I Coma Cose vogliono "tutto", ma che cos'è "tutto"?
Coma Cose a Parigi. Foto di Crooner Films.

FYI.

This story is over 5 years old.

Musica

I Coma Cose vogliono "tutto", ma che cos'è "tutto"?

Ce l'hanno spiegato in questa intervista. Spoiler: non c'entrano i soldi e la fama.
Giacomo Stefanini
Milan, IT

Se c'è una cosa che fa impazzire di gioia noi autori di pipponi sulla musica è la possibilità di scoprire un nuovo genere. Ci sentiamo come scienziati alla ricerca di un nuovo elemento della tavola periodica, con la differenza che tutte le nostre categorizzazioni servono solo a noi e a una manciata di altri nerdacchioni impauriti dal volteggiare di canzone in canzone senza imbragature o reti di sicurezza, che è ben diverso dallo spiegare il mondo fisico in cui viviamo.

Pubblicità

Da qui nasce la grande frustrazione della redazione di Noisey nel constatare che il resto del mondo, per definire i Coma Cose, non ha adottato il termine battist_reet, coniato durante un'intervista rilasciata proprio a noi l'anno scorso; ma su Spotify, e quindi anche nella vita reale, che poi sarebbe a dire sui social network, è comparsa invece la dicitura "Graffiti Pop" . È un sottogenere dell'ormai istituzionalizzato itpop che mescola estetica urbana e ambizioni poetiche, strofe rap e ritornelli pop (e viceversa). E vabbè, ci terremo pure questo.

Sta di fatto che, qualunque casella occupi, l'elemento Cc ha un peso atomico in costante crescita e un comportamento imprevedibile. Era ottobre 2017 quando la coppia Francesca California-Fausto Lama ha pubblicato per Asian Fake Inverno Ticinese, un EP di tre pezzi che li ha fatti spiccare sulla folla italiana con il giusto mix di nostalgia battistiana, rime giocose e flow aggressivo. Nemmeno un anno e due singoli dopo, e li ritroviamo sul palco del Mi Ami con un esercito di gente che canta con loro (o almeno ci prova, rendendosi conto che le loro linee vocali sono piuttosto ardite).

Fausto e Francesca sono venuti a trovarci in redazione per parlare del prossimo disco (ma sarà un disco?), del prossimo tour (quello è sicuro, e le date sono online) e di libertà, quella di mollare quel lavoro di merda e tuffarti nella musica con tutto te stesso.

Pubblicità

Siete appena tornati da un concerto a Parigi in apertura ai Phoenix, com’è andata?
Francesca California: Bene! I Phoenix erano presi benissimo, si sono guardati tutto il concerto. Il pubblico all’inizio è rimasto un po’ stranito, anche perché abbiamo iniziato coi pezzi più rap, ma dopo dieci minuti si sono scaldati e alla fine ballavano tutti.

Poi essendo il pubblico dei Phoenix, che ultimamente sono in fissa con l’Italia, magari era anche in grado di riconoscere i vostri riferimenti più classici, Battisti eccetera…
Fausto Lama: La melodia è un linguaggio universale. Loro sicuramente con il concept di Ti Amo hanno preparato bene il terreno per il nostro lato più melodico. Pensa che addirittura prima del concerto c’era un DJ set di Nicolas Godin degli Air con un sacco di roba italiana. Sicuramente la loro fanbase sarà stata ben informata. Comunque tutta gente curiosa, molto composta, un pubblico colto insomma. È stata una grande esperienza.

Mi piacerebbe vedere sfatato il mito che chi canta in italiano non può fare successo all’estero, voi cosa ne pensate?
California: L’italiano è anche una lingua musicale, e poi sembra strano ma tantissima gente lo parla, io in Francia sono rimasta stupita. E poi si vede che musicalmente è una lingua che reputano piacevole all’orecchio, al di là del capire o meno le parole.
Fausto: Penso che francese, spagnolo e italiano siano lingue che funzionano bene le une con le altre, in Italia si ascolta tantissima musica spagnola per esempio. Se negli anni Ottanta e Novanta l'inglese era la lingua principale grazie all'affermazione di certo rock e pop, ora le cose stanno sicuramente cambiando.

