C’è un filo rosso che scorre sotto la pelle della musica italiana, una sorta di arteria pulsante che la porta fuori dal labirinto. È il sistema circolatorio nascosto della nostra industria musicale, ma è un musicista e ha un nome e un cognome: Dario Faini. Se non avete idea di chi stiamo parlando, per ora siete perdonati.
Dario, in effetti, è ben più celebre come Dardust. E se anche in questo modo non vi scatta nessun campanello d’allarme, potrebbe aiutare un elenco parziale dei musicisti italiani con i quali ha collaborato: Mahmood, Rancore, Elodie, Fabri Fibra, Sfera Ebbasta, Rkomi, Thegiornalisti, Annalisa, Emma, Elisa, Fedez, Marco Mengoni, Luca Carboni, Fiorella Mannoia, Edoardo Bennato, Cristiano De André, Francesco Renga, Levante, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, Irene Grandi, Alessandra Amoroso, Marco Carta, Antonino, Rossana Casale, Ex-Otago, Selton, Jovanotti, Calcutta e chissà quanti altri ancora.
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Faini è di Ascoli Piceno, ha una formazione classica e un amore innato per la ricombinazione di tutti i linguaggi musicali. Ha appena pubblicato il suo ultimo disco da solista, S.A.D. Storm and Drugs, ma il suo lavoro consiste principalmente in quello del musicista totale, uno studioso chino a studiare nuove tecniche di composizione e strumenti: un autore nella definizione più ampia e completa possibile.
Tanto che con i musicisti con cui ha collaborato Dario è stato in grado di passare con facilità dalla veste di produttore allo strumentista capace, dalla penna al ruolo di compositore puro, mettendo in fila decine e decine di successi diversi. Mentre mi parla, comodamente seduto nel suo studio, intravedo qualche enorme altoparlante e scopro in fretta come questo sia stato possibile: “Nel mio percorso di sono due componenti fondamentali da sottolineare. In primo luogo sono il tipo di musicista che studia continuamente, che cerca un tipo di preparazione che penso possa fare la differenza. È il motivo per il quale tento di non abbandonare mai lo studio vero e proprio della composizione e sto al pianoforte ogni giorno almeno una o due ore. In secondo luogo, inseguo sempre la maggior versatilità possibile e cerco di spaziare tra generi e stili. Questo credo sia il segreto per non invecchiare a livello creativo, cioè lasciarsi contaminare e appassionarsi a stili diversi”, e come questa contaminazione avvenga in parte ci stupisce.
“Il segreto per non invecchiare a livello creativo è quello di lasciarsi contaminare e appassionarsi a stili diversi.”
Udite udite, “È anche grazie al fatto di vivere appieno l’esperienza dei live altrui all’estero, o semplicemente di partecipare ai concerti, che credo si apra una dimensione molto più forte, in grado di farti entrare in maniera più vivida e accesa nell’immaginario degli artisti. Persino di quelli che non conosci o di cui non sei innamorato. Personalmente mi è successo in molte occasioni, da King Krule a Drake, Kendrick Lamar e persino Deena Abdelwhahed”. Il suo discorso risulta del tutto coerente con le sonorità alle quali Dardust è ormai associato, ovvero la trap e rap, l’elettronica e l’urban.
Ci dice: “La mia recente passione per l’urban, di circa 2 anni, l’ho proprio cercata e ho voluto farne esperienza dal vivo, per capire l’impatto del suono sul pubblico, il pubblico stesso, il mondo e l’immaginario sonoro dei singoli artisti. Lo stesso vale per l’elettronica dal vivo. Ma vale per ogni genere, anche nel cantautorato. Questi sono i principi nei quali mi riconosco”, e dopo pochi minuti sembriamo aver già chiuso il cerchio delle mie curiosità e della sua particolarità. Quanti altri hanno le idee così chiare e sono così sicuri dei propri metodi, persino disposti a lasciarsi contagiare dalla musica degli altri?
