Cinque ex-detenuti spiegano come superavano i test antidroga in carcere

I detenuti nei penitenziari statunitensi possono essere sottoposti a test antidroga in qualunque momento. Nel corso dei 21 anni che ho passato in carcere per spaccio di LSD ho fatto tantissime analisi delle urine. Di solito, mentre ero in biblioteca a leggere sentivo il mio nome annunciato dall’altoparlante, ed erano le guardie carcerarie che mi invitavano nel loro ufficio a pisciare in un bicchiere. Anche se nei primi tempi fumavo erba, non mi hanno mai beccato al test. E questo perché i detenuti hanno tantissimi metodi per aggirare il test antidroga. Quasi sempre le analisi sono casuali, ma se qualcuno sospetta che tu faccia uso di droga puoi finire sulla “lista nera”. I carcerati che sono più spesso su questa lista imparano in fretta a imbrogliare per superare il test.

Abbiamo chiesto ad alcuni ex-detenuti qual era il loro modo per passare i test delle urine in prigione. Perché, sia chiaro, solo gli ingenui pensano che in carcere non giri droga. In realtà di droga ce n’è in abbondanza, anzi in quantità sempre maggiori. Alcune delle strutture in cui sono stato erano veri e propri mercati della droga, ed erano quelle i cui ospiti erano più creativi nel superare i test. Ecco alcuni dei loro metodi.

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ACQUA

Eravamo fuori a fumare una canna e scherzavamo sul fatto che probabilmente qualcuno ci stava guardando proprio in quel momento, perché in quanto unico bianco con i dread in tutto il carcere avevo sempre gli occhi di tutti puntati addosso. Ovviamente, le guardie ci beccano. Torno dentro e mi fiondo nella cella dei miei amici. Qui bevo sette litri e mezzo d’acqua (perché sapevo che avrebbero eliminato ogni traccia di droga dal mio organismo), ma poi la vomito tutta.

So di essere spacciato, e aspetto la convocazione per il test. Nel frattempo, per sicurezza, ne bevo altri sette litri. Mi devo sdraiare, perché sono pieno di liquidi. Continuo a tremare dal freddo, anche se è piena estate e non c’è l’aria condizionata. “Questa volta ho esagerato, penso che morirò,” continuo a ripetere.

Cammino avanti e indietro per la cella e piscio ogni cinque minuti. Le guardie vengono a chiamarmi per il test. Lo sapevo. Quando arrivo in infermeria, ci trovo tutti i miei compagni in attesa di riempire il loro bicchierino di plastica—quello che avrebbe potuto cambiare le sorti della nostra vita in carcere. Mi metto in fila e aspetto. Quando mi chiamano e piscio nel bicchiere, non sembra nemmeno urina quella che esce dal mio corpo. Una volta riempito il bicchierino continuo a farla talmente a lungo che anche il poliziotto si stupisce e mi chiede se la trattenevo da tanto.

“Mi sa di sì,” rispondo mentre gli passo il bicchierino con un liquido così trasparente da sembrare acqua— John Broman, 36 anni, 16 anni in carcere per rapina in banca.

CANDEGGINA

È a metà degli anni Novanta, in un carcere della California, che ho fatto il mio primo test a sorpresa. Non avevo mai fatto grande uso di droghe, ma una canna ogni tanto la fumavo. Il problema è che l’erba rimane nell’organismo più a lungo di qualsiasi altra sostanza. Una volta avevo comprato 15 grammi di skunk, facendoci sballare tutti i miei compagni. Il problema della marijuana è l’odore, non se ne va. Ti si attacca ai vestiti e alle pareti, e ovviamente alcuni ragazzi avevano fumato in cella. Grave errore.

Quando una guardia sente l’odore ordina la chiusura immediata della nostra ala. Mi ricordo perfettamente quel giorno, ero strafatto e stavo giocando a scacchi in sala comune, quando sento una guardia urlare, “Chiudi tutto!” Appena tornato in cella, mi rendo conto di quello che sta per accadere. Il mio compagno sta già versando della candeggina in un bicchiere vuoto. Mi ordina di tenere le dita immerse nella candeggina fino all’arrivo di medici e poliziotti. Io sono confuso, gli chiedo spiegazioni. Mi risponde che per colpa di qualche idiota che ha fumato in cella, ora dobbiamo fare un test antidroga.

