Con altri milioni di giocatori, ho atteso No Man’s Sky con pazienza e silente ammirazione. Le premesse erano ottime e i molti video di early gameplay e le relative interviste mostravano un gioco potenzialmente entusiasmante.
Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, No Man’s Sky è un videogioco “indipendente” a tema “esplorazione spaziale”, sviluppato da Hello Games con il benestare di Sony. È stata proprio Sony su PS4 che ha deciso di spingerlo al massimo con una novellizzazione tale da renderlo uno dei giochi più attesi dell’anno; tanto fantasticato da aver ricevuto endorsement da figure mitologiche quali Elon Musk (Tesla Motors) Steven Spielberg, e Kanye West.
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Tale mistero e studiatissima attesa (l’uscita del gioco, ad un certo punto, è stata ritardata di un mese scatenando il panico e la rabbia tra i fans in attesa, con svariate minacce di morte rivolte ai programmatori!) hanno prodotto un’enorme quantità di materiale a proposito di un gioco unico ed estremo che prometteva di creare un universo fatto di 18.446.744.073.709.551.616 pianeti in scala 1:1 da esplorare in solitaria. Soverchiato da una tale produzione, non esiste quindi, per me, un modo originale per raccontare No Man’s Sky, se non quello di tentare di emularne lo spirito ed introdurre—spoiler free—il brivido del primo contatto col personale angolo di universo matematicamente assegnatomi.
Spaesamento e vastitudine. Tutto inizia come da manuale: una lunga avanzata tra stelle come puntini luminosi in un nebuloso universo colorato. Poi la predestinazione, o il caso, mi scaraventano sulla superficie di quello che per tutta la prima fase del gioco imparerò a conoscere come casa. Un tutorial scarno mi incoraggia a seguire un paio di semplici punti al fine di riparare la mia navetta caduta. Mi servirà ricavare elementi periodici comuni quali Ferro e Plutonio, e imparo velocemente che ogni roccia, minerale o forma vivente del pianeta può essere minato (estratto) con la mia fida pistolina ed utilizzato per craftare (costruire) le tecnologie in mio possesso.
Fortunatamente, il mio pianeta zero (Gigantus) si rivela ricco di risorse, temperato ed ospitale, e ciò mi permetterà di riparare la mia navicella in breve tempo. Nonostante l’incipit simile infatti, ogni giocatore inizierà la sua avventura in un diverso mondo, che potrà rinominare insieme ad ogni specie vivente ivi presente. Il gioco, a questo punto, sembra impaziente di mostrarmi di cosa è capace. Il tutorialino rispunta sull’interfaccia invitandomi a decollare oltre l’atmosfera. Ignoro le istruzioni per il momento, e volteggio pigramente sulla superficie di Gigantus.
Ci sono dei punti di interesse, simili ad avamposti coloniali dismessi. Visitandoli, mi permettono di apprendere nuovi dati “scientifici”. Ci sono anche delle non meglio identificate “sentinelle” che pare custodiscano l’ordine naturale delle cose e che attaccheranno il giocatore troppo irrispettoso o aggressivo. Per il resto, sembra che il bioma sia monotono e ripetitivo… Mi decido quindi a puntare il naso verso una delle due lune visibili, accelero, e in pochi secondi sono fuori. E finalmente lo vedo. L’universo promesso.
L’avventura è ufficialmente iniziata, e il resto della giornata lo passo cercando di apprendere le meccaniche di base. Mi ritroverò ad atterrare e conquistare altri tre pianeti del mio sistema stellare ed avanzare a tentoni verso quella che dovrebbe essere la destinazione finale del gioco e mistero ultimo dell’universo: una luce abbagliante al centro dell’enorme mappa. Irraggiungibile.
Attorno a me, lontanissimi per ora (non possiedo un motore capace di raggiungere la velocità della luce) altri sistemi stellari scoperti da altri giocatori portano i loro nomi e probabilmente traccia delle loro imprese.
Nella gigantesca stazione spaziale posso interagire solo con una sedia per farla inutilmente girare su se stessa… wtf!?
Il gioco lentamente si rivela per quello che è: proponendo un’interfaccia alla Destiny; un sistema di crafting alla Minecraft; un’esperienza di gioco proceduralmente generata alla Diablo; un approccio simile a quello dei vari “survival” game che ultimamente spopolano tra i titoli indipendenti. Il titolo più simile, alla fine, è FTL (Faster Than Light), gioco del 2011, che pare la fotocopia in pixel art del kolossal Hello Games, e che suggerisco di provare a tutti coloro che vorrebbero capire se spendere 60€ in un gioco sperimentale.
Purtroppo, nonostante la scala estremamente grande, o più probabilmente proprio a causa di essa, l’esperienza di No Man’s Sky inizia presto a rivelarsi alquanto limitata. Appare immediatamente disturbante che in un sistema capace sulla carte di generare miliardi di pianeti diversi, gli edifici e i punti di interesse siano invece tutti uguali (o quasi) tra loro. Non solo. Ci sono stazioni spaziali, carovane di mercanti, PNG ed oggetti rari da ricercare… ma l’interazione tra le varie componenti è deludente e, mentre continuo a esplorare l’universo, provo tristezza per l’inadeguatezza della simulazione. Un esempio tra tutti: nella gigantesca stazione spaziale posso interagire solo con una sedia per farla inutilmente girare su sé stessa… wtf!?
A voler giustificare i programmatori, questi limiti possono essere tradotti in tratto stilistico: malgrado l’universo da esplorare sia infatti oltremodo popoloso (animali, specie vegetali, astronavi traccianti rotte nel cielo di quasi ogni pianeta) il senso di solitudine che deriva dalla nostra insignificante presenza è estremo. La musica segue sapientemente la stessa direzione: ci si sente sempre sperduti. Rinchiusi nella nostra exo-tuta o in una piccola navicella il mio primo giorno da viaggiatore mi ha ricordato più la goffaggine di un erasmus a Parigi che l’incipit di un’avventura galattica. Uno dei primi compiti sarà infatti quello di imparare la lingua aliena per riuscire finalmente ad interagire coi misteriosi colonizzatori. Le discussioni che ne derivano sono comunque alquanto limitate. L’approccio segue il modello visto in titoli come Imperium Galactica o Civilization, e permette solo un paio di opzioni alla volta.
Si sente comunque il peso della prova. Il gioco è potenzialmente enorme tanto che molti aspetti, altrove fondamentali, sono stati tralasciati o non risolti. L’intelligenza artificiale in animali e sentinelle, ad esempio, sfiora il ridicolo; bug grafici e glitch sono talmente frequenti da essere la norma. Hello Games ha comunque già promesso che dedicherà tempo e passione a fixare e riempire la sua creatura di elementi sempre nuovi, pratica, questa, di far uscire un gioco e rifinirlo on the run, ultimamente abbastanza diffusa. Ci crediamo ed aspettiamo.
Data stellare 12 Agosto 2016, è uscito No Man’s Sky, e io dovrei essere al mare.