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Per gli Slayer è tempo di morire

Per gran parte dei fan dell’heavy metal, tutto si riduce a una band. Magari è quella band che ha dato inizio a tutto per te, con i suoi album ascoltati grazie a un fratello maggiore, o con un concerto indimenticabile. Magari non è nemmeno più il tuo gruppo preferito – potrebbero essercene altri che li hanno spodestati dal trono del tuo cuore. Ma alla fine, sono loro a interpretare la definizione di metal per te.

Per me si tratta degli Slayer, i più zozzi dei Big Four del thrash metal. Gli Slayer saranno sempre la colonna sonora della mia lotta quotidiana contro il mondo, fatta di Satana, follia e riff che suonano come le guglie di una chiesa medievale. Il motivo è che gli Slayer, proprio come me, non sono per tutti; le loro ossessioni con il male, tanto biblico (l’Inferno, la dannazione, la fine del mondo) quanto tangibile (battaglie, omicidi seriali, gli orrori del Terzo Reich) si mescolano e vanno a formare un feroce ritratto della società che fa scappare i metallari della domenica e si scontra con chiunque si consideri un adulto (coglione). Gli Slayer sono il mio cuore che continua a battere nelle mani dello scheletro in armatura che me l’ha appena strappato e lo sta facendo sfrigolare sopra un cassonetto in fiamme.

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Per cui, quando gli Slayer (nella formazione attuale composta da Tom Araya, Kerry King e i nuovi Gary Holt e Paul Bostaph, entrambi provenienti da altri veterani dei Big Four, gli Exodus) hanno annunciato all’inizio dell’anno che si sarebbero imbarcati per un ultimo tour mondiale prima di sciogliersi per sempre, sarebbe lecito pensare che io sia rimasto traumatizzato.

Ma volete la verità? Mi sento sollevato. Gli Slayer, come band, hanno fatto tutto quello che dovevano fare e sono diventati qualcosa di più grande di quanto possa permettere la natura semplicistica dell’industria musicale. E in più il tempo, lo spazio e i soldi che sono riservati a una band affermata come gli Slayer si possono usare per spingere altri gruppi. Gli Slayer hanno compiuto la loro missione. È ora di andare.

Illustrazione di Chris Krovatin

Sulla carta, in un certo senso, è già stupefacente che gli Slayer siano arrivati fino a questo punto. Sono la band estrema più famosa del mondo, cresciuta fino a diventare gigantesca senza mai cercare il successo. Certo, i puristi del metal estremo controbatteranno che i riff e le materie trattate in Repentless (2015) non fossero nemmeno lontanamente ostili quanto quelle di Hell Awaits (1985), ma molti di questi detrattori sono stati desensibilizzati dalla morbosità anatomica del death metal e dalla blasfemia seriosa del black metal.

La verità è che, nel corso di tutta la loro carriera, gli Slayer non hanno mai scritto una canzone su nulla di più leggero di provare odio per qualcuno fino alla morte. Gli Slayer non hanno una “Home Sweet Home” o una “I Was Made For Loving You”; la cosa più vicina è “Desire”, su Diabolus In Musica (1999), che comunque parla sempre di scoparsi un cadavere.

Di più, gli Slayer sono diventati qualcosa di meglio di una semplice band: sono diventati un punto di vista sul mondo. Il loro suono ed estetica rappresentano un sentimento specifico che il metal ispira in noi, un misto di oscurità inquietante e über-sicurezza. Gli Slayer sono il colore rosso sporcato di nero e viceversa, la rabbia che ti fa ribollire il sangue e fa bruciare emozioni ariose come l’ottimismo e la pazienza. Il loro stesso nome è un grido di battaglia.

È ora che gli Slayer dimostrino a tutte le band che hanno influenzato di essere in grado di fare la cosa più metal che si possa immaginare: morire.

Questo continuerà a vivere con la musica, l’arte e la storia degli Slayer per sempre, e non ha bisogno di essere recuperato e rivendicato come è successo per la reputazione da duri dei Metallica. Quindi perché continuare a fare album per provare qualcosa che hai già guadagnato, col rischio di accettare qualche cattivo consiglio e creare qualcosa che finisce per rovinare tutto? Perché non smettere senza compromettersi?

Infine—e questa potrebbe essere un’opinione non molto condivisa—gli Slayer devono fare spazio alla prossima generazione di figli degli Slayer. Troppo spesso, i metallari si portano dietro la storia del genere e si rifiutano di abbandonare l’ossessione per musicisti che hanno ormai da molto superato il proprio tempo. È per questo che consideriamo band come Behemoth e Darkest Hour gruppi “moderni” anche se sono in giro da sempre; sono più giovani dei grandi vecchi.

Queste band hanno bisogno di spazio e di risorse per diventare grandi, e poi finire come preferiscono. È ora che gli Slayer dimostrino a tutte le band che hanno influenzato di essere in grado di fare la cosa più metal che si possa immaginare: morire.

Alcuni diranno che gli Slayer sono morti con il loro chitarrista Jeff Hanneman nel 2012, e che la band avrebbe dovuto abbandonare allora. E, beh, da fan, non si può che essere almeno parzialmente d’accordo. Hanneman non solo era l’autore della maggior parte delle canzoni, ma era anche quello che rappresentava meglio la mentalità strana, da outsider, della band. Senza di lui, il materiale (e le scelte) della band è stato dubbio.

Ma i membri degli Slayer avevano bisogno di rendersi conto che non potevano continuare senza Hanneman, e ora lo sanno. Porre fine a una carriera con un “e se…?” è sbagliato. Conduce inevitabilmente a un reunion tour o, peggio, a un album.

Speriamo non si arrivi a tanto. Come alcune altre grandi defunte band metal (Black Sabbath, Motley Crue) gli Slayer si stanno per assicurare una gran quantità di soldi con questo tour, tour che sarà abbastanza lungo da far passare ai membri della band la voglia di rivedersi per molto tempo.

Questo sì che è un buon modo per mollare: una bella mazzetta di dollaroni e il desiderio di suonare dal vivo abbondantemente soddisfatto. Se tutto va secondo i piani, la band sbugiarderà i più cinici evitando ulteriori concerti o album. Meglio far prendere male la gente scomparendo che deluderli ricomparendo dalle tenebre.

https://www.youtube.com/watch?v=FaHUqcG_L9w

Vedere la fine di qualcosa è difficile, perché ci ricorda che anche noi finiremo. La fine degli Slayer significa che una parte della mia vita è nel passato, un ricordo, come tante altre belle cose che a volte mi piacerebbe riavere indietro. Ma la fine è importante, perché quando qualcosa finisce diventa ciò che rimarrà per sempre.

Sui social media vedo tanta gente che posta tributi a musicisti morti il giorno del loro compleanno; io, invece, tendo a fare qualcosa del genere soltanto per onorare il giorno della morte di una persona. Questa persona è nata che era niente, come tutti, ma è morta essendo qualcosa. Qualunque stronzo è capace di nascere. Ma come si muore, e l’eredità che si lascia, è ciò che conta davvero.

Gli Slayer sono giunti all’inevitabile fine. Hanno fatto tutto quello che potevano e per questo Tom, Kerry, Jeff, Dave, Paul e Gary possono stare tranquilli sapendo di averci fatto sentire meno soli. Gli Slayer resteranno sempre con noi, nel sangue e nella furia che scorre nelle vene del metal nei suoi momenti più neri. Gridiamo il loro nome un’ultima volta e diamogli il funerale profano che si merita.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata su Noisey US.

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