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Quattro cose da sapere sull’aggressione della Turchia contro i curdi in Siria

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I curdi siriani hanno sempre saputo che sarebbero stato traditi dagli Stati Uniti, ma nessuno poteva immaginarsi la velocità e brutalità di questo tradimento.

La settimana scorsa Trump ha infatti dichiarato su Twitter che non si metterà di traverso all’invasione turca dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est, gettando nello sconforto più totale la coalizione delle Forze Democratiche siriane (Fds) guidate dai curdi.

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Con questa decisione Trump ha completamente ribaltato la politica americana sulla Siria, stracciando le promesse fatte agli alleati locali—su tutte il fatto che il sacrificio di 11mila combattenti curdi contro l’Isis sarebbe stato ripagato con un accordo sulla Siria, o quanto meno con la protezione dalla vendetta di Recep Tayyip Erdogan.

“I sacrifici che abbiamo fatto per sconfiggere lo Stato islamico non sono stati solo per il nostro popolo, ma anche per gli Stati Uniti, l’Europa e l’intera comunità internazionale minacciata dai terroristi,” ha scritto il vicepresidente dell’Amministrazione autonoma Ihlam Ahmed. “Ci aspettavamo che il nostro impegno servisse a qualcosa. Invece, siamo stati traditi.”

Al momento, in uno scenario che cambia di giorno in giorno, le Fds non stanno combattendo non solo per preservare la loro autonomia sui 300 chilometri di confine, ma per la loro stessa sopravvivenza. Ecco alcuni punti chiave sull’attacco della Turchia ai curdi della Siria del nord.

CHI SONO I PROTAGONISTI INTERNAZIONALI E COSA STANNO FACENDO

Turkey Syria kurds
Lo smantellamento delle fortificazioni delle Forze democratiche siriane nell’agosto del 2019. Foto di by Spc. Alec Dionne via U.S. Army.

Messi di fronte allo strapotere dell’esercito di uno stato membro della Nato, la migliore speranza dei curdi è quello di tenere duro abbastanza a lungo e aspettare che la pressione internazionale ponga fine al massacro turco.

Il problema è che non è affatto chiaro se e quando arriverà questa pressione. Sebbene l’aggressione turca sia stata ampiamente condannata, finora non c’è stato nessun atto concreto per ostacolarla. In più Erdogan, ben consapevole delle divisioni e della fragilità dell’Unione Europea, ha minacciato di “aprire i confini e inviare in Europa 3,6 milioni di rifugiati”—trasformando ancora una volta i migranti in un’arma di ricatto, come aveva fatto nella cosiddetta “crisi dei migranti” nel 2015.

Negli Stati Uniti, l’azzardo di Erdogan ha incontrato una diffusa condanna bipartisan. Ci sono state anche proposte di sanzioni contro la Turchia e la sua leadership. Tuttavia, ammesso e non concesso che queste sanzioni vengano approvate e comminate, la Turchia sembra avere tutto il tempo che vuole per raggiungere i suoi obiettivi.

L’OFFENSIVA TURCA STA GIÀ CAUSANDO UN DISASTRO UMANITARIO

Al momento, l’avanzata dell’esercito turco e delle milizie filo-turche è stata modesta e limitata ai villaggi intorno alle città di Tal Abyad e Ras-al-Ain. La superiorità numerica e tecnologica è però schiacciante. Erdogan inoltre sarebbe pronto a dare l’ordine di invadere Kobane, città simbolo del Rojava che l’Isis aveva assediato nel 2014.

Quasi tutta la popolazione del nordest della Siria vive in questa striscia di terra, e molti curdi e cristiani discendono dai rifugiati scappati ai genocidi turchi del Ventesimo secolo. Finora, secondo fonti curde, circa 40 civili sono stati uccisi e più di 100mila persone sono scappate. Il 13 ottobre è stata uccisa in un agguato Hevrin Khalaf, segretaria generale del Partito Futuro siriano nonché attivista per i diritti delle donne e l’integrazione tra le comunità siriane.

Quello che gli abitanti del luogo temono di più è la riproposizione su larga scala di quanto successo nel 2018 nel distretto di Afrin, conquistato dall’esercito turco e ripopolato con arabi siriani e milizie ribelli filo-Erdogan, che hanno fatto fuggire migliaia di curdi in uno stillicidio di omicidi, furti e stupri.