Pubblicità

Cosa ne pensate della decisione di Spotify di inserirvi in una playlist a parte, né indie (o itpop) né rap, insieme a Carl Brave, Frah Quintale, Liberato, ecc., creando in un certo senso un nuovo genere?
Fausto: Nel nostro caso, la musica che facciamo è un’esigenza, è quello che ci piace ascoltare. I generi in quanto tali ormai sono stati spremuti, in un certo senso. Noi stessi, quando facciamo una canzone, a metà ci annoiamo [ridono] e finiamo per buttarci dentro una cosa che non c’entra niente. Ma è la vita che è così! Adesso è tutto più veloce, più incasinato, più miscelato, ed è il caso che anche la musica lo sia. Del resto dubito che le playlist dei ragazzi di oggi seguano il genere, ma piuttosto le canzoni.

Voi come me siete invece cresciuti con l’idea delle nicchie e delle subculture, giusto? Tu, Francesca, eri nella scena rave…
California: In realtà io ho passato l’adolescenza nella fase subito post-ghettizzazione, si cominciava a mescolarsi un po’. Tipo io ascoltavo rap ma andavo ai rave, cercavo di non rinchiudermi. Lui invece era un rapper puro.
Fausto: Sì, io c’ero sotto con l’hip-hop, ero fedele al genere. Poi però crescendo gli orizzonti si aprono.

Coma Cose al Lanificio di Roma.

State per iniziare il tour estivo, andrete con la band come avete fatto al Mi Ami e a Parigi?
Fausto: A Milano e Parigi c’erano sul palco con noi i Mamakass, con i quali collaboriamo anche in studio per gli arrangiamenti, ma per queste date estive abbiamo preferito tornare al nostro set più essenziale e “punk”, più incentrato su di noi e sulle canzoni, con oltre a noi soltanto un batterista che dà più tridimensionalità alle percussioni.

Pubblicità

Che persone trovate nel vostro pubblico?
Fausto: C’è la fascia di quel fenomeno di cui parlavamo prima, quelli che seguono questo nuovo genere, che seguono anche Calcutta o Carl Brave o quelle cose lì; poi ci sono gli affezionatissimi a noi, che ci seguono molto da vicino, e poi ci sono tanti curiosi. Col fatto che ultimamente siamo passati anche in radio è arrivato anche un pubblico più, diciamo, “generalista”, vengono le coppie coi bambini, un po’ di tutto.
California: C’è fissa sempre almeno una coppia di ultracinquantenni, che è una cosa bellissima.
Fausto: Non penso che riguardi soltanto noi, sono sicuro che succeda anche agli artisti di cui parlavamo prima. Perché secondo me se abbracci questo genere hai anche l’idea di un’esperienza live tridimensionale, che ti dia un po’ di tutto: ballare, cantare, commuoversi… fare i meme, perché no.

Ascoltando i vostri singoli in ordine cronologico mi è sembrato di percepire la vostra crescita. Con l’arrivo del successo e dedicando sempre più tempo alla musica, è aumentata anche la conoscenza di voi stessi come musicisti e come persone?
Fausto: Sicuramente. Nei primi brani ci interessava di più esprimere la rabbia e la frustrazione del quotidiano, le abbiamo scritte mentre lavoravamo, in uno di quei momenti in cui tutto sembrava andare storto. Poi piano piano, buttato fuori il primo rospo, è venuta fuori la voglia di fare più seriamente musica, canzoni e di mettersi più in gioco. Che poi i primi testi sono più criptici, ma sono anche più pregni di significato, ci sono dentro delle cose che poi non abbiamo più detto. In seguito abbiamo aperto un’altra porta della nostra personalità, più intima, quindi che forse svela più i sentimenti o cose così.
California: Però torneremo a fare dei pezzi belli incazzati.
Fausto: Ma già l’ultimo singolo, se ci pensi, ha una doppia faccia: la mia parte cantata è molto melodica, ma il testo ha qualche graffio, poi entra lei rappando e il pezzo s’incupisce. Insomma, cambiamo un po’ vestito, ma restiamo sempre noi. Più che un’evoluzione, c’è sempre più consapevolezza di quello che siamo.

