In molti articoli usciti in questi giorni, le ricette di Suor Germana vengono definite “belle”. In realtà, dalle foto appare chiaro come nei primi anni ‘90 la professione di food stylist fosse di là da venire.
Il 7 marzo 2020 è morta Suor Germana, l’antesignana, la cuoca ultra-casalinga approdata alla tv decenni prima di Benedetta Parodi, eoni prima di “Fatto in casa da Benedetta” (l’altra). Il primo dei suoi popolarissimi ricettari uscì nel 1981, avrebbe venduto 2 milioni di copie in 32 ristampe: si chiamava “Quando cucinano gli angeli”. Alla notizia della sua dipartita ho pensato che fosse un titolo non privo di dark humor: suona un po’ come gli addii sulle pagine Facebook in stile “Buongiornissimo, kaffè?”, quelli “insegna agli angeli a [inserire talento del defunto]”. Ho deciso che volevo leggerlo, e provare qualche ricetta.
Videos by VICE
A Suor Germana fu chiesto dalle suore del Famulato Cristiano di tenere lezioni di cucina in un corso per giovani fidanzate nel 1958
Nonostante la vagonata di copie che devono circolare per il paese, il ricettario risultava introvabile online – l’ho cercato anche in una copia pirata .pdf, intendevo espiare con 5 Ave Marie e una donazione a un ente benefico, ma nulla. Mi sono imbattuta però nella quarta di copertina, con citazione di Suor Germana: “ Intorno al tavolo i taciturni diventano espansivi. Tutti vanno d’accordo… È buffo e commovente insieme. Capisco perché Cristo ha fatto a tavola le cose più belle. Conosceva e promuoveva l’uomo”.
All’epoca – scopro – l’autrice era “impegnata nella pastorale familiare”, precisamente al Punto Famiglia a Torino. Cioè? In un’intervista a Famiglia Cristiana di due anni fa, Suor Germana racconta di come nel 1958 le fu chiesto dalle suore del Famulato Cristiano (un istituto religioso femminile, per i non praticanti) di tenere lezioni di cucina in un corso per giovani fidanzate: «Mi misi a piangere, non sapevo nemmeno da che parte cominciare. Poi mi resi conto che potevo mettere a frutto la mia esperienza: le ragazze di città non sapevano nemmeno rompere un uovo mentre io, figlia di contadini, avevo imparato a preparare da mangiare con quello che c’era a disposizione».
Andrà avanti per molti anni, mentre intorno a lei i tempi cambiano: «Eravamo convinti che se si salva la famiglia si salva la società… e penso avessimo ragione», racconta ancora «Una volta viene una donna e mi racconta che il marito la picchiava e continuava a metterla incinta. Da poco papa Paolo VI aveva pubblicato l’Humanae vitae (enciclica del 1968 che vietava la contraccezione, NdR) e lei non voleva disobbedire. Ma io le ho detto: “Non preoccuparti, con un marito ubriaco devi prendere la pillola! Con il Papa ci parlo io”». Più di cinquant’anni dopo può suonare come una posizione retrograda – un marito violento bisognerebbe denunciarlo e lasciarlo, ovviamente; ma vale la pena ricordare che in Italia il divorzio arrivò solo due anni dopo. Per l’epoca doveva invece essere una posizione coraggiosa, in particolare per una religiosa.
Un Riso agli spinaci chiamato “Risate Verdi – Torta Antinucleare” e anche una “Frittata Rognosa” con fette di salame (forse perché sembra che abbia una qualche patologia cutanea? Appetitosa!)
Ma basta gender studies per ora! Torniamo alle ricette. Sono infine riuscita a mettere le mani su una copia di In cucina con Suor Germana – Per una tavola facile e felice, enciclopedia in otto volumi pubblicata nel 1992 da DeAgostini – Piemme, e ho testato alcune ricette. Prima di venire agli alti e bassi del menu che ho ammannito per la mia famiglia – impossibilitata a sfuggirmi a causa del lockdown – vorrei condividere con voi ciò che ho notato compulsando questi ricettari.
