Questo racconto è estratto dal Nono annuale di narrativa.
Stavano lì di fronte all’opera, al museo. Era una piscina nera, rettangolare, e sulla superficie si era formato uno strato di ghiaccio. Il pavimento era percorso da grossi tubi di plastica che portavano aria fredda all’installazione. Emettevano un leggero sibilo, come quello di un materassino sul punto di sgonfiarsi. Cynthia aveva chiesto a Flora di controllare se c’erano dei serpenti. Aveva la fobia. Non riusciva nemmeno a chiamarli per nome. Li chiamava S.
“Stanotte ho fatto un sogno,” aveva detto Cynthia. “Mi sono svegliata urlando.”
“Hai paura dei peni, eh? È quello che vuol dire?” le aveva chiesto Flora.
“Non so. Quando stavamo insieme George faceva sempre un giro di ricognizione. Controllava che non ci fossero S sotto al letto. Ieri invece mi sono svegliata da sola. Nel sogno ce l’avevo addosso. Avevo ricevuto un regalo, ma il pacchetto era già stato aperto. E io dicevo, ‘Dov’è? Dov’è il regalo?? C’era lì mia madre, e diceva, ‘È lì.’ Ce l’avevo attorcigliato addosso, con la coda che mi spuntava dalla manica del cappotto. Così lei si è messa a tirarmelo fuori.”
“Ugh.”
Avevano superato una cisterna piena di acqua salmastra su cui era sospesa una grossa pietra, metà dentro metà fuori, come se stesse galleggiando. Dall’alto penzolavano dei tubi neon. Di lì a due settimane Cynthia sarebbe partita per la Svizzera per scrivere un pezzo sull’artista. “Figo,” aveva detto. “Mi piace.”
“Non so cosa significhi.”
“Nemmeno io.”
“Ma ci piace.”
“Ci piace.”
A quel punto il telefono di Flora aveva vibrato. Era l’attore. Aveva letto il messaggio ad alta voce: “Dice di vederci a Los Feliz, A casa sua. Dice di portare patatine fritte surgelate. Di quelle ondulate. Ci sono dei negozi sulla strada?”
“Sì, il Gelson’s.” Cynthia stava guardando un quadro. “Anche questo mi piace.”
“Andiamo? Mi sono stufata.”
“Andiamo.” Cynthia aveva controllato il suo riflesso nel vetro del quadro. “Rimaniamo sicuramente fregate col traffico.” Era tornata verso i tubi neri di plastica dell’installazione. “Questa,” aveva detto indicando verso il basso. “Questa non mi piace.”
Cynthia era a Los Angeles per passare l’inverno. Stava lavorando a una sceneggiatura di cui non parlava mai. Probabilmente la stava scrivendo. E poi aveva le collaborazioni con le riviste. Era appena tornata dalla montagna, dove era stata ospite di un autore che era riuscito a sbarcare il lunario. Aveva un programma sulla HBO e due film in corso. Non aveva mai tempo di usare la casa. Così la prestava agli amici e agli anici di amici. Altri autori e scrittori. Internet non c’era, aveva detto Cynthia. E l’acqua non aveva funzionato per due sere di fila. Non aveva pensato che le sarebbe servita una macchina a quattro ruote motrici, e fare la strada sterrata di notte per andare al Safeway a prendere l’acqua la spaventava. Per telefonare doveva andare in biblioteca. E ci andava ogni pomeriggio.
“Sono stufa di questo lavoro,” lo ripeteva in continuazione, a Flora ma anche a se stessa o a chiunque la ascoltasse. “Sono una giornalista. Chi è che al giorno d’oggi vuole fare il giornalista? E poi, c’è ancora qualcuno che legge le riviste di carta?”
A Flora piaceva leggerle. Le leggeva dal dentista, in metro. Era appena stata dal dentista per la pulizia dei denti. Mancava da due anni.. “Sono messi male? Me lo dica pure.” L’igienista aveva fatto una smorfia. “Non è una gran bella vista. Non come lei.” Ci stava forse provando? Flora non sapeva darsi una risposta. Non che ci avesse mai pensato, ma il suo radar non funzionava più. Era successo dopo il divorzio. In una delle discussioni con suo marito, il suo ex marito—non era semplice ricordarsi di chiamarlo così, e Flora si chiedeva se avrebbe dovuto parlare anche di quello, con lo strizzacervelli—il suo ex marito le aveva detto, “Non vedi? Sono stufo di fare quello che deve stare in secondo piano.”
