“Alcune si perdono per la difficoltà di emergere in una realtà micro-sociale di settore quasi esclusivamente maschile”
A fine settembre la squadra italiana di pasticceria ha conquistato il primo posto alla Coppa del Mondo di Pasticceria svoltasi allo Sirha, il salone della ristorazione di Lione, in cui quest’anno si sono sfidate undici nazioni.
Per il nostro paese è la terza Coupe du Monde de la Pâtisserie. Una bellissima vittoria, che però non mi ha impedito di constatare come dal 1989 a oggi in tutte le squadre vincitrici, ognuna composta da tre pasticcieri, ci sia stata una sola donna, e che le squadre italiane siano sempre e solo state composte da uomini.
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Quello della pasticceria è un settore in cui come donne è spesso capitato di sentirci “relegate”. Pensiamo a quando lo chef e personaggio televisivo Gianfranco Vissani ha affermato che “Una cucina per una donna è pesante. Poi ci sono quella mascoline […] però una donna, una bella donna, che scende in cucina, noi la mettiamo sempre in pasticceria. È meno pesante, è più decorativa […] Le casseruole pesano.” Per Vissani (e per chi la pensa come lui) glassare una torta è più ‘femminile’ — perché evoca maggiormente eleganza, leggiadria, grazia — rispetto a squartare un pesce o farcire un tacchino. Eppure a guardare i numeri nemmeno la pasticceria è un mondo per donne.
Perché ci sono poche donne in pasticceria?
Il mondo della pasticceria è dominata da una maggioranza maschile come e addirittura più di quello della ristorazione. Tutti i nomi più noti del settore, che guidano pasticcerie e imprese di grande e remunerativo successo, sono maschi — tanto per citarne alcuni dei più noti, Luigi Biasetto, Gino Fabbri, Iginio Massari, Andrea Besuschio e Sal De Riso. Anche se negli ultimi anni alcune donne sono arrivate a ricoprire il ruolo di pastry chef in ristoranti stellati, o aprire le proprie attività, la disparità rimane evidente, soprattutto se andiamo a guardare i professori delle scuole di cucina, i partecipanti ai concorsi o i membri delle associazioni di categoria.
Ho parlato con Debora Massari, imprenditrice che ha trasformato il nome del padre, Iginio Massari, in un brand di lusso: “Oggi la pasticceria è meno fisicamente impegnativa e quindi non si può considerare che la rivendicazione maschile stia nella forza. Oggi tra i pasticcieri differenziano maggiormente tecnica, manualità e competenza. La pasticceria è più professionalizzata che mestierante: ciò non significa perdere artigianalità, solo consacrare la standardizzazione del prodotto attraverso gli strumenti di produzione e di calcolo.”
“Parlo di discriminazioni spesso subdole: di silenzi, di scelte determinate dall’aprioristica preferenza altrui, di relegazione emotiva”
Quindi da dove parte, e su cosa si basa, questa evidentissima disparità numerica? Secondo Massari “Alcune si perdono lungo il cammino per quella che viene ritenuta un’incompatibilità con il ruolo di madre, altre per la difficoltà obiettiva di emergere in una realtà micro-sociale di settore quasi esclusivamente maschile. I concorsi aiutano, ma ai concorsi ci si presenta già adeguatamente formati, lo scoglio vero è antecedente.”
Per Massari la disparità numerica si traduce anche in una disparità di trattamento: “Essere donna e portare avanti le mie idee, con determinazione e senza reticenze, è stato talvolta visto con sospetto e diffidenza, e c’è chi ha cercato di limitare la mia possibilità di esprimermi, di innovare. Parlo di discriminazioni spesso subdole: di silenzi, di scelte obiettivamente determinate dall’aprioristica preferenza altrui, di relegazione emotiva. Aggiungo che se la natura, e una discreta dose di fortuna, non mi avessero offerto una garbata avvenenza, mi sarei risparmiata una buona quota parte di discriminazione. Per un tempo mi sono persino nascosta, ora non è certo il tempo della esibizione, ma sicuramente del passaggio sicuro e a testa alta.”
“Basti pensare che la brigata, termine usato per definire una squadra di cucina, è un termine mutuato dal campo militare”
Anche la pasticciera Benedetta Bigoni di Bibi Lab ha sperimentato in prima persona quanto possano risultare discriminatori alcuni meccanismi del settore: “Nel 2019 ho fatto domanda di assunzione in diversi posti. In una pasticceria rinomata mi sono sentita rispondere ‘Mi spiace, non prendiamo donne, anche se hai un bellissimo CV.’ Non ho chiesto spiegazioni e me ne sono andata. Non ho idea del perché qualcuno dovrebbe dire una cosa simile. Immagino fosse per il discorso della sostituzione di maternità.”
