Música

Pitbull vivrà per sempre

A Kingston, in Jamaica, un ragazzo del luogo con un cappellino con su scritto “BLESSED LOVE” osserva Pitbull mentre strofina il didietro di una ragazza che appare nel suo video, in un ristorante all’interno di uno dei due complessi di proprietà della famiglia Marley. Pitbull si è portato quella ragazza con sé dalla sua città, Miami, specificamente per il suo sedere. È fenomenale. Sporge dai suoi addominali piatti e dai suoi fianchi larghi; ha un po’ di grasso sulle gambe, a prova che il suo sedere non è opera di qualche chirurgo plastico ma è un’eredità lasciatale dalla Florida stessa. “Perché Miami ha i sederi migliori?” mi chiederà Pitbull più avanti. “È molto semplice: è un melting pot in cui si incontrano molte diverse culture, il che crea anomalie genetiche. 

Pitbull è a Kingston per filmare il video del suo nuovo singolo, “Options”, un featuring con Steven Marley. Ha dei pantaloncini, una camicia nera a maniche corte e delle scarpe Fila—un outfit che mia madre, che ha passato la sua adolescenza in una roulotte nella Florida del sud, definirebbe “formale”. 

Finita di girare la sua scena, Pitbull esce di corsa dal ristorante e sale su una moto gialla. Un’altra ragazza si siede dietro di lui, e Pitbull parte. Un pickup rosso gli sta di fronte. Diversi cameraman e il suo fotografo personale, Greg Watermann, cercano di restare in equilibrio nel cassone del pickup. Watermann—che è alto e magro e ha lunghi capelli grigi, prodotto di quel mondo del rock che definisce Pitbull una “rockstar” in tutto e per tutto—si china e si intrufola tra i cameramen, fotografando il suo boss. Più tardi mi spiegherà, “Pit dice—è una bella citazione—che è come fare uno shooting senza fare uno shooting.”

Ci sono diverse motociclette della polizia attorno alle nostre auto, e ci accompagnano fino al cuore di Trenchtown, il leggendario e poverissimo quartiere dove Bob Marley è nato e cresciuto. Le strade sono popolate di capre selvatiche, piccioni e cani. Le case sono fatiscenti, hanno tetti di lamiera e muri fatti di diversi tipi di legno. I loro abitanti cominciano a rendersi conto della presenza di Pitbull e fanno per inseguirlo. Una ragazza ha addosso una maglietta un po’ sporca con su scritto, “No worries, Hakuna Matata.” Pitbull la guarda, passandole di fronte.

“Voleva girare qua in quartiere,” mi spiega il manager di Pitbull, Michael Calderon. “Dovevamo girare ‘Options’, e la scena sarebbe dovuta essere su una spiaggia. E lui ha detto che non voleva farlo, che voleva girare in Giamaica, con la famiglia Marley, che voleva essere per strada. Perché? Perché crede fermamente che camminando per strada potrebbe sentire qualcosa—potrebbe sentire una canzone.”

Data la sua percezione pubblica, Pitbull come grande uomo di cultura potrebbe essere un concetto strano. Ma chi vive in Florida ha capito da tempo la complessità dietro al suono e ai testi di Pitbull. In parte è perché sono nato lì che sono qua con lui oggi. Qualche settimana prima il suo management mi aveva chiamato, offrendosi di pagarmi il viaggio da Los Angeles a Kingston e una stanza d’hotel. (Ho accettato, a patto che né Pitbull né il suo team mi chiedessero le domande dell’intervista prima di farla.) Pitbull guarda sollo VICELAND, CNBC e Bloomberg, mi spiega il suo team. Voleva essere intervistato da un corrispondente di VICE, preferibilmente cresciuto nella Florida del sud. Io sono il profilo perfetto. Quando sono arrivato sul set in Giamaica mi ha dato il benvenuto saltando fuori da una roulotte bianca, come la canottiera che aveva addosso. Mi ha stretto la mano, mi ha tirato a sé—come ci salutiamo in Florida—e ha gridato, “Facciamo la storia, baby! Dale!”

