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Con e senza il mio Ritalin

Come mettere d'accordo la sindrome da deficit di attenzione e iperattività con un sabato pomeriggio all'Ikea.

Arriva come un'ondata di calore. Un tepore che parte dal torace e si diffonde gradualmente nel collo e nelle braccia. Per me, la sindrome da deficit di attenzione e iperattività non è una condizione permanente. Arriva a raffiche. La mia vita è vissuta tra gli estremi di chi sono veramente e la persona in cui mi trasforma il Ritalin. La presenza o l'assenza della medicina determina ogni singola esperienza che faccio. Un semplice giro all'Ikea può essere un modo produttivo per passare un sabato, oppure una schiacciante sfida di tedio e frustrazione, a seconda dal fatto che io abbia o meno quelle sostanze nel mio flusso sanguigno.

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Mentre mi dirigo con la scala mobile verso un mare di blu e giallo senza il medicinale nel mio corpo, il calore ha già iniziato a salire. I miei occhi schizzano per la stanza. Mastico una gomma. Controllo l'orologio. Guardo il prezzo di un piumone. Osservo un marito costretto a considerare i vantaggi di varie maniglie per armadi. Una porta fuori dal mio campo visivo si apre, poi si chiude. Mi chiedo chi sia. Il calore è nella testa, adesso. Chiudo gli occhi per costringermi a concentrarmi. Seguo le frecce gialle sul pavimento. Mi rigiro una matitina tra le dita. Dove diavolo è andata a finire la mia ragazza? Giuro che a volte è come Batman. Dovrei scaricare Il cavaliere oscuro – Il ritorno. La mia vista inizia leggermente a lampeggiare. Voglio correre. Bruciare quest'energia. La freno. C'è di nuovo quella porta. Dalla mia tasca esce il cellulare. Facebook. Twitter. Ora sto sudando. Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Qualcuno fa cadere una matita.

Questa è la mia vita. La mia concentrazione è sempre divisa tra vari argomenti. Posso essere a lezione e pensare al sesso o fare sesso pensando a una lezione. C'è sempre qualcos'altro che lampeggia di fronte alla mia mente prima di sparire altrettanto rapidamente.

Il costante movimento del mio corpo rispecchia l'attività della mia mente. C'è solo energia che deve uscire. Quando avevo 11 anni, si è manifestata con un fastidioso tic del collo. Ho ancora un'inesauribile ossessione orale. Se non posso masticare una gomma o una cannuccia, mi rosicchio la lingua finché non sanguina. Le mie mani fanno costantemente roteare in giro le chiavi o una penna. Ultimamente mi hanno dato un antistress, un piccolo giocattolo di gomma usato per calmare i bambini con necessità particolari. È diventato la mia coperta di Linus.

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Mi ricordo adolescente, seduto nell'ufficio di una psichiatra, che ascolto per metà mentre lei mi dice quello che già so: ho la sindrome da deficit di attenzione. Secondo le stime del Center for disease control, nel 2007 l'ADHD sarebbe stata diagnosticata all'incirca a 5,4 milioni di bambini americani. A molti di loro è stata detta la stessa cosa che hanno detto a me: c'è qualcosa che non va nel tuo cervello, piccolino. Non ti preoccupare. Abbiamo una medicina magica per te.

Mi hanno dato qualunque genere di stimolanti, da allora. Odio le mie medicine. Mi privano del sonno, mi danno il mal di testa e soffocano l'appetito. Le ricette possono durare per un massimo di 30 giorni senza che sia permessa una nuova prescrizione. Ogni volta che mi trasferisco, vengo interrogato da un nuovo strizza. Devo superare la supposizione secondo la quale venderò le mie pillole a qualche liceale con risultati scolastici eccellenti impaurito dal test per l'ammissione all'università.

E io ho bisogno delle medicine. È la cosa che odio di più. Senza le mie pillole sono un mutilato senza la sua protesi. Il tedio diventa tortura. L'Ikea diventa Abu Ghraib.

Faccio una pausa al bagno per avere una tregua da tutti gli stimoli. La mascella mi fa male dal masticare freneticamente. Qual era il nome di quel tavolino che mi sarei dovuto ricordare? Kerflug? Mi scordo di chiudere la cerniera dei pantaloni.

È ora di mettere fine a questa pazzia. Ingoio la piccola pillola verde: 10 milligrammi di metilfenidato, la formula generica del Ritalin.

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Venti minuti dopo, le cose sono tranquille. Il rumore se n'è andato. I neuroni della mia corteccia prefrontale funzionano a un livello di sensibilità aumentato, o almeno è così che lo interpretano gli scienziati. Sto passando in rassegna le tende alla parete con genuino interesse. Il grosso della mia mente è consumato dall'immaginare la mia stanza con quel tocco in più di rosso, o forse verde.

L'energia è ancora lì, ma ha uno scopo. La mia concentrazione, sporadica appena un'ora fa, è diventata costante. Dico sempre alla gente che è come trasformare un faro in un laser. Le mie mani sono vuote. La masticazione è rallentata al ritmo di quella di una mucca.

Questa è la persona che vedono quelli che mi conoscono di meno. I miei compagni di corso, gli insegnanti e i datori di lavoro hanno l'immagine di un uomo motivato. Faccio il mio lavoro in tempo. Rispondo alle domande a lezione. Questo sono io che sopravvivo a scuola. Posso frequentare l'università, ma solo con l'aiuto di stimolanti.

Le conversazioni intorno a me, prima impossibili da ignorare, sono soltanto un mormorio di sottofondo. Memorizzo il numero di riferimento del copridivano Klippan così da trovarlo più tardi nel magazzino.

Mi ci è voluta gran parte della mia vita, all'incirca 24 anni, per scendere a patti con la mia disabilità. L'ADHD si situa in un posto insolito dello spettro medico. Senza cure non riesco a stare al passo nella vita normale, ma sicuramente non appartengo alla categoria dei ritardati.

Ho scoperto che l'esercizio fisico è un'efficace forma di trattamento olistico. Quel momento di sforzo intenso, in cui ci vuole ogni briciola di determinazione per sconfiggere la fatica, è probabilmente l'unico caso in cui penso a una sola cosa.

Non ho problemi ad aspettare i 15 minuti necessari per la cassa. Spero di riuscire ad arrivare a casa prima che l'effetto del Ritalin svanisca, così da poter montare le mie nuove sedie. Esistono due versioni di chi sono. Il mio essere iperattivo e quello controllato si fondono uno dentro l'altro mentre l'effetto della medicina si intensifica o scompare. Sono sicuro che se i due avessero mai modo di incontrarsi, uno sarebbe infastidito, l'altro annoiato a morte.