Música

Il tamburo di Antico ha un’anima

Foto: Elisabetta Claudio

Siamo stati i primi a parlare del semi-omonimo nuovo album di Alfio Antico, in cui il percussionista si confronta da una parte con sonorità più vicine a una sensibilità contemporanea, slegandosi paradossalmente da convenzioni sonore “pop” di qualsiasi tipo per conservare invece quelle “popolari”. In questo modo, il suo tamburo e la sua voce aggiungono ulteriori sfumature a un’eredità culturale già di per sé ricchissima, onorandola coi linguaggi espressivi corretti senza comunque fare del tradizionalismo. Quando ne abbiamo parlato, abbiamo anche spiegato quanto Antico è un album sia vicino alla psichedelia occulta che si muove nel nostro underground, pur essendo il suo autore biograficamente distante da quella scena: in comune c’è una visione della musica come espressione di una serie di impressioni (appunto) antiche, di suggestioni tanto elementali quanto psico-geografiche e una ricerca sonora che fa della propria coscienza il veicolo di una moltitudine astratta. In questo senso riferirsi all’ “antichità” vuol dire contemplare con la propria espressività il lato più inconoscibile della propria terra, un non-racconto fatto di elementi anti-storici e barbare lingue minori. È proprio questo a trasformare la mitologia popolare che tramanda in una psichedelia a sua volta popolare.

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All’album stanno seguendo ora una serie di concerti in contesti piuttosto vari, tra cui alcuni festival. Uno di questi, Ortigia Sound System, sarà tra poco nella sua Sicilia, a Siracusa (più precisamente sull’isola di Ortigia). Dura una settimana (25-31 luglio), si svolge su differenti location e la line-up prevede da Nan Kolé a Go Dugong: Alfio si esibirà sabato 30 all’Arena Maniace in compagnia di Clap Clap!. Gli abbiamo fatto qualche domanda per l’occasione, in modo da approfondire il modo in cui presenta e trasforma dal vivo la musica contenuta nel suo disco. A questa intervista ha deciso di partecipare anche Mario Conte, uno dei due producer (l’altro è Lorenzo “Colapesce” Urciullo) che lo ha accompagnato nella ricerca di nuovo-antico suono.

Noisey: Il suo ultimo album è stato molto ben accolto da un pubblico molto vasto. Come ha preparato le esibizioni dal vivo che lo hanno seguito? Ha scelto di enfatizzare alcuni aspetti di quei brani piuttosto che altri?

Alfio Antico: Ho cercato di mettere in evidenza i brani che riescono a convivere sia con la mia esperienza, se vogliamo arcaica e pura, sia con la parte strumentale, sicuramente più contemporanea e, perché no, nel futuro. Per portare tutto questo dal vivo abbiamo cercato di ripetere quello che è stato fatto in fase di incisione: basti pensare che era quasi tutto in diretta. Ci siamo presi come obiettivo quello di proseguire questa atmosfera.

Ha dichiarato che con questo album voleva “andare in guerra” con gli strumenti. In che modo si trasla questa guerra dal vivo? È possibile coinvolgere il pubblico in questa guerra o non è necessario?

Intendo una guerra metaforica. Ho voglia di comunicare il mio essere e per questo ho un necessario bisogno del pubblico, che è lì per essere coinvolto, per far parte di questa mia personale “lotta”. Il mio lavoro è la comunicazione, devo avere persone alle quali arrivino le mie canzoni, se no non funziona. Qualcuno diceva che il suo mitra era un contrabbasso, ecco il mio è il Tamburo.

Quanto è legato all’esecuzione stretta dei brani o quanto lascia che il tamburo la porti dove vuole? Il legame intimo con lo strumento, in questo, è un limite o un vantaggio?

Non è solo un vantaggio, è un po’ tutta la mia carriera. Quando mi chiedono quale è il mio rapporto con lo strumento io rispondo sempre: io ho fatto il tamburo e il tamburo ha fatto me. Ecco, per me i tamburi sono come dei figli, il nostro legame è forte, è difficile da spiegare. Il tamburo è un elemento sul palco, non è solo uno strumento, per me ha la sua anima, quindi è importantissimo il suo valore.


L’uso dell’elettronica fatto in studio come viene reso dal vivo? Come riesce a bilanciarlo con l’aspetto Antico della sua musica?

Mario Conte: Nel disco coesistono due diversi livelli diversi di elaborazione elettronica. Il primo riguarda le ambientazioni e i trattamenti sonori dei tamburi e delle voci. Questo aspetto del suono è riprodotto fedelmente dal vivo, replicando live più o meno tutti i processi che sono avvenuti in fase di registrazione. In fase di produzione infatti, non è stata usata un’elettronica di matrice digitale, bensì analogica, organica e materiale. Inoltre, anche nel disco, tali processi sono avvenuti quasi sempre in modo diretto, non aggiunti in post-produzione, quindi—con alcuni accorgimenti—tecnicamente riproducibili dal vivo. È infatti possibile replicare l’esperienza sonora e sensoriale delle registrazioni rurali grazie ad una fusione tra il suono del tamburo (che di per se, se suonato e microfonato in un determinato modo assume caratteristiche noise che evocano un mondo dark ed elettronico) e gli oggetti sonori usati da me e da Lorenzo. Abbiamo infatti sul palco diversi set di molle, pennelli, bacchette di legno e ferro, riverberi a molle e delay, campionatoti lo-fi per riprodurre i suoni della natura precedentemente catturati o emularli con l’uso di macchine. Il secondo livello di trattamento elettronico riguarda l’uso di sintetizzatori e chitarre. Per gli strumenti, abbiamo deciso di non utilizzare tracce di background in sequenza, ma piuttosto di suonare il possibile live, cercando di cogliere l’essenza dell’arrangiamento del disco, in un’ operazione che tende a togliere più che ad aggiungere elementi. Cito ad esempio il brano “Indovinelli”, dove il lavoro dei synth nel disco, ricco di linee di contrappunto, si ispira chiaramente alle rivisitazioni anni Settanta della musica barocca. Dal vivo, abbiamo concentrato tutte le linee in un’unica struttura armonico melodica, cercando di mantenere il senso ‘neoclassico’ dell’arrangiamento ma in una forma più diretta e riproducibile dal vivo senza sequenze, che giochi su sfumature timbriche ed esecutive, mantenendo lo spirito originale del brano inalterato, pur modificandone gli elementi.