I suoni e la cultura della nostra città giocano un ruolo centrale nell’ultimo album di Pitbull, uscito il 17 marzo. È un misto tra i suoi classici pezzi da festa e il pop degli anni Ottanta (l’equivalente musicale dello spandex che avvolge le curve di molti floridiani), con allusioni alla sua infanzia difficile negli anni Ottanta e ai conflitti della politica contemporanea. L’ha chiamato Climate Change, nel bel mezzo della crisi del riscaldamento globale che sta colpendo, in particolare, la Florida. Il livello del mare si sta alzando, e la Florida del sud ha già visto delle alluvioni; in tutto questo, il governatore Rick Scott ha negato l’esistenza del cambiamento climatico. 

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“Ovviamente c’è un messaggio dietro a tutto questo,” specifica Pitbull. “Ho fatto Global Warming e Globalization, e ora è il momento di Climate Change.”

Il titolo dell’album, ovviamente, ha un doppio significato. Sono più di dieci anni che Pitbull porta avanti un proprio cambiamento nel clima culturale, spingendo nel mainstream la musica latino-americana e la variegata e controversa cultura di Miami. Come ha detto Billy Corben, il ragazzo flordiano che ha diretto il documentario Cocaine Cowboys, “Pitbull sta a Miami come Walt Disney sta a Orlando… Vende il sogno: l’idea che Miami è questo melting pot di donne e lingue in cui si fa festa ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette.” E adesso Pitbull sta continuando la sua missione, mentre il presidente Trump sta tentando di attaccare tutto ciò che l’amministrazione Obama aveva fatto riguardo ai cambiamenti climatici e promuovendo un’agenda anti-immigrazione e anti-globalizzazione—idee antitetiche a quelle di Pitbull. Climate Change è il passo più radicale del grande piano di Pitbull il cui scopo è rendere la controversa cultura di Miami la principale forza culturale in America.

“Miami ha preso il controllo degli Stati Uniti, nello stesso modo in cui noi ci siamo presi gli Stati Uniti e il mondo,” spiega Pitbull. “Pensaci: Miami è una delle mecche non solo degli Stati Uniti ma del mondo intero, e ce l’hanno fatta, o ce l’abbiamo fatta, in circa quarant’anni. Nella metà del tempo in cui ce l’hanno fatta New York, Los Angeles e Chicago.”

“Ce l’abbiamo fatta per merito di tutta la cultura che ci circonda. Siamo la piattaforma di lancio verso l’America Latina e tutti i Caraibi, ok—e penso che sia una qualità fondamentale.”

Le rivoluzioni sono nel sangue di Pitbull. Sua nonna, la mamma di sua mamma, partecipò alla guerra rivoluzionaria di Cuba assieme a Fidel Castro. “C’erano quattro donne che andarono sulla montagna con Castro,” dice. “Lei era una di quelle.” Dopo essersi resa conto delle realtà del regime di Castro, nonna Pitbull si allontanò dai comunisti e grazie all’operazione Peter Pan—una missione che mandò 14,000 bambini rifugiati cubani a Miami senza accompagnatori adulti tra il 1960 e il 1962—mandò sua figlia, la madre di Pitbull, in Florida. Allora aveva dieci anni. Un altro dei suoi parenti, dice Pitbull, è stato prigioniero politico per anni a Cuba.

La vita di Pitbull è stata molto diversa, ma viene da una famiglia chiaramente ribelle. “Sono un rivoluzionario?” si chiede. “Assolutamente sì.”

L’idea di un Pitbull rivoluzionario sembrerà assurda a chiunque non sia nato nella Florida del sud. Dopo aver firmato un contratto con la RCA nel 2009, Pitbull è comparso in pubblicità di birre e ha avuto singoli di successo in cui parlava di shot e di sesso in un “hotel, motel, Holiday Inn.” La sua ascesa alla fama e il conseguente contraccolpo d’immagine sono andati in parallelo con il dibattito culturale su Miami-città. Il colosso culturale della città è la Art Basel Miami Beach, un’enorme fiera d’arte che ogni anno porta grandi collezionisti a Miami da New York, Dubai e Parigi. L’anno scorso, il Whitney Museum of American Art si è rifiutato di includere artisti nati in Florida nella sua biennale del 2017, ed è la quarta edizione di fila che questo accade nonostante l’innegabile centralità di Miami nel mondo dell’arte. È una circostanza familiare per Pitbull, con GQ che l’ha definito uno dei 25 rapper peggiori di sempre (assieme all’ex marito di Britney Spears, Kevin Federline), e gli snob del rap lo deridono dandogli del venduto. “Sono un ragazzo di Miami, e quindi mi sento sempre un po’ attaccato,” ammette. “Parto sempre svantaggiato, e quindi combatto e lavoro sempre più duramente.”

