Un comizio elettorale di Trump che si trasforma in un flop clamoroso. Un parlamento che modifica rigidissime leggi sul servizio militare. Una raccolta fondi milionaria per Black Lives Matter. Un titolo in borsa che schizza alle stelle. C’è un filo che unisce tutti questi eventi apparentemente distanti, e quel filo passa per la boy band più seguita al mondo e una devota rete di fan, pronti a mobilitarsi per le iniziative più disparate. Se il 2020 passerà alla storia per i motivi che possiamo immaginare, sento il dovere di aggiungere una postilla per bilanciare il tutto: il 2020 è stato (anche) l’anno dei BTS.
Ho provato a tenere il conto dei record infranti dalla band solo nell’ultimo anno, ma mi sono accorto presto che il calcolo era un esercizio estenuante. Il video più visto in un giorno su YouTube? È “Dynamite” dei BTS. Il concerto in streaming con il maggior numero di spettatori? Il loro “Bang Bang Con: The Live”. Il gruppo con il maggior numero di debutti alla prima posizione nella Billboard Hot 100? Sempre loro. I primi artisti sudcoreani candidati ai Grammys e arrivati in testa alle classifiche di mezzo mondo almeno due volte nell’ultimo anno? A questo punto probabilmente saprete già la risposta, e ad andare avanti ce ne sarebbe abbastanza per aprire una sezione dei Guinness World Records solo per loro.
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Quando l’estate scorsa “Dynamite” era praticamente ovunque sembrava impossibile replicare un successo di quella portata. Tutti gli ingredienti si incastravano alla perfezione, dal groove disco-pop con ritornello catchy in falsetto fino al video con coreografia pronta per TikTok, e non ultimo il testo completamente in inglese, un’anomalia nella storia del gruppo. Sono perciò rimasto sorpreso quando il singolo successivo, l’intensa e malinconica “Life Goes On”, è arrivato nuovamente in testa alle classifiche americane lo scorso novembre. Il risultato è ancora più clamoroso considerato che il brano è cantato quasi esclusivamente nella loro lingua madre e, fatta eccezione per alcuni artisti che cantano in spagnolo, molto difficilmente produzioni non-anglofone trovano spazio nel mercato americano.
Il vero momento in cui mi sono convinto che i BTS fossero un meteorite piombato sul music business mondiale risale però a circa un mese prima, quando Big Hit Entertainment, la loro etichetta discografica, si è quotata in borsa.
Come i BTS, anche la Big Hit è una sorta di anomalia nel mondo del K-pop. Fondata nel 2005 da Bang Si-Hyuk, un navigato produttore coreano, ha rischiato la bancarotta prima di ottenere un discreto successo locale. Da quando ha lanciato i BTS, nel 2013, ogni anno ha più che raddoppiato i propri ricavi, crescendo di pari passo con la band, che ancora oggi le porta quasi il 90% del fatturato. In un’industria come quella K-pop, nota per il perfezionismo e la forte pressione esercitata sugli artisti, l’etichetta ha seguito un approccio differente, lasciando maggiore libertà nel processo creativo e dando priorità al benessere psicofisico degli artisti. Da subito la fanbase si è sentita molto coinvolta nelle vicende dell’etichetta: due volte all’anno i corporate meetings della Big Hit vengono trasmessi online, raccogliendo milioni di visualizzazioni, e lo stesso Bang è visto come una specie di padre adottivo dei membri della band.
Come spesso accade alle aziende in forte crescita, nel 2020 anche la Big Hit ha deciso di quotarsi in borsa, cioè di vendere al pubblico le proprie azioni. Comprando un’azione, si compra una piccola porzione della proprietà dell’azienda e, se le cose vanno bene, la possibilità di ricevere in cambio una piccola quota dei profitti futuri. In cambio l’azienda che vende le azioni ottiene immediatamente denaro per fare investimenti e poter crescere ancora. Come prevedibile, i fan in giro per il mondo non si sono tirati indietro, attivandosi per comprare le nuove azioni. Alla fine il lancio ha superato ogni aspettativa: Big Hit, che di recente ha cambiato il proprio nome in Hybe Corporation, ha raccolto facilmente oltre 922 miliardi di won (circa 690 milioni di euro), rendendo miliardario Bang e multimilionari i membri della band, al momento tutti co-proprietari dell’etichetta.