Lo strizzacervelli aveva investito un sacco di tempo a lavorare su Flora. Nei giorni no, era convinta che la missione del sua strizzacervelli fosse proprio di farla divorziare. Quando si arrabbiava se la prendeva con lui. E poi con lo strizzacervelli analizzavano quello che l’aveva fatta davvero stare male. Quando ce l’aveva con lui metteva persino in dubbio la sua mascolinità, diceva che forse era gay. Lui non confermava né negava. Era una cosa folle, lo sapeva. Non era gay. Poi aveva chiesto il divorzio.
Si erano conosciuti da giovani, e si erano sposati altrettanto giovani. Due grandi famiglie, tanti soldi, non troppo gusto. Non aveva mai avuto un vero lavoro. E non aveva mai pagato un affitto in vita sua. Era stata a New York fino a tre settimane prima. “Faceva freddo,” aveva detto. “Non puoi capire.” Ora stava in un Airbnb a West Hollywood. Probabilmente l’appartamento non valeva tutti quei soldi, ma che ne poteva sapere Flora?
Questo le aveva creato qualche problema nella sua amicizia con Cynthia. Cynthia era stufa di essere povera. Di fare quello che le piaceva senza prendere un soldo. Ma Flora non aveva mai capito cosa le piaceva. Prima pensava fosse il matrimonio. Aveva anche avuto un blog di cucina, per un po’.
Pubblicava le ricette. Metteva su Instagram le foto dei suoi piatti. Aveva 500 follower. Pubblicava anche un sacco di selfie, usava gli hashtag: #food, # homemade, #alicewaters, #farmersmarket. Ora non cucinava più. Quando era sola comprava cibo surgelato da Trader Joe’s.
A un certo punto della loro lunga amicizia, Cynthia e Flora avevano smesso di parlarsi. La cosa era andava avanti per quasi due anni. “Non ti sopportavo più,” le aveva spiegato Cynthia al telefono. Era a Shanghai per un pezzo su un architetto. Era una brava imitatrice e sapeva fare il verso a Flora. “Tuorli sodi ma non gessosi.” La sua voce trillava nella chiamata Skype. “La storia del blog. Mi ha fatto incazzare. Sentirti parlare di quei mirtilli di fattoria. Il fatto è che sei una persona intelligente.” Il divorzio le aveva riavvicinate.
Ora Flora stava frequentando un attore. Sulle colline di Los Feliz. Era famoso, abbastanza famoso. Ma quando si erano incontrati lei non aveva mai visto nessuno dei suoi film, e la forse cosa lo aveva attratto. Flora sapeva che ad attrarlo erano state anche tutte le ragioni che potrebbero piacere a un uomo evasivo e con troppe opzioni a sua disposizione. Lo intrigava il rapporto di Flora coi soldi.
Il fatto che non si tingesse i capelli di biondo. Non voleva che le comprasse cose. Era stufa dei gioielli. Dei bei vestiti. E a lui piaceva il suo seno piccolo. I nei che aveva sulla schiena. Il fatto che preferisse usare un cucchiaio da pompelmo. Non gli aveva detto del suo blog. O del divorzio. Erano stati presentati da un amico, a novembre, quando lui era a New York per girare. Pensava che Flora fosse a Los Angeles per stare con lui.
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“Cazzo,” aveva detto Cynthia. “Ho sbagliato strada e ora non so più come tornare indietro.” Non conosceva ancora la città, e quando guidava teneva l’iPhone in una mano e il volante con l’altra.
“Vuoi che ti dia io le indicazioni?” le chiedeva sempre Flora. E la risposta di Cynthia era sempre no.
“No, è tutto a posto.”
“Secondo me è un giochetto di potere,” aveva detto Flora. “La richiesta delle patatine.”
“Ma no. Vuole delle patatine.”