Pubblicità

Immagino che anche il fatto di poter dedicare tutto il vostro tempo alla musica aiuti.
Fausto: Infatti. Serve tempo per fare la musica, sembra scontato, ma se lavori otto ore al giorno fai fatica a fare bene anche la musica.
California: Ci sono tutte le cose che scarti e poi riprendi, poi ributti, poi riprovi…
Fausto: Magari un giorno hai bisogno di fare una passeggiata di due ore per pensare a una cosa, o di passare un pomeriggio al pianoforte, sono cose che ti puoi permettere solo se sei musicista di mestiere. Prima ci hai chiesto se ci conosciamo meglio: beh, se prima scartavamo nove canzoni su dieci, ora riusciamo sempre a scrivere qualcosa che ci soddisfa. Anzi, il mio consiglio per chi comincia a fare musica è: scrivi e registra una canzone, e poi non pubblicarla. Anche se sei convinto che sia la canzone della vita. Non pubblicarla. Aspetta sei mesi, poi riascoltala, e a quel punto capirai perché avrai fatto bene a non pubblicarla. Tanti artisti sbagliano a buttarsi subito fuori, perché oggi sei subito sotto i riflettori, e se sbagli i primi singoli ti tocca un percorso di espiazione inutile solo perché non hai avuto la pazienza di aspettare.

Anche perché siamo tornati in un’epoca in cui il singolo è molto importante, voi stessi ne siete una prova. Come ve la vivete? Mette un po’ ansia l’idea di non poter scazzare un pezzo, no?
California: Beh sì, è tutto molto calibrato e pensato.
Fausto: C’è un grosso labor limae, per usare un termine alto. Io scrivo più cose possibili, poi insieme facciamo la scrematura. Questo gioco di squadra è fondamentale, perché un produttore esterno non ha lo stesso peso di un elemento fondante della band, quindi per un artista solista è più difficile selezionare al meglio la propria produzione. Questo forse ci ha aiutati a non pubblicare canzoni che poi finissero per non piacerci. L’ansia di non sbagliare la canzone, anche nei confronti del pubblico, c’è. Però è un ragionamento parallelo, non fondamentale.

Pubblicità

Prima mi avete detto che siete in studio in questo periodo, che cosa bolle in pentola?
Fausto: Stiamo scrivendo, e continueremo a farlo fino a settembre/ottobre. A quel punto vedremo cosa avremo, se saranno sette, otto o nove canzoni allora sarà un album, se saranno di meno sarà un EP o un singolo. Insomma, non abbiamo pianificato nulla. L'idea è di fare più canzoni possibili, stiamo lavorando in modo diverso, stiamo cercando di creare una serie di canzoni legate tra loro, anche a livello di suoni, com’è stato per l’EP. Però non è che siamo entrati in studio con l’idea di fare il disco, anche perché come fai a dire “vado a fare il disco”?

Non so, come fai? Siete voi i musicisti…
Fausto: Intendo che è difficile mettersi nella forma mentis di dover scrivere 12 canzoni. Molto meglio scrivere liberamente, e poi quando ne hai abbastanza fai un disco.