L’impiego di queste milizie nell’offensiva della Turchia è una grande fonte di paura per i civili della Siria del nord, in particolare per i curdi e i cristiani che più di ogni altri saranno il bersaglio principale della violenza.

L’ISIS PUÒ TORNARE A ESSERE UNA MINACCIA

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Il campo Al-Hol in Siria, dove sono reclusi i prigionieri dell’Isis. Foto di Maya Alleruzzo via AP.

In una serie di tweet molto duri Brett McGurk, ex inviato speciale della presidenza americana per la coalizione contro lo Stato islamico, ha condannato l’invasione turca della Siria e sottolineato le responsabilità della Turchia nell’aver tollerato e alimentato il gruppo jihadista. “La Turchia non ha mai collaborato nella lotta contro l’Isis, nemmeno quando circa 40mila combattenti stranieri attraversavano il paese per entrare in Siria,” ha scritto McGurk.

Migliaia di quei combattenti e di quelle famiglie sono ora rinchiusi nei campi gestiti dalle Fds.

Tutto ciò rappresenta una minaccia alla sicurezza dei paesi occidentali, ma Trump ha fatto sapere che non gli interessa particolarmente, visto che i prigionieri andrebbero in Europa. Secondo quanto riferito da esponenti dell’amministrazione curda, il 13 ottobre 785 militanti dell’Isis sono fuggiti dal campo di Ain Issa—in cui sono rinchiuse 12mila persone collegate al gruppo terroristico—in seguito agli attacchi delle forze turche.

COMUNQUE VADA, SARÀ IL CAOS PIU ASSOLUTO

Anche se il tradimento di Trump ha innescato una crisi internazionale, le radici del disastro che stiamo vedendo in questi giorni sono da ricercare nelle contraddizioni e nell’ambiguità della politica americana in Siria.

L’iniziale supporto americano ai ribelli siriani anti-Assad è venuto meno non appena ci si è accorti che una loro eventuale vittoria non avrebbe affatto garantito la pace—né tanto meno il ruolo predominante dell’America nella regione. Il fatto che molti di questi gruppi ora potrebbe commettere pulizie etniche o genocidi è l’esempio più lampante dell’incoerenza americana.

Il governo turco dice che il supporto alle Fds (che sostanzialmente derivano dal Pkk, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) è una minaccia alla sua sicurezza nazionale; le Fds, di contro, evidenziano come i negoziati di pace tra il Pkk e la Turchia erano ben avviati nei primi anni della guerra civile siriana. Solo il ritorno a questi negoziati potrebbe risolvere questo conflitto ultradecennale; una proposta verso cui gli Stati Uniti, anche prima di Trump, non hanno mai mostrato un grande interesse.

La caotica politica estera di Trump non farà altro che rafforzare la posizione della Russia nella zona. Il ministro degli esteri russi Sergei Lavrov, commentando il tradimento nei confronti degli ex alleati curdi, ha detto che gli Stati Uniti stanno “facendo giochi davvero pericolosi” e aggiunto che “questo comportamento scriteriato può incendiare l’intera regione.”

Senza il supporto della comunità internazionale o dei rivali della Turchia nel mondo arabo, l’Amministrazione autonoma dei curdi ha davvero pochissimi appigli a cui aggrapparsi. Ieri è stato siglato un accordo militare con il regime di Assad, e oggi l’esercito siriano è entrato nella città di Tel Tamer (al confine con la Turchia). Mazloum Kobani, comandante in capo delle Forze Democratiche Siriane, ha riassunto sulla rivista Foreign Policy il principio dietro questo accordo: “Tra il genocidio e il compromesso, scegliamo il nostro popolo.”

Tra l’instabilità in Iraq, l’inasprimento della guerra di prossimità in Yemen tra Iran e Arabia Saudita, e le crescenti tensioni in Libia, il Medio Oriente è entrato in un periodo di forte instabilità di cui non si riesce minimamente a scorgere la fine. E i responsabili di questa instabilità sono principalmente due: la Turchia di Erdogan e l’amministrazione Trump.

L’invasione turca della Siria del nord sarà quasi sicuramente una tragedia per le minoranze più vulnerabili, e probabilmente innescherà una terribile reazione a catena in tutta l’area.