Pitbull non è nato con un paio d’occhiali da sole e un completo bianco addosso. I suoi primi anni sono in forte contrasto con la sua impeccabile immagine pubblica, e oggi i floridiani parlano di Pitbull in termini mitici, come se fosse una sorta di Ercole di Miami. Sentire lui e i suoi amici più stretti raccontare la sua storia non fa che rendere più vivida quest’impressione. “Guardi quello che Pit ha passato, i quartieri in cui ha vissuto e quello che ha fatto, e ti rendi conto che in pratica ce l’ha fatta,” dice il suo amico Joshua “Whiteboy” Gallander, che lo conosce fin da quando era piccolo. “Pit è davvero il prescelto.”

“Sono un ragazzo di Miami, e quindi mi sento sempre un po’ attaccato. Parto sempre svantaggiato, e quindi combatto e lavoro sempre più duramente.”

La storia è questa: nel 1980, uno spacciatore di coca cubano, Armando Perez, conobbe una ballerina, Alysha Acosta, a un topless bar di Miami. Andarono a letto assieme e nove mesi dopo, il 15 gennaio 1981, lei diede alla luce il bambino che un giorno il mondo avrebbe conosciuto come Pitbull. “È andato tutto bene,” mi dice lui. “Cazzo, devo trovare quel bar!” In un’intervista del 2015, rilasciata ad Howard Stern, Pitbull racconta che Acosta indicava le stelle nel cielo di Miami e diceva a suo figlio che un giorno sarebbe stato una di loro. È un racconto perfetto, ma bisogna ricordare che Pitbull è cresciuto in un periodo turbolento, lontano dalla Miami Beach delle fiere d’arte di oggi. Nel 1981, il suo anno di nascita, il New York Times riportò che Miami era la città con il più alto tasso di omicidi al mondo.

“Quando avevo cinque, sei anni ero nel mezzo dell’ondata di crimine che aveva colpito Miami, ma non me ne rendevo conto,” ricorda Pitbull. 

Suo padre e i suoi amici si guadagnavano da vivere spacciando. Da piccolo, Pitbull accompagnava suo padre per i bar di Little Havana, dove lui lo obbligava a mettersi in piedi sui banconi e recitare a memoria le poesie politicizzate del poeta cubano José Martí. Quando Pitbull arrivava all’ultima parola, gli spacciatori e i signorotti della droga locali esplodevano in un applauso. “È la prima volta in cui mi sono reso conto di quanto le parole potevano essere potenti,” ricorda. “Ma più che ogni altra cosa, quelle poesie che recitavo parlavano tutte di libertà, parlavano di gente che combatteva, che combatteva per quello in cui credeva, voleva capire la propria cultura e dare un valore alla propria vita.”

Per gran parte della sua infanzia, Pitbull non ha avuto una quotidianità con suo padre, che aveva cominciato ad abusare delle droghe che spacciava fino a perdere tutti i suoi soldi. “Cacchio, odio mio padre”, Pitbull ricorda di aver detto a sua madre quando aveva dodici o tredici anni. Lei lo corresse: “Tu non odi niente. Può non piacerti tuo padre, ma non hai avuto l’opportunità di conoscerlo. È un uomo molto speciale. Ha un grande cuore. È solo malato.”

Nella maggior parte delle sue interviste, Pitbull definisce sua madre “un cazzo di genio” che non è riuscita a esplicitare il suo potenziale per le circostanze politiche che hanno accompagnato la sua infanzia. Una volta arrivata in America, Acosta non vide sua madre per sette anni. “Per dirla terra terra, l’esperienza di vita di mia madre l’ha davvero mandata a puttane,” dice Pitbull. Per evitare che suo figlio avesse il suo stesso destino, Acosta andava di porta in porta a vendere contratti della TV via cavo, acqua filtrata e prodotti Avon. Pitbull sedeva sul sedile passeggero nella sua Ford Pinto del 1982 e la accompagnava sul lavoro. “Faceva così caldo che le cosce ti restavano appiccicate ai sedili,” ricorda Pitbull. “È con lei che ho imparato a vendere.”