Naturalmente non può mancare la domanda sui vostri luoghi, sui paesaggi delle vostre canzoni. Quali sono i posti di Milano che vi hanno ispirato di più?
California: All’inizio ci piaceva tantissimo la zona di Corsico. In tutti i primi video c’è una scena girata a Corsico.
Fausto: In realtà raccontiamo un po’ la Milano che viviamo tutti i giorni, zona Sud. Funziona perché la conoscono tutti, è quella più turistica, chiunque venga a Milano ci passa.
California: Io sto scoprendo la zona dietro San Vittore, è super borghese ma molto bella dal punto di vista architettonico.
Fausto: Prima abitavamo sul Naviglio Pavese. Mai viste così tante risse. Ce n’era una alla settimana, verso le 3-4 di notte escono i mostri.

Coma Cose a Parigi. Foto di Crooner Films.

“Coma Cose nuovi Prozac+” e “Vengo dal niente voglio tutto” sono due versi che sembrano dire la stessa cosa. Infatti anche i Prozac+ venivano dal niente e nemmeno cercavano di essere particolarmente “commerciali”, ma per un periodo sono stati uno dei gruppi più famosi d’Italia.
Fausto: Beh, quella sui Prozac+ è una frase messa così, perché ci faceva ridere. Francesca è di Pordenone e ci piaceva l’analogia, considerato che anche loro sono un gruppo misto maschi/femmine. Era un gioco. Poi tra l’altro ci hanno anche scritto, anzi, Gianmaria ha fatto un post pubblico per farci i complimenti.
Francesca: Che figata, è stato un onore.
Fausto: Invece “vengo dal niente voglio tutto” è una citazione che abbiamo preso dal film Supersonic, il documentario sugli Oasis. Lì a un certo punto c’è Noel Gallagher che dice “venivamo dal niente e volevamo tutto”, o qualcosa del genere. Quella frase mi è rimasta impressa. Anche perché fino a qualche tempo fa per fare musica bisognava rientrare sempre in un certo contesto, che fosse un talent o una scena, altrimenti era impensabile. Invece ora a noi sembra la cosa più normale del mondo. È il nostro modo per dire che noi non c’entriamo niente con nessuno, non apparteniamo a un genere, non siamo legati ad altri musicisti e siamo totalmente singolari. E non guardiamo in faccia nessuno e corriamo come dei treni perché ci piace come ci sta andando. E anche il riscontro del pubblico ci sta dando linfa, e va tutto a gonfie vele… e tutto questo è andare verso il tutto. Ma non parliamo di soldi, fama e successo, ci interessa soltanto continuare a fare musica.
Francesca: È proprio una questione di impegno personale.
Fausto: Anche perché è innegabile che chi fa musica lo fa per autopsicanalisi, per sfogare qualcosa. E quando vedi che questo fa star bene anche altra gente, che la tua musica rappresenta qualcosa anche per gli altri, quello è il massimo. Quindi "il tutto" è inteso come più gente possibile che abbracci la nostra musica.

Guarda che cosa saggia che avete detto. Più professionisti intervisto e più mi rendo conto che fare la musica full time permette di conoscere meglio se stessi (anche perché devi buttarti sull’autoanalisi anche solo per scrivere i testi).
Francesca: Sì, è un impegno completamente diverso a livello mentale, ti viene spontaneo canalizzare tutti i sentimenti nella musica.
Fausto: Però io ancora non ci credo che lo faccio di lavoro. Anzi, vivo quotidianamente una specie di senso di colpa.
Francesca: [dà una spinta a Fausto] Ma dai che non ti senti in colpa!
Fausto: Guarda che quando un artista poi si tranquillizza troppo, spesso perde il talento. Forse il trucco è quello, non accettare mai di fare il musicista per lavoro. Bisogna rimanere un po’ sulle spine. Come diceva Bassi? “Se domani gli gira…”
Francesca: “Anche al vero artista gli si stringe il culo / Perché sa che se gli gira a qualcuno domani ha chiuso”.
Fausto: Ecco, perfetto.

Segui Noisey su Instagram e su Facebook.