Passa qualche altro minuto e scopro che, mentre diffonde la sua musica a macchia d’olio, Dario si sta già espandendo all’estero, un’onda pura e in mareggiata piena: “La dimensione internazionale è una realtà alla quale sto già guardando e lavorando da tempo. Sto già facendo sessioni a Parigi e Madrid, ho collaborato con Recycled J, con Mori e con Lord Esperanza; è assolutamente uno dei miei prossimi passaggi fondamentali. Basta metterci la giusta dose d’empatia, entrare nell’immaginario degli altri come un compagno di viaggio, alla ricerca di un terreno comune.”. Insomma, è “una specie di analisi, tanto più che sono davvero laureato in psicologia e questo mi ha aiutato a instaurare una sorta di rapporto, chiamiamolo transfert per intenderci, con tutti i musicisti. Un rapporto di fiducia che mi ha portato a non avere mai nessuno scontro tra ego diversi. E comunque, non credere, in Italia mi mancano ancora tantissime persone con le quali collaborare”, ride, Dardust.
Nella sua risata leggera ho il dubbio che si perda la completezza della sua visione e del suo lavoro, visto quanto sia facile trovarlo alle prese con l’ennesima hit e l’ultima in una serie infinita di collaborazioni. Tuttavia, è giusto considerare che il panorama musicale italiano oggi è ben diverso rispetto a qualche anno fa, e ci troviamo d’accordo sulla situazione generale: “I confini sono molto più fluidi, sicuramente, non c’è più alcuna sorta di timore nel passare da una categoria dall’altra, dall’underground al mainstream, dall’indie al pop. Tra l’altro, oltre al timore prima c’era forse un atteggiamento un po’ spocchioso e snob, mentre adesso questa cosa è totalmente abolita. Forse è stato l’arrivo dell’era dello streaming che ha reso tutto più fluido e ha permesso che tutti gli stili potessero diventare materia di crossover”.
“Forse è stato l’arrivo dell’era dello streaming che ha reso tutto più fluido e ha permesso che tutti gli stili potessero diventare materia di crossover.”
Non sorprende quindi come Dardust descrive il suo incontro con la trap, per quanto l’entusiasmo sia al contrario stupefacente: “La trap è stato il movimento musicale che aspettavo da anni, in grado di rovesciare le carte sul tavolo e far entrare aria nuova. Sia sul versante della metrica che della composizione ha trasformato radicalmente il volto delle melodie, una manna dal cielo che ha cambiato il volto della musica italiana. Dopo aver fatto altrettanto con la musica internazionale, certo. E poi, per paradosso, credo che soprattutto a livello di movimenti armonici e accordali abbia portato un po’ di emozionalità, cosa che sembra assurda, ma se ci pensi tanti brani trap hanno campionamenti, giri o accordi che sono assolutamente super emozionali. Nell’hip hop di solito questi non era possibile inserirli”, ci ricorda.
Senza contare che “questo tipo d’interventi vanno anche ad attingere a mondi musicali del tutto distanti dal pop. Così facendo questo ha permesso di dare nuovi colori ai pezzi, e in seguito di portare questi nuovi colori, e la trap stessa, e contaminare tutto con il pop. Ad esempio è quello che abbiamo fatto nell’esperimento di “Rapide” di Mahmood: una ballad un po’ urban, e, credo, una nuova modalità di portare la canzone italiana in questo contesto musicale. Quindi, più che la trap “pura”, che magari è anche una vena in via d’esaurimento, a far la differenza credo sia la forte contaminazione, il fatto che i vari ambienti si lascino contagiare da diversi schemi musicali”. Quanto sia centrale questa volontà di far incontrare e scontrare diverse realtà, stili ed esperienze, risulta chiaro da uno dei successi maggiori di Dario, quella “Soldi” di Mahmood che vinse il Festival di Sanremo lo scorso anno.
