Alla fiera di Milano Est

In qualità di abitante di Milano con genitori in Brianza, mi è capitato di trovarmi il venerdì alla sbarra del “parcheggio dietro” di Cascina Gobba M2 in attesa del materno scarrozzamento. In queste occasioni notavo un insolito viavai multilinguistico da cui cercavo di isolarmi come tutti si isolano al giorno d’oggi: con l’iPhone. Fortunatamente, però, non tutti siamo così solipsistici, e parlando con un amico dotato di un Nokia la cui massima aspirazione potrebbe essere la polifonia ho scoperto che quello che mi sfilava accanto era il corteo di locals di un luogo di cui quasi ogni residente in Milano ha sentito parlare—soprattutto in due occasioni che sembrerebbero escludersi a vicenda e invece no: questa e questa—ma non ha mai visitato. Non Narnia ma il Mercato di Cascina Gobba. 

Il Mercato di Cascina Gobba è anche noto come Mercato dell’Est, e in effetti sta a est di molte cose, in primo luogo della città, in secondo luogo di tutto quello che è più a ovest della città (già). Più importante, a questo mercato arrivano merci dall’est dell’Europa o merci vendute da venditori che vengono dall’est. Nonché, abbiamo scoperto, i venditori stessi e le loro famiglie. Nella città del cinese della circonvalla, del bar e del parrucchiere cinese, del ristorante giapponese che in realtà il cuoco è cinese, è giunto il momento di andare a spiare anche nelle altre enclave del Far East, cosicché possiate risparmiarvi la fatica e continuare a dichiarare il sabato mattina una locuzione dotata di senso ma non di significato, come “i dinosauri superstiti”. 

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Premetto che queste foto sono state scattate con uno smartphone precisamente per lo stesso motivo per cui è possibile che tra qualche giorno questo articolo non sia più online: per un cartello bianco con una fotocamera barrata in rosso. Ad ogni modo, ecco il nostro resoconto di quanto potete trovare al mercato. 

Per esempio una casa. Questa bacheca è la prima cosa che ci siamo trovati davanti, prima ancora di entrare nel parcheggio adibito a mercato. Si è rapidamente riempita nel corso della giornata e, sempre che voi siate solo rumeni, non vedo perché continuare con la Casa dello Studente quando la soluzione è proprio lì appesa al sughero. Però mi chiedo: ma tu, signore presumibilmente rumeno che offri posto letto solo a rumeni, perché glielo scrivi in italiano? Non sarebbe stato più facile se l’avessi scritto in rumeno, così da 1. ottenere comunque il tuo risultato e 2. ottenerlo senza passare per ghettizzatore del tuo stesso popolo? O sei forse anche tu vittima della confusione linguistica e non sai che il rumeno e l’ucraino sono lingue incomprensibili l’una all’altra, l’una appartenente al ramo neolatino e l’altra al ramo slavo, e nessun emigrato da Kiev potrebbe nascondersi dietro quella faccia da rumeno per bene?

Subito oltre l’ingresso, come ogni popolo in diaspora, anche gli est-eri d’Italia hanno portato il tempio del loro Signore, ovvero una bancarella di icone e altre religiosità, come libretti di preghiere e figurine di santi in una cassetta di vino.

Ovviamente i clienti del mercato dedicano il sabato mattina alla spesa alimentare. Per sfrondare la malfidenza, ho deciso di usare la tattica del sorriso educato, quello da richiesta di informazioni alle vecchiette, e con questo sorriso cercare di incrociare lo sguardo di qualche venditore di aringhe salate, irretire il pescatore e spinarlo su quanto costino le sue merci, da dove vengano, chi le compri. Si chiama giornalismo investigativo, dolcezza. Ma ecco che un’altra barriera culturale si è frapposta tra me e il Pulitzer: l’universale mimica del sorriso non sembra essere recepita né riproducibile nella Milano Est. 

Secondo inciampo, l’incomprensione linguistica. Dimostrato il mio interesse all’acquisto di una barretta al cioccolato Autentic ROM© cu crema ROM© ottengo l’attenzione del venditore, che a sua volta chiama da qualche bancarella più in là un commerciante bilingue. Questi mi ha annunciato che potevo avere due barrette per un euro. Richiesto, mi ha anche istruito sulle “Fanta Special”, che vedete qui sopra: a destra, Fanta Special all’Uva, e a sinistra, Fanta Special al Kiwi (sì, lo so che è rossa). Nel mio cervello, solo due parole: Lunapop e toxoplasmosi.

