. “[Greta] non mi ha imposto un modo o un altro di parlare, ma quello è stato il punto di partenza della nostra conversazione. E poi, nell’anno prima delle riprese, ci siamo incontrate a New York con il resto del cast e abbiamo discusso di tutto. Abbiamo parlato della nostra esperienza personale a quell’età, e Greta ci ha incoraggiati a incorporare una parte di noi nei personaggi.” La parte più difficile dell’interpretare un’adolescente di Sacramento, però, è che “ero appena uscita dall’adolescenza. Avevo 22 anni, quando abbiamo girato il film. Per me l’adolescenza era ancora freschissima, un momento di cui ti dici ‘Cosa diavolo è successo?’ E la presenza di Greta è stata fondamentale. Mi ha mostrato le sue foto scolastiche, abbiamo parlato dei riferimenti culturali dell’epoca. I licei americani sono molto diversi dai licei irlandesi, e tutta la trafila di ammissione ai college, soprattutto post-11 settembre, era molto specifica. È stato utile avere qualcuno che ci era passato.”
Gerwig ha scelto un periodo specifico—il 2002—un periodo ancora quasi privo di schermi di computer, perché sapeva di poterlo capire di più e, quindi, dire di più. Il posizionamento post-11 settembre non è solo autobiografico (coincide con la fine della sua adolescenza) ma ha, per lei, anche un’importanza sociale. “Volevo ambientare il film dall’altro lato dell’11 settembre. È stato un trauma nazionale—ha scosso gli Stati Uniti per tutta la loro estensione, e ha avuto un impatto su chiunque, ma la portata di questo impatto stiamo iniziando a capirla solo ora. Allora, ci siamo buttati a capofitto nella guerra in Afghanistan, poi in Iraq. Cominciava a quei tempi l’erosione della middle class americana, che non ha fatto che continuare. Internet era in crescita, ma non era ancora dappertutto. A volte è più semplice guardare all’oggi attraverso la lente di un tempo passato. In un certo senso, in questo modo conosciamo già il mondo che [Lady Bird] abiterà in futuro.”
Guarda la nostra intervista alla scrittrice Chiara Barzini:
Il nome Lady Bird, dice Gerwig, è venuto fuori dal nulla. “La protagonista si chiamava Christine, ma quel nome mi creava una specie di blocco. Ho messo tutto da parte e ho scritto in cima a una pagina ‘Perché non mi chiami Lady Bird come mi avevi promesso?’ Non so da dove sia venuto. Non è un nome che ho scelto io, è spuntato fuori e basta. Quando ho rivisto quello che avevo scritto, non avevo idea di chi fosse quella persona. So che c’è una filastrocca che dice Lady Bird, Lady Bird, fly away home, e mi si dev’essere infilata in testa. È questa la parte misteriosa del processo di scrittura—non sai mai esattamente quando titoli, personaggi, scene difficili si risolvano da sole, ma lo fanno. Per Frances Ha è stato più o meno lo stesso: la protagonista, Frances Halladay, scrive il suo nome su un cartoncino per metterlo sulla cassetta della posta, ma lo scrive troppo lungo, e quindi le tocca piegarlo. Rimane scritto solo ‘Ha’. Il titolo è nato da lì ed era perfetto, con il fatto che anche la vita di Frances le calza… Ma non troppo. E per Lady Bird, una volta che la parte di scrittura ‘inconscia’ si è verificata, ha tutto avuto un senso—l’idea di darti un nome, e il fatto che sia un gesto molto sicuro di sé, ma allo stesso tempo può significare che chi sei non ti basta, c’è un elemento di insicurezza… Scrivere è strano.”
Saoirse Ronan ha definito Lady Bird come un film che “Ti fa venir voglia di chiamare la mamma.” Lei, la sua, l’ha chiamata stamattina: “Non ha risposto perché stava dormendo. Ecco un altro rapporto che va a farsi benedire.” Sua madre l’ha accompagnata sui set fino ai 18 anni: “Il primo progetto che ho fatto da sola è stato Grand Budapest Hotel. Fortunatamente eravamo in un posto minuscolo in Germania dove non va nessuno, quindi non c’erano pericoli, e lei non era preoccupata,” racconta. “Ma ha comunque trovato l’occasione per dire, ‘Guarda, passo comunque di lì, così ti abitui a stare in hotel’.”
Ronan, candidata al suo primo Oscar (per Espiazione) quando aveva 12 anni, è stata abituata dalla madre a un regime di non-eccessi: poche feste, niente hotel, ma appartamenti e cene cucinate a casa. Il loro rapporto (“siamo come le Gilmore Girls“) non è come il rapporto madre-figlia descritto in Lady Bird. Un rapporto che è la pietra angolare di tutta la narrazione. Perché Lady Bird è in primo luogo la storia di una figlia e di una madre.
“Quell’ultimo anno di scuola è più vivido degli altri,” dice Gerwig. “Perché è la fine, in un certo senso. O, se non altro, una certa versione di una certa vita sta finendo—non è che smetti mai di essere una madre o di essere una figlia, ma quella situazione precisa per cui si vive tutti sotto lo stesso tetto e tu, figlia, sei cresciuta ma sei ancora una bambina, poi finisce. È questa separazione che rende l’ultimo anno più intenso, e sembrava il punto giusto per raccontare questa storia.”
Anche perché, generalmente, il racconto di formazione è un racconto di formazione maschile. “Ci sono un sacco di film su giovani uomini che crescono, che diventano ‘persone’, film in cui li vediamo superare l’infanzia e trasformarsi,” dice Gerwig, cercando di motivare il successo del film. “Ma quando si tratta di giovani donne, solitamente la loro esistenza è confermata da una relazione amorosa (è il loro obiettivo finale, o se non altro una maniera del film di dirci che [la protagonista] sta bene). E a me raccontare una storia del genere non interessava. Di recente abbiamo visto sempre più film sulla vita di giovani donne, che siano Diario di una teenager di Marielle Heller, o Pariah di Dee Rees. Ed è indicativo che entrambe siano registe e parlino di donne. La gente è assetata di questo tipo di storie. E c’è domanda, in generale, per film raccontati da una più ampia varietà di persone. E non credo che sia una cosa che dobbiamo fare perché è la cosa giusta da fare (al di là del fatto che è la cosa giusta da fare) ma anche perché è una cosa redditizia,” aggiunge Gerwig facendo gli esempi di Wonder Woman, di Get Out, e di Black Panther.
Per poi concludere: “Li vogliamo davvero, questi film. Non è che li guardiamo per sentirci meglio, non è il doveroso ‘mangiare le verdure’. Al massimo è un gelato! A volte, quando parliamo di registe donna, ne parliamo come se dovesse a tutti costi essere una cosa seria e triste. Non è così.”