E come si confronta l’Antico con l’atmosfera affollata e frettolosa di un festival di oggi? Contare sula forza essenziale e “pura” del suo suono aiuta a catalizzare l’attenzione e generare l’atmosfera che le è congeniale?

Alfio Antico: Un’altra frase che dico sempre è che nel non rendermi conto godo rendendomi conto. Ok, forse faccio parte di un mondo diverso, probabilmente perduto, ma vivo nel mondo e mi diverte entrare in gioco con realtà differenti, nuove. Sono sempre stato un curioso, anche il mio Tamburo lo è. Dopo di ché sul palco ho sempre portato la mia realtà, quindi è esatto dire che questo mio suono catalizza l’attenzione. Io porto me stesso nel mondo e mi faccio coinvolgere dal resto, per fare tutto ciò ho bisogno dei miei suoni, dei miei ricordi e del Tamburo. Il mio mondo perduto è quello di quanto ero ragazzo, quando facevo il pastore tra le montagne del siracusano. Questo forse c’entra poco con la realtà frenetica dell’oggi, ma non posso nascondermi o fuggire, non posso esimermi dal raccontarlo.

In aggiunta, Alfio, Mario Conte e Lorenzo Urciullo ci hanno anche regalato una selezione commentata di brani di altri musicisti, per capire meglio quali ascolti, quali influenze e quali vicinanze possano rintracciarsi nella genesi di Antico.

Franz Rosati – Ruins A/V

Production Title – Cinema 4D from Chani Petro on Vimeo.

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Franz è un compositore, artista e sound designer Romano. la sua purissima e visionaria estetica digitale è antitetica al suono analogico di ANTICO ma, contemporaneamente, così affine. La stessa ricerca della contemporaneità dei suoni primordiali con sfumature sensoriali diverse.

Chassol – Pipornithology, Pt. I

È sempre la realtà della natura circostante ad ispirare la musica di Christophe Chassol. Ma più che di un’ispirazione si tratta di riscrittura in musica della realtà. Amazing.

Alessandro Quintavalle / Luca Reale & Gianluca Mattei – ZV7 Cuprico

La Zoff82 è un etichetta archivio con sede a Berlino. Quest’opera audio-visiva che fa parte del catalogo Z82, rappresenta un’ulteriore lettura del concetto di suoni ed ambiente. Il lavoro di Quintavalle, (la musica è tratta dal suo album solista Assuaje) estremamente cupo e distorto, rielabora e rilegge la musica popolare con l’uso di oggetti e strumenti musicali inusuali, anche autocostruiti. Il video di Reale e Mattei, ci restituisce una visione neorealista di volti e di luoghi rurali del sud Italia. Girato alle falde del Vesuvio tra S.Giuseppe Vesuviano e Somma Vesuviana. Aree rurali di confine sospese tra il potere ancestrale ed ingombrante del vulcano e l’evoluzione incompiuta della città di Napoli.

Tinariwen -Tenere Taqqim Tossam

I Tinariwen non hanno bisogno di prensentazioni, in questo pezzo stupendo li troviamo con il featuring di Tunde Adebimpe & Kyp Malone dei TV On The Radio. Rock tuareg come non si è mai sentito. La reiterazione come sempre è la forza del combo.

Chico Buarque – Construção

In Alfio Antico c’è molto “brasile inconsapevole”, abbiamo ascoltato molto questo disco nel periodo del ritiro a Gangi per creare Antico. Il testo e l’evoluzione di questa canzone sono struggenti e incredibili.

Concetta Barra – Nascette Mmiezo’ O Mare

Totale.

Exuma – Damn Fool

Impossibile stare fermi con questo pezzo degli Exuma, musica liberatoria per scacciare via i demoni since 1970.

Bob Dylan – Mr Tambourine Man

Brano che mi ha sempre incuriosito e forse, banalmente, mi rappresenta nel messaggio filosofico che vuole lasciare. Girano molte interpretazioni sul vero significato del brano, ma quello che mi interessa di questa splendida canzone è come riesca a rappresentare tutta la mia adolescenza in montagna, con le pecore, di notte, nella semplicità di una strofa: “Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me, I’m not sleepy and there is no place I’m going to. Hey! Mr. Tambourine Man, play a song for me, In the jingle jangle morning I’ll come followin’ you.” La notte mi faceva paura, ma avevo il tamburo e il suo suono a protezione della mia anima. A questo penso mentre ascolto questo brano magico.

Rosa Balistrieri – Terra Ca Nun Senti

Ho la fortuna di poter parlare di Rosa come una amica, una persona speciale con la quale ho avuto un rapporto bellissimo e di stima profonda. Siamo simili nell’anima e questa canzone rappresenta in tutto la mia Sicilia, terra che amo profondamente, ma allo stesso tempo rimprovero. Rosa è riuscita, come sempre, a dare tutta se stessa in questa ninna nanna ad una terra amata, ma con la quale incazzarsi diventa necessario, perchè ci si arrabbia con ciò che si ama, come la nostra terra.

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