In quei lunghi viaggi, Acosta parlava a suo figlio del riscaldamento globale, lo incoraggiava a investire in internet e ad ascoltare audiolibri di auto-aiuto. Un giorno, mise su una cassetta di Tony Robbins, un relatore motivazionale. Pitbull si arrabbiò. 

“Non voglio ascoltare ‘sta merda,” disse.

“Hai pagato tu questa macchina?” rispose lei.

Pitbull chiuse la bocca e ascoltò Robbins. “La storia che mi è sempre rimasta in testa è quella del colonnello Sanders di KFC,” ricorda Pitbull. “Gli dissero mille no, ma poi riuscì a vendere quella ricetta. E ci sono persone che a malapena reggono un rifiuto. Pensa cosa significhi reggere mille rifiuti!” Oggi, Pitbull collabora con Robbins in alcuni dei suoi seminari. 

Anche l’ascesa alla fama di Pitbull è una di quelle storie che potreste sentire su una cassetta di Robbins, ma Pit è convinto che sarebbe finito come suo padre se non avesse conosciuto un barbiere, Eddie. “È una componente chiave,” dice. “Eddie è quasi un angelo, nella mia vita.”

Quando andava al liceo, Pitbull ebbe dei problemi con la legge. (Non mi vuole dare troppi dettagli.) Un giudice lo condannò a fare ore di servizi sociali; lui entrò nel negozio di un barbiere e chiese al titolare, Eddie, se poteva spazzare per terra per completare le ore che gli mancavano. Eddie gli parlò, da ragazzo di Miami a ragazzo di Miami: “Senti, ti faccio fare queste ore, ma se questo giudice dovesse leggere il mio nome ti chiederà di me,” disse, a quanto ricorda Pitbull. “Solo, stai attento a dirgli che non mi conosci, e che non è chi pensa io sia.” E così Pitbull fece. 

Un giorno, mentre spazzava per terra, Pitbull sentì un cliente dire che sapeva rappare. Questo si mise a fare un freestyle, e quindi Pit rispose con un suo verso. Il negozio scoppiò. “Che cazzo?”, disse Eddie, facendo sedere Pitbull. “Aspetta un secondo, amico.” Gli impedì di cazzeggiare in quartiere e, da quel giorno, Eddie cominciò ad andare a prendere Pitbull a scuola e lo portava direttamente al negozio. “La cosa peggiore che puoi essere, nella vita,” gli disse Eddie, “è un talento sprecato.”

Nel giro di poco, Pitbull si stava sbattendo per essere notato nella scena rap locale. Nel 2000 Luther Campbell, faccia dei controversi 2 Live Crew, lo scoprì. Campbell, che la gente del luogo chiamava Uncle Luke, stava cercando un protetto cubano-americano. “Avevo letto un articolo sul giornale che parlava dell’ulimo censimento degli Stati Uniti, e di come i latino americani sarebbero diventati sempre di più in tutto il paese,” scrisse Campbell sul Miami New Times nel 2011. “Pensai che sarebbe stata una buona idea, da un punto di vista economico, sviluppare un artista latino.”

Le stazioni radio locali lo ignoravano, ma Pitbull sviluppò una strategia per far passare i suoi pezzi su Power 96, la stazione pop e hip-hop principale in città. “Quando fanno una trasmissione dal vivo da un club, andiamo lì”, disse, stando a quanto ricorda il suo manager Michael Calderon. Ogni sabato, Pit e Calderon stavano addosso ai DJ del Club Deep e del Mad Jack, due discoteche locali, e gli passavano le ultime cose di Pitbull. Piano piano, Power 96 cominciò a passarle regolarmente. 