“Non so, ho questa sensazione.”
“Ok, mettiamo che sia un giochetto di potere, ma dove vuole arrivare?”
“Farmi fare cose, tipo.”
“Si chiama stare con qualcuno.”
“Non direi che stiamo insieme. Vado a casa sua. Usciamo. Andiamo a letto.”
“Ma tu non vuoi—cioè tu non vuoi nemmeno fare la sua vita. Se ti chiedesse di accompagnarlo a una qualche premiazione, andresti?”
“Non so.”
“Non ci andresti. Stai ancora cercando di capire cosa vuoi.”
“L’altra sera voleva che gli dicessi delle cose sporche.” Flora aveva tirato giù l’aletta parasole del passeggero per guardarsi allo specchio. “Sono orribile.”
Cynthia aveva riso. “Cosa gli hai detto?”
“La solita roba. Niente di speciale. Sai, tipo ‘Oh, quanto mi è mancato il tuo cazzo grosso e duro. Sono tutta bagnata.’”
“Ah, tu e gli uomini,” aveva commentato Cynthia. “Un giorno incontrerai qualcuno, ti innamorerai, e tu, dio solo sa perché, non te ne accorgerai.”
“Ma vaffanculo.”
“È vero, e lo sai.”
“E tu allora?” aveva chiesto Flora.
Cynthia aveva smesso di frequentare uomini dopo la sua ultima rottura. Diceva che era perché viaggiava troppo. Il lavoro aveva la precedenza. Aveva 36 anni. Ma ogni volta che chiudeva un lavoro chiamava Flora e piangeva. “Mi sento sola. Sono stufa di sentirmi sola. E voglio un bambino.”
Cynthia aveva ignorato la domanda. Dopo una svolta a sinistra avevano imboccato Sunset Boulevard. Aveva ancora l’iPhone in mano, mentre con l’altra accompagnava delicatamente il volante. “Quanto mi piace la Sunset. Mi fa sentire come se vivessi davvero a LA.”
L’attore viveva in una casa modernista sulle colline. Il sole sorgeva a sinistra e tramontava a destra. Era grande, ma non troppo. Al piano di sopra c’erano tre camere da letto, e di sotto l’ufficio e tre bagni. C’era la piscina, e pure la vasca idromassaggio. L’attore aveva piantato un avocado, e un giorno su uno dei rami Flora aveva trovato un frutto ancora acerbo, con la buccia increspata e dura. Ogni notte che Flora rimaneva lì a dormire lui le chiedeva di andare a stare da lui. “Finché rimani in città,” diceva. Ma lei non capiva perché avrebbe dovuto farlo. Non erano innamorati, e il poco che si era portata dietro era già nella casa di West Hollywood. Per quello che era convinta che le patatine fritte fossero un gioco di potere.
L’aveva chiamata mentre stavano parcheggiando.
“Dimmi.”
“Dove sei?”
“Siamo qui, abbiamo appena parcheggiato.”
“Siamo?”
“Sono con Cynthia, te la ricordi? Vi siete conosciuti.”
“Oh, ok.” Non si ricordava mai. “Volevo chiederti di prendere il ketchup, perché non ce l’ho.”
“Dovremmo tornare indietro.”
“Sì, fa niente. Se sei già qui.”
“Vuoi il ketchup?”
“No, va bene così.”
Nel frattempo erano scese dalla macchina, dirette verso l’ingresso. Avevano continuato a parlare al telefono.
“Dai, vado.” Aveva suonato il campanello. L’aveva sentito anche attraverso il telefono.
Le aveva aperto. Il grosso cancello si era spalancato senza che lei lo toccasse.
“No, vieni.” Si erano avvicinati, entrambi ancora col telefono poggiato all’orecchio. L’aveva baciata. “Ciao Cynthia.”
“Ciao.”
Poi erano andati in cucina. La casa era già arredata, quando ci si era trasferito. Tutta in stile danese. Lui aveva lentamente portato tutte le sue cose. Un po’ di libri, anche se non leggeva. Foto. In una di queste c’era una ragazza. A Flora non aveva mai scattato foto. A lei non interessava. Così a relazione finita non sarebbero rimaste sue tracce nella vita di lui. Preferiva così.