Poco più avanti, un molto meno disponibile signore gestiva un frigo di cui ho per un po’ seguito il filo con lo sguardo, e che sono sicura non fosse collegato al vicino impianto. Ma, oltre a quello dell’alimentatore, ho perso anche il filo della questione: la cosa buffa non è che ci sia un signore con un frigo scollegato dal gruppo elettrogeno, ma che si preoccupi di fingere di conservare le proprie vivande in mezzo a un piazzale colmo di bancarelle di salsicce e brandelli di carne conservati con la tecnica del sacchetto di plastica sotto il sole. Altri cibi reperiti: pane, scatole di cartone con disegni di cannoncini e pasticceria assortita. Patatine al formaggio, sacchi di. Pesci con la testa mozzata che galleggiano ma non nuotano più in tolle di vernice o con ancora tutta la testa ma decisamente fuor d’acqua. Questi però non vengono dall’est, vengono dal Lambro.

Poi: bottiglie di birra da un litro e mezzo. Cavoli già cotti. Verdura fresca chilometro zero.

Quando mi fermo a curiosare la curiosa unica bancarella di un signore italiano, un furgoncino del gelato dove al posto del gelato ci sono piante in vaso di aloe vera, la voce del proprietario mi penetra sgradita l’orecchio, “Rumena o ucraina?” Per poi aggredirmi chiedendomi se voglio lavoro. Se non penso sia il caso di trovarmi un lavoro. Se non penso che questo lavoro potrebbe, anzi dovrebbe, essere smerciare l’aloe alle profumerie, alle erboristerie, alle gelaterie. Ogni volta che faccio per andarmene, ricomincia a parlare. Di quanto la sua azienda sia solida, affidabile, addirittura kosher come certificato qui:

Gli assicuro che tutto questo è molto interessante, ma PURTROPPO la mia attenzione è catturata dalla scoperta dell’anello di congiunzione tra l’occidente e l’oriente, un simbolo universale di civiltà e filantropia: le parrucchiere. Come in ogni civiltà, anche tra le donne di Cascina Gobba il sabato è il giorno comandato dal Signore per sfoltire e sagomare, in una nuvola di doppie punte e nebulizzazioni d’acqua con lo spruzzino da pianta d’appartamento. Comunque non vedo come non potrei migliorare il mio aspetto facendomi imparruccare da una signora con addosso degli occhiali da sole, il marito di quella della sedia accanto che controlla che nessuno guardi sua moglie e la cupola del San Raffaele dietro di me che mi ricorda che tutto questo ha un prezzo soprattutto se hai problemi con la tessera sanitaria (e in questo io e molte di queste persone probabilmente stiamo sulla stessa barca).

A questo punto però l’ansia si è impadronita di noi, di me in forma di ipocondria, di Giovanni in forma di mi scavallano la macchina. La macchina è in effetti per una botta di culo nel parcheggio non a pagamento, ma ogni botta di culo, dice il saggio, può romperti il coccige, e andiamo a spostarla nell’autosilo. Scopriamo così che l’intera rotonda fuori dalla sbarra è ormai un origami di macchine con targhe rumene e di altre varie parti del mondo di cui il mondo di solito non si interessa, e scopriamo molte altre cose di queste popolazioni. Queste cose sono: che o credono molto in Dio o hanno degli arbre magique costumizzati che invidio tantissimo

E che quella che per i cinesi è la falsificazione delle Vuitton per gli esteuropei è la falsificazione del Volkswagen (solo un esempio sotto).

In ogni caso, dietro i vetri oscurati di questi furgoni “Mercedes-Benz” dormono delle persone, e non sono gli eroi dell’after al Q21. Spostata la macchina nell’utero buio del parcheggio a pagamento, ci troviamo davanti i listini di una vera e propria agenzia viaggi. Sembra che per 60/70 euro questi signori vi traghettino al di qua del Muro di Berlino su un furgone. Anche di là, se volete. È dai tempi della scuola dell’obbligo che non faccio lunghi viaggi in pullman, e l’ho sempre considerata un’esperienza cinematografica, una cosa alla “la ragazza di campagna arriva a Hollywood sul pullman di linea e lancia il bagaglio giù dagli scalini”. Comunque sia, date le premesse—Volkswagen camuffati da Mercedes, macchine che potrebbero circolare sempre perché hanno entrambe le targhe alterne tenute su con il doppioscotch, impossibilità di farmi catturare dagli slogan sicuramente accattivanti di queste società di viaggio causa barriera linguistica—è il momento di abbandonare le bancarelle di salsicce per andare in cerca di altro marcio.