È difficile dire con precisione quanto i fan dei BTS abbiano contribuito a questo successo, anche perché in questo tipo di operazioni la maggior parte del denaro è fornita da banche e fondi di investimento. Online si trovano però diverse testimonianze di fan che hanno comprato azioni come regalo di compleanno, o di utenti più esperti in materia che hanno organizzato tutorial e gruppi per istruire i fan meno esperti.
L’aspetto che mi ha più colpito di questa vicenda è la capacità di interessarsi a questioni complesse, organizzarsi online e incidere attivamente sul corso delle cose dimostrata dalle ARMY (il nome con cui si fanno chiamare i fan della band, un gioco di parole tra l’inglese per “esercito” e l’acronimo di “Adorable Representative MC for Youth”). Si tratta di un fenomeno in parte comune ai fan di altri artisti, che però difficilmente arrivano a un livello simile di coinvolgimento e dedizione.
Lo scorso autunno, prima dell’uscita dell’album “BE”, su un sito dedicato al gruppo è stata pubblicata una “Ultimate ARMY Streaming Guide“, con lo scopo di massimizzare l’impatto dell’uscita sulle piattaforme di streaming e le classifiche di vendita. La guida è stata scritta da Avi, una fan ventiseienne che vive a Jakarta, in Indonesia, e contiene consigli molto precisi, come ad esempio acquistare separatamente ogni singola canzone oppure creare lunghe playlist per riprodurre i brani giorno e notte senza usare la funzione repeat (potete inserire delle cuffie se proprio non volete ascoltare, ma non usate assolutamente il mute perché gli stream potrebbero non venire conteggiati!).
Ma il lavoro di Avi e di altre centinaia di migliaia di fan non si limita a sostenere i BTS e la loro musica: le ARMY spesso fanno sentire la propria voce anche su tematiche sociali o politiche, di recente ad esempio contro le discriminazioni verso le persone asiatiche. Avi ha spiegato in un’intervista che quello che fanno “non è tanto promuovere i BTS, ma promuovere la nostra stessa voce, le nostre battaglie e la nostra speranza in un mondo migliore,” cercando di portare altre persone a conoscere i BTS e aderire al loro messaggio.
Nicole Santero è una fan dei BTS e dottoranda in sociologia all’Università del Nevada, dove conduce ricerche sulla struttura sociale dell’ARMY. Nell’ultimo anno ha lavorato al BTS Army Census, un’indagine sociologica che ha coinvolto oltre 400.000 fan in più di 100 nazioni. “Il mio aspetto preferito dell’ARMY è come si è creata una cultura unica in cui [i fan] non solo supportano i BTS, ma si sostengono l’un l’altro,” ha scritto Santero, “cosa che si è rafforzata ulteriormente durante la pandemia di COVID-19.” Secondo la ricercatrice, la capacità dei BTS di coinvolgere un pubblico così ampio e variegato è dovuta al modo molto diretto in cui affrontano temi come quello della salute mentale, aiutando le persone a gestire la pressione della società o a superare momenti difficili.
C’è anche però chi ha espresso opinioni più critiche verso un così forte coinvolgimento emotivo dei fan, un fenomeno a volte riassunto sotto l’etichetta di “standom”, dall’unione di fandom e Stan, il fan-stalker protagonista di una famosa canzone di Eminem. Raccontando la sua esperienza da adolescente, la giornalista Haaniyah Angus ha scritto che l’appartenenza a comunità online di questo tipo spesso aiuta a fare nuove amicizie, ma si dice preoccupata che questo modo di intendere l’essere fan stia diventando predominante, e in generale non considera sano risolvere le proprie insicurezze con la devozione assoluta verso personaggi famosi. Dopotutto, non dovremmo dimenticare che si tratta di sconosciuti interessati a venderci un prodotto, sia esso un disco, un biglietto di un concerto, oppure le azioni della propria etichetta discografica.
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