Questi ricettari sono anche un’esperienza educativa per tutti i nostalgici della cucina italiana tradizionale di casa che – quantomeno nella sua forma idealizzata – semplicemente non è mai esistita
In molti articoli usciti in questi giorni, le ricette di Suor Germana vengono definite “belle”. In realtà, dalle foto appare chiaro come nei primi anni ‘90 la professione di food stylist fosse di là da venire, un po’ come quella di Social Media Manager. I piatti sono quasi tutti nei toni del marrone, con prevalenza statistica del beige, decorati con ciliegie al Maraschino o gherigli di noce. Sullo sfondo si intravedono le cucine di una volta, con le mattonelle dalle grechine color pastello e presine ricamate all’uncinetto.
Anche il mestiere del copywriter – pur prospero in quei decenni così rampanti – non doveva ancora essersi misurato con la cucina: tra i dolci, un certo numero si chiamano semplicemente “Palline” (“Palline Festose”, “Palline di crema al caffè” e persino “Palline lievitate al ribes”, nient’altro che krapfen o bomboloni, termini secondo me già di uso corrente all’epoca). Ammirevole invece lo sforzo di rebranding degli Spaghetti alla Puttanesca, che diventano “Spaghetti Cervinia” (in una contrapposizione ideale che richiama il candore della neve e quindi la verginità, suppongo).
All’estremo opposto troviamo nomi seriamente creativi – tipo un Riso agli spinaci chiamato “Risate Verdi – Torta Antinucleare” (non so perché, la ricetta non lo spiega!) e anche una “Frittata Rognosa” con fette di salame (forse perché sembra che abbia una qualche patologia cutanea? Appetitosa!). Un’umile Insalata Mista è promossa a “Convegno di Vitamine”, mentre un’altra con wurstel (sic) e cetriolini sottaceto è “allegra”.
Questi ricettari sono anche un’esperienza educativa per tutti i nostalgici della cucina italiana tradizionale di casa che – quantomeno nella sua forma idealizzata – semplicemente non è mai esistita. Molte delle ricette sono così elementari da far apparire il celebre Pollo alla Griglia di Elisabetta Canalis come un piatto da Ducasse: ci sono ricette per gli involtini di prosciutto (avvoltolato intorno a una julienne di carote) o per gli spaghetti con il tonno in scatola. A giudicare dall’incredibile successo di questi libri, trent’anni fa le donne italiane erano spesso analfabete a livello culinario: l’Italia era stato un paese povero, in cui si mangiava da poveri; quando è arrivata la prosperità si è aggiunta la carne (troppa).
Le ricette contengono moltissimi ingredienti in scatola; la frutta nelle preparazioni dei dolci molto spesso è sciroppata è c’è spesso l’aggiunta di liquori deliziosamente demodé
Il che mi porta al mio punto successivo: dolci a parte, le ricette senza carne sono una piccolissima percentuale. Anche dove non è l’ingrediente principale – nel sugo della pasta, nel ripieno di una torta salata o in una frittata – ce n’è sempre un po’: pancetta, prosciutto cotto o crudo, lardo, mortadella, salsiccia…
Non ci sono ricette di sole verdure: il piatto più veg che ho trovato sono i pizzoccheri. Dei rischi di una dieta iperproteica non si parlava ancora, e allora nella sezione “Carni” da pagina 62 a 68 troviamo “Arrosto al Prezzemolo”, “Falso Magro”, “Rollata di Vitello”, “Bauletti di Vitellone” e “Fagottini a sorpresa” e – lo giuro – tutte queste ricette contengono uova sode intere (è anche la “sorpresa” dei “Fagottini a sorpresa” – a questo punto già spoilerata da tutte le ricette precedenti).
Nella ricetta del budino alla vaniglia, il primo ingrediente è “una confezione di budino alla vaniglia”.
