Ho ascoltato per la prima volta L’Amore e la Violenza vol. II in un bar di Piazza della Repubblica, assieme alla mia ragazza che vive a Londra (io vivo a Roma). “ Sei pronta?” “Sì, dammi solo cinque minuti, il tempo di tornare a casa”, “Va bene, io intanto cerco un locale con il wi-fi per scaricare le canzoni“: ho trovato il bar, ho preso un caffè (buonissimo) e dei biscotti ai cereali (pessimi). “Ci sei?” “Sì, ci sono, iniziamo pure, sono molto emozionato”: è la prima volta che i Baustelle fanno uscire un disco a così breve distanza da un altro (il precedente volume de L’amore e la Violenza è uscito a gennaio 2017), le aspettative sono altissime come sempre, perché senza di loro adesso io non starei materialmente facendo quello che sto facendo.
La prima canzone è una strumentale, la seconda un pezzo già edito: “Veronica n.2”, il primo singolo del disco, è una canzone madida e urgente come una dedica, e i Baustelle l’hanno suonata a più riprese anche durante lo scorso tour; unica ma significativa modifica al testo, rispetto alla versione che veniva eseguita dal vivo, è che “non ne so nulla degli affari tuoi… di cosa insegna tua madre” diventa, più blandamente, “che cosa pensa tua madre”.
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La terza canzone è “Lei malgrado te”, subito destinata ad imporsi come una delle mie preferite: “tutto mi parla di te, perfino la tua assenza mi fa compagnia”. Anche questo disco è pieno di fantasmi di carne: “i nostri corpi fuorilegge e il dolore saranno seppelliti qui”, canta Francesco in “Jesse James e Billy Kid”, e se cito a più riprese dai testi è perché mai come in questo disco i Baustelle sono da leggere, da apprezzare per una scrittura venata di un intimismo raccolto e confortevole, da cameretta, o perlomeno da camera d’albergo – tutte le canzoni del disco sono state concepite durante le pause tra un concerto e l’altro: e anche questa è una novità nel metodo compositivo dei nostri, da sempre abituati al cesello dei tempi lunghi.
“Non ci si uccide per amore di una donna. Ci si uccide perché un amore, qualunque amore, ci rivela nella nostra nudità, miseria, inermità, nulla”: se L’amore e la Violenza vol. II fosse un romanzo, in esergo presenterebbe questa notazione di Cesare Pavese tratta da Il mestiere di vivere. Il nono pezzo, “L’amore è negativo”, è una vera e propria summa di tantissime cose (c’è dentro Gaber: “La parola io è uno strano grido che nasconde invano la paura di non essere nessuno”, a cui fa eco la notazione di Carlo Emilio Gadda secondo il quale l’io è il pidocchio del pensiero) e il manifesto del disco: l’amore, l’amore nella sua forma più alta del Cristo umiliato sulla croce per ascendere in cielo, non è esaltazione dell’io, ma sua soppressione e negazione (appunto: è negativo, di segno meno); è gioire perché il proprio sé confluisce in quello dell’amato, spalancandosi totalmente alla sua presenza (“senza altre strane deviazioni, che se anche il fiume le potesse avere andrebbe sempre al mare”: di nuovo Gaber).
Mai come in questo disco il canto di Francesco è espressivo, modulato, a un tempo sicuro e tremulo: è in “Baby” che ci viene consegnato il ritratto più bello e straziante di una solitudine che possiamo solo supporre autobiografica, narrataci da una voce nuda, adamitica, sussurrata: “Vedi? Non sono triste come ti aspettavi, non sono gli altri uomini che amavi, e dammi tempo e non mi abbandonare perché senza di te non so che fare”.
Appunto, senza di te non so che fare: è questo, il tema portante del disco. Che cosa si fa quando una storia d’amore finisce? Niente, si muore. “Perdere Giovanna” ci parla di una libertà ritrovata dopo la fine di una relazione (“fumare, drogarsi, uscire a bere con un’altra donna, cominciare da capo, immaginare come sarà coniugato al presente il verbo amare”): ma cosa se ne fa una persona della libertà di fare tutto, quando non le interessa più di niente? “Le facevo da mangiare e quando era lontana restavo ad aspettare, e il gelsomino mi chiedeva l’acqua ma io non l’ascoltavo, cantavo a bocca chiusa”. Degno di nota il finale della canzone, suggellata da una specie di slam poetry un po’ sghembo: “cancellare in un colpo solo tutti i suoi messaggi per un errore madornale”.
“Caraibi” risale a vent’anni fa, narra la fine della prima storia d’amore di Francesco e degli attacchi di panico che la seguirono come neri corollari: “Help that boy! Boy, Poor boy, save the boy…”, “Tazebao” è una sorta di prosecuzione di “Eurofestival” del disco precedente, così come la strumentale “La musica elettronica” fa da contraltare a “La musica sinfonica” del primo volume.
Se dovessi racchiudere questo disco in un’immagine, mi limiterei a suggerire che in queste canzoni ci sono ben tre riferimenti al liquido seminale, disseminati in tre momenti diversi: e questo perché l’ingoio è un atto di violenza controllata, geometrica, precisa, che parte dal corpo di chi lo subisce per affondare in quello di chi lo pratica, chiropratica sentimentale, transustanziazione proibita, lo sperma che si fa sangue da accogliere e mescolare nel proprio. Chi scrive ne è ancora traumatizzato, per certi versi. L’amore e la violenza.
“Io gli darei un sei e mezzo, che dici?”
L’Amore e la Violenza vol. II è uscito oggi, venerdì 23 marzo, per Atlantic/Warner.
Ascolta L’Amore e la Violenza vol. II su Spotify:
TRACKLIST:
1. Violenza
2. Veronica, n.2
3. Lei malgrado te
4. Jesse James e Billy Kid
5. A proposito di lei
6. La musica elettronica
7. Baby
8. Tazebao
9. L’amore è negativo
10. Perdere Giovanna
11. Caraibi
12. Il minotauro di Borges