Fu TVT, l’etichetta floridiana che stampò Kings of Crunk di Lil Jon & the East Side Boyz, a pubblicare l’album di debutto di Pitbull, M.I.A.M.I., nel 2004. Su quell’album ci sono pezzi pensati per il club—quando andavo alle medie a Fort Lauderdale, o “Fort Liquordale” come lo chiama lui, tutti si strusciavano al ritmo della sua “Culo” ai balli della scuola—ma anche brani in cui Pitbull parla di crimine e dell’esperienza cubano-americana. “Non solo mio padre spacciava roba / Si faceva la roba che spacciava,” rappava in “Hustler’s Withdrawal.” “Ora mio padre non ha un cazzo.”

Due anni dopo fu il turno di El Mariel, il suo secondo album, che prese il nome dal disastro umanitario conosciuto come l’Esodo di Mariel. La crisi esplose nel 1980 dopo che il dittatore cubano Fidel Castro aveva fatto deportare 125 mila cubani, molti presi da ospedali psichiatrici e galere, in Florida. “Fu un enorme disastro umanitario, per un po’ c’erano queste tendopoli spuntate sotto l’autostrada, come in Scarface“, spiega Corben, il regista di Cocaine Cowboys. “Era estate, a Miami, sotto una cazzo di autostrada!” Pitbull riempì El Mariel di ospiti come le star dell’hip hop di Miami Trick Daddy, Lil Jon e Trina, rinforzando il proprio ruolo nella città. Al contrario di quanto molti pensano di lui, Pit si è formato come artista in una scena hip hop autentica, nella quale era più famoso per denti d’oro e treccine che per gli abiti su misura. Il successo, però, ha portato ulteriore successo. Quando Pitbull pubblicò Planet Pit nel 2011, che include la sua hit “Give Me Everything”, registrata in collaborazione con il producer house olandese Afrojack, Pit non fu più soltanto un rapper di Miami, diventò una pop star globale.

Dopo la sua trasformazione da Mr. 305 a Mr. Worldwide, Pitbull promuove l’immagine della città con l’annuale Speciale di Capodanno a Miami trasmesso su Fox, investe nelle aziende tecnologiche locali e si è anche comprato una percentuale di Miami Subs, il fast food dove ha scritto molti dei suoi primi testi. Per molti fan, il suo dedicarsi agli affari mentre la sua musica diventa sempre più commerciale potrebbe sembrare un modo di vendersi, ma è un concetto che non funziona in Florida perché è uno stato senza dinastie di ricchi (per contestualizzare, quando la mia famiglia mi portava in vacanza a Palm Beach, pensavo che Donald Trump fosse un aristocratico per via di tutto quell’oro nella villa di Mar-a-Lago). La Florida è unica nella sua accoglienza agli immigrati e celebra l’impegno dei nuovi arrivati che cercano di dare una vita più facile ai propri figli. Come dice Pitbull in “Can’t Have”, tratta da Climate Change: “Prima lucidiamo scarpe / Poi ci compriamo il negozio di scarpe / Prima facciamo i panini / Poi ci compriamo il ristorante / Prima facciamo le pulizie / Poi ci compriamo tutte le case della via / Mica male per un pugno di immigrati”.

Pitbull ha rivendicato tanto la parte di sua madre quanto quella di suo padre, un mix di etica affaristica da migrante e stile da trafficone. Pitbull fa festa, ma a differenza di suo padre sa quando fermarsi, perché ha ereditato il buon senso della madre. Investe la sua fortuna invece di comprare yacht. Come uomo d’affari, però, ha imparato dagli amici trafficanti del padre. Molti di loro avevano investito nel settore immobiliare, in modo da rendere più difficile al governo la confisca dei loro beni, e Pitbull ha fatto lo stesso (i broker finanziari sono i “trafficoni definitivi”, secondo lui). Ha anche fatto cose positive per la città di Miami, aprendo la scuola privata di amministrazione sportiva SLAM nel suo vecchio quartiere.

Gli abitanti della Florida sanno che Pitbull è rimasto fedele alle proprie radici grazie ai riferimenti nelle sue canzoni che il resto degli Stati Uniti coglie raramente. Per esempio, il suo primo successo del 2009, “I Know You Want me (Calle Ocho)”, cita il festival annuale di Calle Ocho, una sagra pan-americana che si svolge nelle strade di Little Haiti. Due anni fa, Pitbull ha anche pubblicato un album in spagnolo intitolato Dale, guadagnandosi anche un Grammy. 