Difficile smentire che “quella canzone è stata per molti versi un momento miracoloso. A ripensarci, è stato davvero incredibile riuscire a buttare così tante idee tutte insieme, in massimo una o due ore, e ottenere quel pezzo. Inizialmente Ale (Mahmood, ndr) aveva giusto la melodia, il testo con i suoi passaggi melodici, e abbiamo lavorato per moltiplicare i piani d’espressione. Io ho inserito le ripetizioni, il “Come va, come va”, ho preso diversi elementi e li ho rafforzati per renderli più iconici. Ad esempio il Clap, o l’inserimento del bouzouki turco, il basso praticamente electro e via dicendo… Sembrava un brano veramente assurdo, eppure ricordo quei momenti come parte di un episodio di totale libertà. In fondo, Mahmood non era conosciuto come lo è oggi e quindi ci siamo detti, Non dobbiamo fare una hit, lavoriamo su qualcosa di nuovo e libero. Dunque poche ore e abbiamo stabilito tutte le idee sonore di base e la struttura fondamentale, prima che Charlie Charles rafforzasse il beat e lavorasse sul sound design per rendere più d’impatto il brano”, ci racconta col sorriso.
E col sorriso gli chiedo come ha poi affrontato la pressione successiva alla vittoria al Festival. La risposta mi spiazza: “Nessuna pressione. In realtà “Soldi” ha proprio dato il via all’esplosione del mio momento creativo, la liberazione totale. Essendo diventato così iconico, non mi sono più fatto alcun tipo di problema a osare. Pensiamo anche ai due brani che ho portato al Festival quest’anno, insieme a Elodie e Rancore“, di cui si è abbondantemente parlato. “Solo due anni fa non avrei avuto il coraggio di comporli, di unire così tanti scenari in una stessa canzone, ora invece vengo proprio incoraggiato a farlo. In quei due brani, così contemporanei, spero, ho inserito tanti momenti di sorpresa, vere e proprie scene come nei film.”, ci assicura.
“‘Soldi’ ha proprio dato il via all’esplosione del mio momento creativo.”
È il tipo di approccio cinematografico che “Per esempio in ‘Andromeda’ di Elodie mi ha dato la possibilità di trattare la struttura della canzone italiana come fosse una ballad, inserendo però anche un piano house, un discorso anni Settanta. In ‘Eden’ di Rancore c’è un ritornello quasi reggaeton e la ritmica quasi neoclassica… Insomma, tutta una serie di generi distanti tra loro che si uniscono in una maniera nuova. Dando vita davvero solo a un senso di liberazione totale. Ovviamente, dentro di me c’è sempre un termometro che mi fa controllare il tutto, un filtro dove selezionare ciò che incontra il mio gusto. Prima di uscire dallo studio devo aver vagliato appieno l’equilibro dei pezzi”, e di questo equilibrio indago la sostanza nei nomi con cui ha lavorato e lavorerà, o si limita a seguire.
Nonché cercando di capire i suoi segreti d’artigiano: “Se ci fai caso, la sfida è sempre la stessa. Bisogna far sì che la musica resti in piedi. La strumentale deve avere un carattere che rimane indipendente da tutto, dal testo, dalla voce e dalla melodia. Questi sono il quid in più che rende tutto più forte e porta un’altra dimensione all’ascolto, quella in grado di attirare l’attenzione. Non dico però che la musica debba essere più importante del testo, la strumentale deve semplicemente avere carattere, esprimere già il suo racconto e l’immaginario. Per riuscirci io spesso non parto dal pianoforte, come è facile pensare, ma proprio dal beat o dai riff, gli aspetti più caratteristici dei miei pezzi. Un tema musicale che può essere ripreso o accompagnato da suoni elettronici, chitarre, fiati o linee d’archi… ma è importante che ci sia questa componente a rendere tutto forte, identificabile, insomma, iconico!”, e iconico il suono di Dardust lo è davvero.