Quando le chiedo perché le donne non siano presenti quanto gli uomini nel settore lei risponde che “è un lavoro molto fisico e molto impegnativo, a cui dedicarsi al 100%. Ci vogliono forza di volontà e passione.” Una risposta che mi sento dare spesso anche parlando con delle cuoche: perché diamo per scontato che le donne quelle risorse facciano più fatica a trovarle? Perché nelle donne stesse è radicato il pregiudizio che siamo meno portate al sacrificio per la carriera, o a sottoporci a stress fisici e psicologici, mentre ad esempio il sacrificio per la famiglia, quello sì riusciamo a farlo senza problemi?
“Credo che la maggior parte delle pasticciere scelga di non tentare nemmeno perché in famiglia non c’è chi la motiva e la aiuta”
Spiega la psicologa Marilena Iasevoli: “Gli stereotipi e le aspettative sociali sui ruoli di genere nascono già all’interno della famiglia. È lì che c’è il primo imprinting della discriminazione. La donna è fragile, accudente, emotiva e tendenzialmente instabile; invece l’uomo, con la sua solidità, è più adatto a fare il capo. Basti pensare che la brigata, termine usato per definire una squadra di cucina, è un termine mutuato dal campo militare.”
Ho parlato con Silvia Federica Boldetti, al momento l’unica donna accademica dell’AMPI, Accademia Maestri Pasticceri Italiani, che mi ha spiegato meglio come funziona l’accesso ai concorsi: “Chiunque si può iscrivere ma arrivano pochissime candidature di donna. Perché le donne non lo fanno? Secondo me il problema di discriminazione di genere è a monte, non dentro la pasticceria. Un Campionato del Mondo richiede tempo ed energia. È un anno in cui fai solo quello. Credo che la maggior parte delle pasticciere scelga di non tentare nemmeno perché in famiglia non c’è chi la motiva e la aiuta.”
I concorsi per sole donne
Anche nell’AMPI la sproporzione è palese, visto che lei è stata la prima donna a entrarvi — e per ora è l’unica donna presente. Anche in quel caso ne fa un discorso di quantità di impegno attivo richiesto: “Non è solo un riconoscimento. Ci sono continuamente simposi, scambi, eventi. È come entrare in una nuova famiglia, come far parte della classe di una scuola.” E si è mai sentita discriminata nel settore? “In generale nel mondo del lavoro sì. Incontri sempre qualcuno che ti tratta diciamo da donnetta, ma è un problema suo, io me ne sono sempre fregata.”
Nel 2016 la Boldetti ha vinto il concorso Pastry Queen. Il concorso si tiene con cadenza biennale al Sigep di Rimini e quando ho visto la sua grafica rosa e sormontata da una coroncina ho avuto un istintivo moto di avversione, corroborato da quel titolo, queen, che mi sembrava più vezzoso che celebrativo. Eppure la sua è stata un’esperienza assolutamente positiva: “Io lo vedo come un incentivo e non come una ghettizzazione. La preparazione è molto tosta: per un anno ho messo da parte tutto, famiglia, fidanzato, amicizie. Però poi mi ha portato nuove opportunità, esperienze e collaborazioni.”
“Spesso facevano brutte e tristi battute a sfondo sessuale, hanno cercato di scavalcare la mia posizione e mi hanno sminuito pubblicamente”
Un’altra a vedere in modo favorevole i concorsi tutti al femminile è Dalila Salonia, pasticciera al due stelle Michelin Il Pagliaccio di Roma, che commenta “Per quanto riguarda i concorsi, la maggioranza dei partecipanti sono uomini, ma comunque in qualche gara passata ricordo che ci siano state spesso anche donne. In Cast Alimenti ho seguito ragazzi che si preparavano per queste tipologie di concorsi e posso assicurarti che sono massacranti. Ore e ore di lavoro, notti di prove e simulazioni di gara e ansie pazzesche. Forse gli uomini più portati nel concentrarsi spesso anni negli allenamenti? Non lo so. Poi ovviamente ci sono sempre delle eccezioni.”
Salonia ci racconta il suo percorso: “Ho frequentato la scuola di formazione Cast Alimenti e poi ho deciso di buttarmi nella ristorazione. Ho fatto due esperienze in due ristoranti stellati, una delle quali, a Villa Crespi di Antonio Cannavacciuolo, è stata davvero dura: quasi 100 coperti a pranzo e a cena. E mi sono davvero resa conto di quanto sia difficile per una donna, —specialmente se giovane, perché all’epoca avevo 24 anni- lavorare in una cucina di alto livello con tutti uomini.”