“Ecco perché è così famoso tra i latinos, perché comprende la storia dei cubani negli USA e usa riferimenti che tutti noi possiamo cogliere”, fa notare la critica musicale Julianne Escobedo Shepherd, che ha difeso Pitbull su Deadspin e sul New York Times. “Ha pubblicato un album interamente in spagnolo che nessuno dei suoi fan non-ispanofoni si è cagato, il che è davvero irritante, visto che è un album strepitoso. Non credo che si stia prostrando per l’uomo bianco come pensano gli hater”. 

Climate Change contiene influenze dalla maggior parte dei gruppi etnici di Miami, dai cubani ai giamaicani ai turisti canadesi che passano l’inverno in città. I suoi ospiti (Jennifer Lopez, FloRida, LunchMoney Lewis, Joe Perry, Ty Dolla $ign, R. Kelly e Leona Lewis per citarne alcuni) riflettono la varietà della città.

Per lavorare sull’album, Pitbull ha girato il mondo insieme al DJ Edwin Phenom, che gestisce il sito DJ City e il canale Sirius di Pitbull, Globalization. Un giorno, mentre si trovava su aereo, Pitbull ha deciso di mettere a tutto volume la pop star anni Ottanta Pat Benatar, la cui musica compariva spesso in Miami Vice quando lui era bambino. “Adoro Pat Benatar”, dice Pitbull enfaticamente. “Adoro anche la storia del video, con lei che è una fuggitiva in cerca di se stessa e l’amore è un campo di battaglia. Mi sento allo stesso modo”. Ha mandato a Phenom una delle sue tracce e gli ha chiesto di trovare qualcuno in grado di interpretare il ritornello di “Love is a Battlefield”. Che ospite potrebbe essere in grado di raggiungere quella nota?, Phenom ricorda di aver pensato. Risposta: la cantante canadese di “Hideaway”Kiesza.

Potrà sembrare una scelta inusuale per un ritornello di Pitbull—tra la sua reputazione virale e la sua cresta rossa, Kiesza sembra quasi una Robyn canadese—ma Pitbull usa la sua voce nella strana e affascinante traccia “We Are Strong”. Kiesza apre la traccia cantando a squarciagola il refrain di “Love Is a Battlefield” su un tappeto di suoni elettronici, poi Pitbull usa la sua strofa per commentare le elezioni del 2016: “Non ci si può fidare dei dibattiti presidenziali / La politica vuole solo ingannarti”. La bizzarra giustapposizione porta alla mente immagini di criminali in locali bui colorati dai neon, la tendenza di Miami a mandare a puttane le elezioni politiche (vedi il 2016 e il 2000) e turisti canadesi in muta sulla spiaggia.

Quando Pitbull ha registrato il verso “dal più alto grattacielo di Tokyo” su “Feel This Moment”, si trovava letteralmente nel più alto grattacielo di Tokyo. 

Pitbull scrive le canzoni in un quaderno speciale con quattro penne molto costose. “Ognuna significa qualcosa per lui”, spiega Phenom. “Una gliel’ha data un amico di famiglia, un’altra un partner in affari molto speciale”. Dopo aver scritto una strofa, Pitbull la trascrive sul computer e la manda via email a  Phenom, che la inoltra a un producer che compone le strumentali (alcuni ritornelli sono scritti dai producer, altri da Pitbull stesso). Pitbull poi registra le canzoni con il suo studio portatile all’interno di una camera d’albergo o su una barca, perché trova che gli studi di registrazione siano perdite di tempo. Quando Pitbull ha registrato il verso “dal più alto grattacielo di Tokyo” su “Feel This Moment”, si trovava letteralmente nel più alto grattacielo di Tokyo.

Tra tutte le canzoni di Climate Change, il primo singolo “Options” è quello che riassume meglio la missione di Pitbull di catturare la cultura variegata di Miami e portarla alle masse tramite la musica popolare. “‘Options’ ha una certa atmosfera, con quella chitarra acustica pizzicata”, mi dice Marley seduto nel salotto di casa del suo defunto padre, Bob Marley. “Musicalmente, be’, tantissimi giamaicani emigrarono in Florida, quindi negli anni Ottanta la Florida era letteralmente satura di gente dei Caraibi. E l’incrocio di queste culture è tutto lì, nella canzone”. 