Le materie prime mi hanno ricordato la casa di mia nonna: non una cucina di mercato – come spesso si pensa – ma una cucina “di dispensa”: la spesa si faceva piuttosto raramente (tranne che dal macellaio, appunto) e le ricette contengono moltissimi ingredienti in scatola. Nel libro dedicato ai dolci, la frutta nelle preparazioni molto spesso è sciroppata: l’ananas fresco non era comune, ma nemmeno le pesche, ad esempio. Quasi tutti i dessert prevedono l’aggiunta di liquori deliziosamente demodé – quelli del mobiletto con cui buona parte di noi ha preso le prime sbronze alle scuole medie: Maraschino, Cointreau (che io amo anche oggi, per il Margarita classico), Grand Marnier…
Lungi dall’immagine delle cuoche casalinghe che fanno tutto “in casa”, era una cucina piena di surrogati, con buona pace di chi considera scarse le foodblogger di oggi: la panna è quella “da cucina”, il brodo è di dado, la pasta frolla surgelata, la vaniglia non in bacca né in estratto, ma sempre vanillina (che, ricordiamo, è un aroma artificiale). Nella ricetta del budino alla vaniglia, il primo ingrediente è “una confezione di budino alla vaniglia”.
Ci sono poi una serie di ingredienti feticcio che, in verità, non capisco se rispecchino il gusto dell’epoca oppure le inclinazioni personali di Suor Germana: in moltissime ricette ci sono i canditi e altrove l’uvetta sultanina – non nei biscotti eh? Pure nell’insalata di riso e negli “hamburger imbottiti” (con salame, pinoli e uvetta, appunto): questi, che avrebbero anche il diritto di essere marroncini, sono invece neri come il carbone.
Tempo di passare all’assaggio: dato che non mangio carne, ho dovuto purtroppo escludere alcune ricette che mi tentavano per il loro dadaismo, come la “Torta di Formaggio e Mortadella Meringata”. Questa ricetta mi fa fortemente dubitare dell’affermazione di Suor Germana che si vantava di aver “salvato centomila coppie”, come disse in un’intervista al Corriere delle Sera, grazie ai suoi manicaretti. Sembra invece il genere di cena che condanna il tuo matrimonio (e anche forse la tua anima).
Ho scelto invece: come primo, le “Conchiglie alla Milano Marittima”, con sugo di gamberetti, zafferano, e ½ bicchierino di brandy.
Confesso di non aver seguito proprio alla lettera le istruzioni – la ricetta mi sembrava davvero troppo basic, e ho pensato di ricamarci un po’ su. Per cominciare, visto che c’era il brandy nel sugo non ho resistito alla tentazione di flambarlo, ma visto che non lo so fare ho quasi dato fuoco alla cucina. Poi siccome il sugo mi sembrava un po’ slegato ci ho aggiunto della panna, ma il risultato è stato comunque piuttosto ignominioso. Voto 4.
Molto meglio con le altre due ricette: i Biscottini al Formaggio – una frolla con burro, farina, un uovo, Parmigiano Reggiano ed Emmental grattugiati – sono l’esatta replica dei salatini con le mandorle intere che alcuni dei bar più deliziosamente vintage di Milano servono con l’aperitivo (su tutti, la Pasticceria Rovida e Sissi). Credo diventeranno una presenza ad alta rotazione dei miei snack prediletti. Voto 9.
Infine, ho scelto un dessert dal volume “Dolci e golosità” (ora io non voglio addentrarmi nella dottrina ma se uno mangia delle “golosità” poi deve andare a confessarsi?): la Crema al Caffè.
La ricetta prevederebbe panna, zucchero, caffè, latte, gelatina in fogli, rum (ve l’ho detto che c’è liquore ovunque!) e anche 100g di canditi all’arancia tritati, ma non ho avuto cuore di aggiungerli – per apprezzare la texture allo stesso tempo di canditi e gelatina bisogna avere un palato anni ‘80 che temo di avere perso da quando mia mamma non fa più l’aspic di frutta a Natale (cioè dal 1992). L’effetto finale è perfettamente reminiscente di una versione da pasticceria della Coppa del Nonno, il che ovviamente significa che è buonissimo. Voto 8.
Dopo aver finito di scucchiaiare il mio bicchiere da Martini ho pensato per un momento che, complice questa immobilità forzata, avrei potuto prolungare l’esperimento, farne chissà un blog – un po’ come Julie&Julia, no? Avrei già il nome: “Sara&Suor”.
Segui Sara su Instragram