Abbiamo quindi iniziato a vagare tra i furgoni che alla luce della verità acquisivano tutto un nuovo significato. Anche i cartelli di divieto fotografie acquisivano un altro significato, e anche le signore con quelle che avevo pensato essere valigie della spesa. Con fare losco ci siamo messi a gironzolare tra i van per capire come funzionasse questa attività di import-export “pachete” e “persoane”, immediatamente capendo di non riuscire a essere loschi nemmeno la metà di quello che serviva per passare inosservati. 

Fuori da ogni furgo campeggiava una bilancia. Ora, io so di avere un’intelligenza pratica molto limitata, ma perché pesare tutti i miei bagagli? Questo furgoncino non decollerà comunque.

Comunque, come per ogni compagnia di viaggi, l’offerta sembrava varia: dal divano messo di sbieco nel retro di un van—”tariffa senza passaporto”—al pulmino dieci posti al pulman di linea probabilmente bersaglio di un bombarolo durante la primavera di Praga. Ci sono anche, ovviamente, i corrispondenti dei pacchetti vacanza all inclusive truffa che poi ti ritrovi in una topaia di Sharm El Sheik con la dissenteria all inclusa, per quelli che vogliono far pensare di essere big spender (vedi cartellone pubblicitario sotto) ma probabilmente non andranno più in là del Friuli (vedi furgone dietro il cartellone). 

Mentre faccio il palo per queste foto, un autotrasportatore atipico perché dotato di amichevole faccia mi coglie alle spalle “Vuoi andare in Romania signorina?” No, grazie, mia madre non sarebbe d’accordo, però ne approfitto per farmi sganciare un po’ di informazioni. Le bilance servono per i bagagli, ti è consentito di portare fino a 30 chili, 1,5 euro/kg. Dopodiché, sono mediamente 80 euro per persona per viaggiare sul pulmino 18 posti con tutti i finestrini, partenza ogni giovedì dalla Romania, ogni domenica da Cascina Gobba—infatti si gira tutto giulivo a mostrarci due autisti che dormono sdraiati a incastro sul sedile davanti di un furgone per i bagagli. Ci tiene a specificarmi che loro persone e bagagli li dividono, perché le “persone respirano”. 

Erano molteplici le foto e le domande che volevo fare a questo caro unico slavo che mi aveva sorriso, ma lui si stava facendo sospettoso, e l’unica polizia presente in loco non era la nostra (per una volta che saremmo stati così contenti di vedervi, ragazzi) ma la sicurezza privata locale, e loro stavano camminando verso di noi, per poi superarci in ranghi compatti e mani in tasca. Chissà cosa tengono in tasca quattro così, da non poterne togliere le mani. Ce ne siamo andati.

Ed eccoci all’amara immagine di conclusione. Siamo tornati, il giorno appresso, per poter scattare dal di qua delle sbarre una foto appositamente per suscitare in voi il senso di abbandono e desolazione che ci ha accompagnato per questo weekend. Tra le sbarre, la sporcizia, il buio dell’anima, i gabbiani e il San Raffaele c’è un’ultima considerazione da fare. Venire in Italia “in economy” costa più che andarsene in Romania, e questo dovrebbe farci gioire perché significa che, nonostante la strada dall’Italia alla Romania sia sicuramente in salita (vedi cartina geografica), in quei 10 euro ci sta tutta la considerazione che questo popolo ha per il nostro Paese. Non dovrebbe farci gioire il fatto che in quei 10 euro ci sta anche la considerazione che tutta l’Europa ha per il nostro Paese.

Ma forse, il trasporto dall’Italia alla Romania costa di meno per quel cartello a fianco alle offerte della Faby Trans: organizziamo il vostro funerale, con rito ortodosso, proprio come se foste a casa vostra ovunque sia casa vostra. Rimandiamo anche il cadavere a casa, prezzo favorevole. Dieci euro in meno che se foste vivi.

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