“Non mi va molto a genio di fare il paladino della giustizia”
È con queste parole che comincia Wasted, l’ultimo documentario girato da Anthony Bourdain, andato in onda la settimana scorsa su laeffe. Come purtroppo sappiamo tutti, Anthony Bourdain è morto lo scorso 8 giugno. E con lui un certo modo – ruvido, dissacrante, cinico ma impegnato, ironico ma profondo – di approcciare il cibo. C’era grande attesa, quindi, intorno all’ultimo documentario che abbia girato.
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Uscito negli Stati Uniti lo scorso ottobre, Wasted parla di un problema di cui tutti in teoria sappiamo – o facciamo finta di sapere – qualcosa: lo spreco alimentare. Un ripassino a buon rendere: Il 40% del cibo prodotto negli Stati Uniti finisce nelle discariche; ogni anno nel mondo vengono sprecati mille miliardi di dollari a causa del food waste, che equivale a circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo; lo spreco alimentare è la prima causa della deforestazione, dello sfruttamento delle risorse idriche, della perdita di biodiversità. In tutto questo metteteci che 800 milioni di persone sono denutrite, e tra qualche anno al mondo ci saranno 9 miliardi di persone, e avrete le proporzioni del problema. Sentite il bisogno di riprendere fiato dopo questo fuoco di fila di cifre? Anche io.
Il documentario affronta il problema dello spreco alimentare da diversi punti di vista. La questione che più mi ha colpito è quella delle discariche: le emissioni di gas serra del cibo buttato sono 23 volte più potenti dell’anidride carbonica. È anche la problematica in cui io mi sento più coinvolta in prima persona, perché quando poi il documentario passa a parlare di faccende come le assurde porzioni dei fast food, o la mancanza di cibo sano nei supermercati, è difficile immedesimarsi, visto che la situazione negli Stati Uniti è evidentemente diversa che in Italia.
Con questo non voglio dire che lo spreco alimentare da noi non esista. I dati parlano chiaro: esiste. Ma il sistema agroalimentare statunitense non è, fosse anche solo per le dimensioni, comparabile a quello italiano. Non voglio fare quella che ‘Ah, la cultura del cibo che abbiamo in Italia”, ma è vero, in Italia abbiamo maggiore cultura del cibo, rispetto del prodotto e sacralizzazione del concetto di pasto. Che a volte risultano eccessivi, ma che ci permettono di crescere con una maggiore consapevolezza di quello che mettiamo nel piatto.
Romanticizzo esageratamente io la cucina italiana? Non lo so. Di certo, quando nel documentario viene spiegato come i cereali siano il prodotto più sprecato e che la maggior parte della colpa è dei sandwich fatti con le fette di pane in cassetta, mi viene difficile pensare alla stessa situazione in Italia. Le famiglie italiane che conosco io non comprano così tanto pane in cassetta ma soprattutto non buttano così tanto pane: lo mangiano, lo congelano, ci fanno passatelli o pangrattato per le polpette o le cotolette.
Wasted non si limita però a presentare tutti i problemi che affliggono il mondo della produzione alimentare: si produce troppo nei campi, si vendono prodotti con date di scadenza esageratamente brevi, si comprano e si ordinano al ristorante quantità di cibo eccessive. Il documentario ci mostra iniziative virtuose come Daily Table, che porta alternative pronte più salutari nei supermercati, o sperimentazioni sui mangimi per gli animali (altra grande causa di spreco di cibo) che alla mia mente oggettivamente poco scientifica hanno fatto parecchia impressione.
Non mancano i cameo di chef famosi: d’altronde, per dirla con Bourdain, “tutti gli uomini con barbetta incolta e codina in testa sono pronti a spendere una follia” per le “porcherie” che gli chef servono loro. Quindi, perché non farlo a fin di bene?
Compaiono Dan Barber di Blue Hill Farm che applica la filosofia nose-to-tail al vegetale, Danny Bowien di Mission Chinese Food e il ‘nostro’ Massimo Bottura, dell’Osteria Francescana di Modena, che racconta della creazione di Food For Soul durante Expo Milano 2015: ora i refettori, dove le eccedenze alimentari di supermercati o ristoranti vengono utilizzate per dar da mangiare ai più bisognosi, si trovano in tutto il mondo. Lo chef del futuro, dice Bottura, avrà più nozioni di agricoltura e maggiore cultura, conoscenza e consapevolezza.
Nel complesso il documentario pecca un po’ di retorica e manca di incisività. Lo dice anche Bourdain nel suo cameo finale: “Io gli avrei dato un’impronta un po’ più cruenta […] non ci vedo niente di male nel far cagare addosso la gente dalla paura”. Di sicuro lo chef non si è messo in cattedra per fare, appunto, il “paladino della giustizia”, perché “O provi empatia o non la provi. Più viaggi più ti rendi conto di come va il mondo e di quanto la gente si batta per sopravvivere”.
E quindi? Cosa mi ha lasciato la visione di Wasted? Bella domanda.
Che siamo messi male. Che ci vuole un approccio olistico al problema dello spreco alimentare. Che al mondo ci sono persone meravigliose che portano avanti iniziative meravigliose. E che tutti possiamo fare qualcosa, fosse anche una spesa un po’ più intelligente. E poi, sempre per utilizzare le parole di Bourdain, vuoi mettere la soddisfazione di “crogiolarti nell’autocompiacimento che deriva dal sapere di avere fatto la cosa giusta”?
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