“Sto facendo una grigliata,” aveva detto.
“Hai ospiti?” aveva chiesto Flora. Non lo faceva di proposito. Dopo tutti quegli anni di matrimonio, fare la moglie le risultava quasi naturale. E sospettava che a lui non dispiacesse, unito al fatto che entrambi mantenevano una certa distanza emotiva—erano come due persone che corrono fianco a fianco senza mai toccarsi.
“Forse passa Rob,” aveva detto. Rob era il suo manager, un tipo affabile che non si faceva problemi a usare la fama dell’attore per ottenere quello che voleva. Ma era bravo a fare il suo lavoro, e soprattutto si inseriva bene nelle gerarchie. C’era un gruppetto di ragazzi che rideva alle battute dell’attore e gli lasciava l’ultimo bicchiere di vino a fine serata.
Mentre lui grigliava la carne Flora e Cynthia si erano accomodate fuori, dalla piscina. Aveva fatto due hamburger per lui e uno a testa per loro. Aveva detto a Flora che quando non lavorava mangiava quello che gli andava, mentre prima di un film cambiava totalmente dieta—solo salmone al forno, cavolo riccio, verdure e proteine magre—e si “spaccava” di palestra. Aveva detto così. Flora non capiva cosa ci fosse di così drastico nel suo esercizio fisico. A quel punto aveva visto tutti i suoi film, li guardavano insieme, anche se trovava strano come a lui non desse fastidio rivedersi sullo schermo insieme a lei. In uno recitava la parte di un soldato. Secondo lei sembrava gonfio—le braccia, le gambe, i pettorali—come se l’avessero pompato, come un uomo palloncino. Per un altro ruolo invece aveva dovuto perdere peso. Era uno spacciatore, e lei lo preferiva magro. “Non credo ti faccia bene ai reni.” Non che ne avesse idea, le sue erano solo supposizioni. “Lo so,” aveva risposto lui. “Ma come faccio?” Forse, aveva pensato lei, avrebbe dovuto accettare altre parti. Ma era la sua carriera, non quella di Flora.
Rob era arrivato sul tardi. Era stato a una proiezione con una giovane donna. Giovane donna. Era un’espressione che avrebbe usato la madre di Flora. Faceva da assistente a un altro addetto alle relazioni stampa. Era felice di incontrare l’attore. Ma era stata al suo posto e aveva giocato bene le sue carte. Brava, aveva pensato Flora. La ragazza aveva capito che nessuno, e soprattutto l’attore, era interessato a sentire cosa aveva da dire. Rob non le piaceva più di tanto, ma ci andava a letto e ci sarebbe andata a letto per un altro po’. Più tardi, quando lui aveva suggerito di spostarsi nella vasca a idromassaggio, lei era stata la prima ad accettare. “Però non ho il costume,” aveva aggiunto. Aveva deciso che in presenza di Flora avrebbe fatto la modesta.
“Posso prestartene uno,” aveva detto Flora. Non era un problema per lei; perché non lasciarla fare quello che voleva, per poi tornare dai suoi amici e dire a tutti di essere stata a casa dell’attore a Los Feliz? Flora si era messa il top sportivo e gli slip Lululemon e aveva lasciato alla ragazza il suo Eres. Le stava bene. Se fosse stata una donna un po’ più folle gliel’avrebbe regalato. Rob e l’attore parlavano di lavoro. Flora aveva ormai rinunciato a stare dietro ai loro discorsi, non conosceva i nomi, e in fondo trovava fosse tutta una posa. Lei e la ragazza erano rimaste ad ascoltare sedute in piscina mentre le bollicine dell’idromassaggio colpivano loro la schiena. Cynthia era ancorasulla sedia di plastica, vestita.
“Cosa fai tu?” aveva chiesto la ragazza a Flora dopo aver lasciato passare un tempo ragionevole.
“Non molto.”
“È in una fase alla Mangia, prega, ama,” si era intromessa Cynthia.
“Oh, fico. Be’, buon per te.” La ragazza non poteva essere più lontana da una qualche fase alla Mangia, prega, ama, ma voleva mostrarsi empatica.