Marley conobbe Pitbull tramite il loro amico comune Whiteboy, che a sua volta fece amicizia con Pitbull nel 1996, e andava a scuola con Ky-Mani Marley. Attraverso i party di Ky-Mani, finì per fare amicizia con il resto del clan Marley. Whiteboy coordinò le riprese del videoclip nei due complessi di proprietà dei Marley in Giamaica. 

“Hanno una grande energia”, dice Whiteboy dei due monumenti di Kingston. “Nessuno ha mai filmato qui”. Un complesso consiste dello studio di registrazione Tuff Gong, una stamperia di dischi e un ristorante. L’altro è la casa di Bob Marley, che sua moglie, Rita Marley, ha trasformato in un museo. Sembra più uno studio cinematografico in miniatura che una residenza. Una statua di Bob Marley con un leone campeggia davanti alla casa, e un muro altissimo con un imponente cancello circonda l’entrata. C’è un murale che recita: “SECONDO UOMO NERO PIÙ SEXY DI TUTTI I TEMPI SECONDO TIME MAGAZINE BOB MARLEY”. È il simbolo vivente di ciò che Bob Marley è riuscito a conquistare—uscire dalla povertà e rendere il reggae un genere di massa—prima di morire a soli 36 anni. Che è l’età attuale di Pitbull, il che rende il piano di conquista globale dell’artista di Miami plausibile e non così impossibile da realizzare.

Pitbull è conquistato dalla storia musicale di queste mura. Attraversa con lunghe falcate un corridoio giallo tappezzato di dischi di Bob Marley dentro agli studi Tuff Gong, urlando: “Diamoci dentro, stronzi!” Poi si rivolge a un membro della troupe: “Dov’è il signor Chow?”

Chow è stato l’ingegnere del suono di Bob Marley per gran parte della sua carriera. Secondo una video-intervista che rilasciò a la Casa del Reggae, Marley lo incontrò in Inghilterra durante le registrazioni di Exodus. Rimase impressionato dal talento di Chow e lo portò con sé in Giamaica, dove vive tuttora. Pitbull corre a trovarlo in una sala di registrazione ricoperta di legno. Ormai anziano, Chow ha i capelli radi e la barba grigia. Porta una camicia azzurra troppo larga per la sua stazza minuta. Attorno a lui sono disseminati i simboli delle conquiste della famiglia Marley: una serie di Jamaican Music Award incornicia la finestra, e un libro per bambini intitolato Little Aeni and the Case for Reparations copre parte del mixer.

Pitbull si vanta del fatto che Chow accetti raramente di apparire in video.

“Perché hai accettato di apparire in [“Options]?” gli chiedo.

“Non volevo”, dice Chow. Poi si accarezza la barba. “Sono uno Jedi!”

“Bob Marley non ha mai registrato qui”, spiega Marley passandosi la mano tra le treccine. “Era di proprietà dei cinesi e non gli permettevano di registrare… La storia, ai tempi, prima che papà diventasse famoso, era che qui ci registravano e lui faceva l’autore. Un giorno c’era qualcuno qua, e [Marley] si presentò qua con una canzone, e loro non lo fecero entrare dal cancello. [Marley] disse: ‘Un giorno questo posto sarà mio’”.

“E ora qua faremo una canzone che toccherà il mondo intero”, dice Pitbull.

Verso la fine delle riprese, Pitbull e Marley sono fuori dalla casa con la troupe. Rappano vicino alla statua di Bob con il leone. I Most Bad Ones, la squadra di ballerini di Pitbull, guardano da sotto un tendone bianco insieme a tre bambine piccole, due nere e una bianca. Ballano sul ritornello di Pitbull e Marley, e mentre una di loro batte i piedi a terra le sue scarpe si illuminano. Dopo che il regista chiama “stop”, Pitbull corre dalle bambine. “Mr. Worldwide!”, urlano. “Mr. Worldwide!”

Foto di Greg Watermann, per concessione di Pitbull.

Mitchell Sunderland è il più grande esperto americano del lato oscuro della Florida e giornalista di lunga data per Broadly e VICE. Seguilo su Twitter.

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