Salonia non nasconde le difficoltà che ha incontrato nel suo percorso: “Purtroppo la verità è che in questo settore, nella ristorazione, partiamo svantaggiate, anche se lavoriamo nella pasticceria che si può dire sia, passami il termine, una cosa un po’ a se rispetto alla cucina. Spesso non ti danno la credibilità e purtroppo nemmeno il rispetto che meriti. Io lì ero responsabile della pasticceria e avevo come demi-chef e commis ragazzi più grandi di me, che non aspettavano altro che un mio passo falso per mettermi in piedi in testa, dando per scontato non fossi in grado di gestire la brigata. Spesso facevano brutte e tristi battute a sfondo sessuale, hanno cercato di scavalcare la mia posizione e mi hanno sminuito pubblicamente davanti alla brigata.”
Dopo otto mesi se ne è andata ed è arrivata al Pagliaccio. La sua esperienza lì è fortemente cambiata: “Qui si può dire che ho trovato il ‘paese dei balocchi’ e allo stesso tempo pane per i miei denti. Lo Chef Anthony [Genovese, NdR] mi lascia piena libertà di esprimermi e mi motiva in continuazione a fare sempre meglio. Quello che penso ora è che purtroppo noi donne partiamo svantaggiate ma poi possiamo riprenderci tutto, perché ogni ambiente lavorativo è diverso, e soprattutto ogni Chef è diverso. Non è detto che se in un posto ti sei trovata male tutti gli altri saranno così.”
“Penso ci vorrà tanto tempo per sbarazzarci di pregiudizi internalizzati e bias cognitivi. Ci vorrebbe più solidarietà tra noi”
Tra le pasticciere più famose d’Italia c’è Loretta Fanella. “Ho un figlio, un marito e un’azienda. Non è facile gestire tutto ma non è l’unico settore a richiedere sacrifici. Quando ho iniziato eravamo in pochissime donne, ma non ho mai subito episodi di discriminazione. Ora vedo in quante siamo e no, non penso siamo ‘arrivate’, ma un po’ di strada è stata fatta.” Della stessa opinione è Elena Falliero, pastry chef di Al Cjasal, dove è arrivata dopo aver lavorato tanti anni con gli Alajmo: “Sinceramente non avevo mai fatto caso al fatto che fossero tutti uomini. Io ho quasi sempre lavorato con solo uomini e non mi sembra di essere stata trattata in maniera differente.”
Sono stata contenta di raccogliere testimonianze di assoluta positività. Ogni esperienza è assolutamente valida e così come non metterei mai in dubbio le testimonianze di discriminazione e sessismo, non intendo mettere in dubbio chi sostiene di non aver mai avuto problemi nel settore e dà comunque ottimismo confrontarsi con donne talentuose e determinate che hanno fatto della pasticceria il loro mestiere. Però i numeri parlano da soli e mi è dispiaciuto sentire come a volte siano le donne stesse a mettere in dubbio il proprio talento, o comunque ad attribuire agli uomini propensioni, competenze e attitudini che non hanno nessun tipo di matrice biologica.
Spiega Iasevoli: “Come dicevamo tutto parte dalla famiglia. Ad esempio se alle bambine mostri più emozioni, mentre ai bambini dici di mostrarne meno, già da lì cominceranno a crescere in modo diverso. E poi c’è il discorso della maternità: è difficile conciliare le aspettative sociali che ci vogliono madri con la ricerca di una carriera. Specialmente in un settore come la ristorazione, dove si lavora a orari ‘strani’ e anche nei giorni festivi, le donne introiettano sensi di colpa. Non ci dobbiamo sentire in colpa né frenate nel conciliare figli e carriera. Penso ci vorrà ancora tanto tempo per sbarazzarci di pregiudizi internalizzati e bias cognitivi. Ci vorrebbe più solidarietà tra noi donne, ma soprattutto più politiche solidali da parte del governo.”
Alla Coppa del Mondo di Pasticceria le donne mancavano un po’ dovunque: non è un problema solo dell’Italia. In pasticceria ci sono tante, tantissime donne, ma più si sale verso posizioni di comando, o in ruoli di visibilità come gli show Netflix, più il loro numero diminuisce. Per inquadrare il fenomeno è stato coniato il termine leaky pipeline: un tubo rotto che perde, perde, perde fino a svuotarsi completamente.
Debora Massari mi dice che nella loro impresa hanno una forza lavoro femminile del 58%. È poco? È tanto? È un inizio.
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