“Già,” aveva detto Flora.
“E tu?” aveva chiesto la ragazza a Cynthia.
“Sono una giornalista.”
“E sta anche lavorando a una sceneggiatura.”
“Wow, su cosa?” Rob e l’attore avevano smesso di parlare.
“Dai, diglielo,” aveva detto Flora.
Cynthia era rimasta per un attimo in silenzio. “È… una commedia romantica, una specie.”
“Mi piacciono le commedie romantiche,” aveva detto la ragazza.
“Anche a me,” aveva aggiunto Rob. Avevano riso tutti.
“Dai,” aveva detto Flora. “Raccontagli come inizia.”
Cynthia l’aveva guardata infastidita, per poi dire “Ma vaffanculo.” L’attore si era irrigidito. Non gli piacevano le situazioni di conflitto.
Poi Cynthia si era alzata. “Scusate,” aveva detto con calma. “Non vi conosco.” Aveva guardato Flora. “Ma conosco te.” Poi aveva fatto la sua faccia da Flora. “Non fa niente,” aveva detto, alzando le spalle proprio come faceva Flora. Flora era l’unica ad aver capito—diceva sempre così quando decideva che non valeva più la pena provarci. Come se non farsene niente fosse una scusa. Gli altri non capivano. Cynthia si era fermata, e il suo corpo aveva assunto una posizione più naturale. “Perché non smetti di startene lì seduta a non fare niente, a guardarci mentre cerchiamo di capire cosa vogliamo nella vita. Forse riusciresti persino a capire cosa ti fa felice. Davvero.” Aveva scosso la testa. “Ebbene sì. Sono solo un’altra idiota di LA con una sceneggiatura.”
“Scusa,” aveva risposto Flora. “Non era mia intenzione…”
“Ecco,” aveva ribattuto Cynthia. “Non è mai tua intenzione. Proprio così.” Si era voltata come per andarsene. Sopra le loro teste si sentiva un elicottero, si muovevano sempre molto lentamente. Cynthia si era passata i palmi sulle cosce, poi aveva mosso qualche passo verso la piscina. Dentro c’era un dinosauro di plastica a pancia in su. Aveva lasciato le scarpe a bordo piscina, e se le era infilate sollevando prima il piede sinistro e poi il destro. Dall’interno della casa era partito un allarme antincendio.
“Oh, giusto. Le tue patatine,” aveva detto Cynthia rivolgendosi all’attore con gli occhi lucidi di rabbia e la faccia completamente inespressiva. “Si saranno bruciate. Ma grazie e mille per l’hamburger.” Poi era uscita.
Flora sapeva che non sarebbe dovuta correrle dietro. Aveva aspettato un minuto, poi era uscita dalla vasca ed era andata in cucina a togliere le patatine dal forno scacciando il fumo con una presina. Erano carbonizzate, e sulla teglia avevano lasciato delle linee sinuose—non troppo dissimili da un S, aveva pensato. Le aveva buttate nella pattumiera.
Il mattino dopo l’attore aveva degli appuntamenti, ed era uscito presto. Flora aveva la casa tutta per sé, almeno fino a che non fosse arrivata Magdalena, la signora delle pulizie. Flora aveva deciso di aspettare. Magda le piaceva, ma sapeva che le interessava solo tenersi stretto il lavoro. Era un buon posto, e doveva ricevere un bello stipendio. Inoltre, non le importava più di tanto di quello che faceva l’attore con la sua vita. Flora aveva la sensazione di non essere la sua frequentazione più folle. Qualunque fosse la sua vita in quel momento—e in qualunque modo si volesse chiamare quel periodo strano e fluttuante in cui il denaro le scivolava tra le dita come sabbia, e il mercoledì era in tutto e per tutto uguale alla domenica—Magda lo aveva già visto. Era rimasta a letto, a metà tra la veglia e il sonno. Lo skyline di Los Angeles si stagliava oltre la terrazza della camera da letto, e nel cielo si vedevano delle scie. Era proprio bello, quel posto. In quelle situazioni le piaceva scrivere a Cynthia e dirle, “Vuoi sapere una cosa divertente?” Cynthia diceva sempre, “Sì”, e Flora le mandava uno screen shot del tempo a New York. Dopo Cynthia rispondeva con una risata.