Quando vediamo le guardie avvicinarsi, svuotiamo la candeggina e lasciamo asciugare le dita. Il mio compagno di cella mi dice di pisciarmi su quelle dita mentre la faccio nel bicchiere. I secondini mi guardano pisciarmi sulla mano e nel bicchiere. Uno di loro dice, “Wow, questa sì che è pulita, quasi puzza di candeggina.” Nemmeno il medico sembra troppo sorpreso e dice, “Sì, sembra che tutti quelli di questo settore abbiano le urine alla candeggina.”

Finiti i controlli, ci chiudono in cella fino al giorno successivo. Qualche giorno più tardi arrivano i risultati, e con questi le manette per alcuni compagni positivi. Io sono terrorizzato ma verso sera nessuno è ancora venuto a prendermi. Ho scampato un soggiorno infernale e ho evitato di allungarmi pena. La voce che all’altoparlante dice “Il cortile è aperto” è musica per le mie orecchie. Finalmente, aria pulita. Raggiunta la panchina, mi passano subito una canna—Gustavo Alvarez, 44 anni, 10 anni in carcere per aggressione e detenzione di armi da fuoco

ANCORA ACQUA

Ho usato il trucco del guanto per anni—portavo dei boxer e un guanto con del liquido dentro, che per contatto con il mio corpo diventava tiepido. Oppure l’acqua. Iniziavo a ripulirmi l’intero organismo verso le quattro del mattino, e alle otto facevo la pipì trasparente. Usciva acqua quasi pura e dovevo andare in bagno ogni cinque minuti, ma era l’unico modo per passare il test. Un paio di volte mi sono beccato un’intossicazione da troppa acqua, e non è stato bello—Pavle Stanimirovic, 46 anni, 16 anni in carcere per furti

PIPÌ DEGLI ALTRI

Chiunque abbia passato un po’ di tempo in carcere sa che procurarsi droga è abbastanza semplice, “in cortile”. L’ultima prigione in cui sono stato è la Macomb Correctional Facility, appena fuori Detroit. Qui la droga arrivava in abbondanza, grazie a guardie e altri membri dello staff corrotti. Personalmente, non mi sono mai fatto mentre ero dentro. Ma c’era un gruppo di detenuti, quelli che tutti sanno che si fanno, che venivano chiamati regolarmente per le analisi. C’era chi si metteva la candeggina in polvere sotto le unghie e chi usava detergenti chimici. A volte funzionava, altre volte no. Ma la cosa più assurda era quando qualcuno chiedeva a un altro di fare le analisi al posto suo.

I membri dello staff che si occupano dei test generalmente lavorano solo al centro analisi, non conoscono i detenuti uno per uno. E nel carcere c’erano circa 1700 persone. Perciò potevano sempre tentare di mandare qualcun altro al posto loro, con il tesserino d’identità del carcere. Sono sempre rimasto sconvolto dal coraggio di chi accettava. Ma sicuramente venivano pagati—o peggio, costretti a farlo. Ho visto alcuni farlo molte, moltissime volte—Alan Gunner Lindbloom, 45 anni, 13 anni in carcere per estorsione e rapina in banca

ANCORA PIPÌ

Avevo 21 anni e stavo nel carcere di Youngstown, Ohio. Passavamo il tempo a fumare erba e giocare alla PlaySation. Tutte le guardie sapevano che fumavamo. Una mattina io e i miei amici stavamo per fumare la prima canna, ma avevo la sensazione che ci avrebbero fatto un controllo, perciò ho ripulito la mia cella da capo a fondo. Mi ero fatto dare da un amico un po’ di urina pulita, e la tenevo sempre con me in un contenitore da collirio. Nonostante il possibile controllo, non avevo intenzione di smettere di fumare.

Erano circa le sei di mattina quando un poliziotto ha bussato alla cella e ha messo la testa dentro. “Williams!” urla. “Test antidroga! Almeno usate un deodorante per ambiente. I controlli arrivano in mattinata.” Grazie all’avvertimento della guardia, tutti gli altri sono spariti per andare a pulire le loro celle. Una volta arrivato in infermeria, nonostante mi tenessero sotto controllo, sono riuscito a nascondermi la boccetta tra le gambe e versare l’urina pulita nel bicchierino. E ho continuato a fumare in pace—Eyone Williams, 42 anni, 17 anni in carcere per omicidio

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