Tanto che non sorprende sentirlo parlare con entusiasmo di altre personalità forti quali “Madame, con la quale ho già iniziato a lavorare e trovo abbia un’attitudine, a livello di songwriting, davvero innovativa. Credo che, istintivamente, grazie alla sua formazione e ai suoi ascolti riesca a codificare i due mondi del pop e della trap, creando un nuovo linguaggio. Come anche tha Supreme, soprattutto sul lato melodico, e al di là dell’aspetto produttivo, parlo proprio della scrittura e del songwriting. Mi affascina anche come pronuncia alcune parole, come vengono distorte e colorate, a dare un suono diverso”, è la solita spinta al nuovo e ai suoni meticci che Dario ci ha raccontato e musicato sin dall’inizio.
“E adoro tantissime altre cose. All’estero per esempio i Comet Is Coming, che mi hanno nuovamente fatto innamorare dei fiati. Ólafur Arnalds o i Sigur Rós, un’influenza fondamentale per me e per l’espressione di una certa malinconia romantica che mi porto dietro da sempre, e che loro mi hanno riportato indietro e trasformato. Molto belli anche FKA Twigs, o Childish Gambino, anche se non sono ancora riuscito a vedere Atlanta (l’incredibile serie televisiva scritta, prodotta e interpretata dal musicista, ndr)! Tra l’altro, visto che tengo la mia Dardust Night su Radio Montecarlo, devo proprio andare a cercarmi cose nuove ogni settimana, altro carburante”, ci confessa.
“I Sigur Rós sono un’influenza fondamentale per me e per l’espressione di una certa malinconia romantica che mi porto dietro da sempre.”
La confessione viene interrotta all’improvviso dalla chiamata di Mahmood: i due sono attualmente al lavoro e lo scambio di idee, basi, testi e melodie è febbrile e non può interrompersi, nemmeno per un’intervista. Ascolto, fischiettando e facendo finta di niente, una bozza del pezzo a venire, sento poco o nulla del beat, e giusto il titolo che richiama un vecchio classico del cinema, di quelli in bianco e nero da manuale.
Quando torna gli consiglio di scaricare la colpa del ritardo su di me, ma mi assicura ridendo di averlo già fatto. Parliamo ancora un po’ e risponde paziente alle mie ennesime curiosità sui suoi tour da pianista classico, della sua partecipazione alla manifestazione milanese Piano City, quel tipo di concerti dove, “Non c’è spazio per l’errore ed esce fuori tutta la mia dimensione di musicista, la preparazione “agonistica” sul lato tecnico, la posizione del braccio, il peso e il corpo, gli esercizi, la meditazione – 20 minuti di mantra al mattino e il priming, una tecnica di respiro per mandare in reset il cervello, quando sono sotto stress – , accorgimenti che mi rendono solido anche sul lato emotivo e caratteriale, mentre sono da solo davanti a migliaia di persone. Ma una volta che impari a gestire è tutto più facile… ecco, l’ho detta, me la son mandata!”, ne dubito ma sto al gioco, immaginando come deve essere la sensazione.
Tuttavia, è semplicemente impossibile immaginare come si arrivi a suonare, comporre e produrre la maggior parte della musica italiana d’oggi, lasciando un segno così indelebile, una voce così forte e specifica, eppure così aperta alle visioni degli altri musicisti. Scrollo la testa e qualche giorno dopo mi limito a passargli le puntate di Atlanta che gli mancano, chissà se le ha mai viste, chissà quali idee ne tirerà fuori.
Daniele è su Instagram.
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Vai a vedere Dardust in tour:
27/2 Roma, Spazio Rossellini
5/3 Milano, Magazzini Generali
6/3 Torino, Hiroshima Mon Amour
20/3 Madrid, Sala Shoko
31/3 Bruxelles, ABClubd
1/4 Parigi, Cafè de la Danse