Magda era arrivata. Aveva iniziato dalla cucina e poi era passata al resto della casa; aveva raccolto gli asciugamani della piscina, i vestiti sporchi, i bicchieri lasciati in giro, e aveva pulito ogni cosa fino a farla sembrare nuova, sistemando tutto nella sua scatola, cesto o ripiano. L’attore andava pazzo per le ciabatte, gli piaceva portarsi a casa quelle del Bowery Hotel, che è dove si faceva sistemare ogni volta che andava a New York. Aveva un armadio pieno di ciabatte bianche con la B ricamata sulla punta. Per un po’ Flora aveva creduto che il suo vero nome iniziasse con la B—e quando gli aveva chiesto perché non si fosse fatto ricamare le iniziali anche sulle camicie lui era scoppiato a ridere sorpreso e le aveva detto che era adorabile.
“Buongiorno Magda,” aveva detto Flora dopo essere entrata in cucina in vestaglia.
“Buongiorno Flora.”
“Ieri sera abbiamo usato la griglia, penso dovrà pulirla. Non so se gliel’ha lasciato detto.”
“No. Grazie.”
Flora aveva preso un pompelmo dal cesto e dopo averlo posato sul tagliere di legno accanto alla macchinetta del caffè l’aveva diviso perfettamente a metà con un coltello affilato.
“Che programmi ha per oggi?”
“Non so proprio. Magari mi metto un po’ dalla piscina.”
“Sì, è la giornata perfetta per starsene in piscina.” Magda era sempre d’accordo con Flora. Se Flora avesse detto di volersi lanciare da un dirupo, Magda l’avrebbe trovata un’ottima idea. Flora aveva preso un cucchiaio dal cassetto e si era messa a separare ogni spicchio dalla buccia.
“O magari,” aveva detto mettendo alla prova Magda, “magari vado a fare compere.”
“Ma certo, è bello fare compere. Dov’è il signor T?”
Magda lo chiamava così. “Aveva un pranzo di lavoro, e poi deve andare a Santa Monica.”
“Oh, che bello. Spero non trovi traffico.”
“Già.”
Magda stava strofinando il bancone. Il marmo era nuovo, privo di imperfezioni. In casa era tutto nuovo. Forse io gli piaccio perché non lo sono, pensava Flora. Sono vecchia e non funziono più.
“Cosa farebbe lei se avesse un giorno tutto per sé?” aveva chiesto Flora. Ma Magda stava cercando un sacchetto di plastica nuovo sotto il lavandino e non l’aveva sentita.
Flora era uscita. Tanto Magda non gliel’avrebbe detto. Le pietre del patio erano calde sotto i suoi piedi nudi. Sarebbe rimasta lì fuori tutto il giorno. Ecco cosa avrebbe fatto. Avrebbe passato la giornata a casa di un uomo che non amava, ma andava bene così. Forse il giorno dopo avrebbe fatto lo stesso. A un certo punto avrebbe chiamato Cynthia per chiederle scusa. E alla fine, leggermente abbronzata, sarebbe tornata a New York. Al suo appartamento vuoto, alla città in disgelo. E avrebbe deciso il da farsi. Cynthia si sarebbe trasferita a Los Angeles. Avrebbe scritto la sua sceneggiatura per poi venderla per un milione di dollari, o forse no. Comunque sarebbe andata, Cynthia aveva ragione. Non aveva mai definito il matrimonio di Flora un fallimento. Diceva sempre, “È un bene che tu sia arrivata a questo punto. Un vero bene.” Che non era l’opinione di tutti gli altri. La sua luna di miele era stata perfetta. Erano stati alle Maldive, dove l’oceano era dell’azzurro più puro che avesse mai visto. Ma si era annoiata al punto che aveva lasciato cadere in acqua un diamantino, consapevole che lui gliel’avrebbe ricomprato. Era stata così superficiale. E se vale la pena fare una cosa, vale la pena farla male. Questo lo sapeva.