C’era una volta il 2007, e questa è una storia che vi ho già raccontato. A quei tempi nel punto di congiunzione tra le provincie di Mantova, Rovigo e Ferrara, nel mezzo della pianura padana più paludosa, nebbiosa e inospitale, in un luogo chiamato Bergantino il cui PIL è rappresentato per il 99% dalla produzione di giostre da luna park, c’era un tiki bar. Avete letto bene: un bar in stile hawaiiano, con palme finte, bancone di bambù e statuette tiki a ogni angolo. Solo che al posto di Mai Tai con l’ombrellino, all’Ungawa si servivano Campari e Ceres (spesso mescolati in un cocktail micidiale che veniva servito in boccali da un litro) e al posto di “aloha” e “mahalo” le parole d’ordine non le posso scrivere qua perché poi il Vaticano ci fa chiudere il sito.
È in questo contesto che sono nati i Dots, uno dei gruppi punk rock più insensati e divertenti della storia del genere in Italia. E io posso dirlo, perché ne facevo parte. Sui dischi erano in tre, Marco e Alessandro (che sono fratelli) e Andrea, ma dal vivo convincevano quanti più amici possibili a unirsi a loro creando un vero e proprio carrozzone di caos, ostilità e, fondamentalmente, demenza totale. Se andate a rovistare nel sottobosco delle fanzine punk/rock’n’roll italiane degli ultimi anni, troverete un paio di articoli dedicati ai Dots e alla manica di debosciati che si portavano dietro, tutti provenienti da quel triangolo della deficienza, della nebbia e dell’alcolismo racchiuso tra il confine Sud della provincia di Mantova, il Po e il Menago, affluente del Canal Bianco che attraversa Cerea e altri posti di merda che non sto a elencare.
Videos by VICE
Dopo un demo, un 7″ sulla leggendaria etichetta svedese Ken Rock e un 7″ split con i compagni di scorribande Virus, i Dots si sciolsero a fine 2008, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore di 28 ubriaconi che se ne dimenticarono subito dopo. Ma ora sono tornati.
In pieno stile Dots, le nove canzoni di questo nuovo album non c’entrano (quasi) una beata fava con la produzione precedente della band. Nonostante la copertina grigia e austera, Hangin’ on a Black Hole contiene nove pezzi che, senza perdere l’aggressività e la sarcastica ostilità che contraddistingue la band, virano pesantemente verso il funky e la festa ad ogni costo. I numi tutelari di questo album sono in primis quel debosciato di Black Randy e i suoi Metrosquad—che in piena esplosione punk ’77 stava già prendendo per il culo tutti i suoi stereotipi e dicendo “ok le spille da balia e l’odio per la società, ma facciamoci due risate e muoviamo un po’ le chiappe”—e poi la sagoma di James Brown intravista nella nebbia, il party permanente dei secondi Beastie Boys, e una dose di trollaggio punk mutuato da Homostupids, Folded Shirt e il resto dei premi Nobel che frequentano il Now That’s Class di Cleveland.
Il bello di questo album non è soltanto che è divertente, originale o quello che vi pare, è che è di una sfacciataggine e una purezza d’intenti rara. Ascoltare questo disco è esattamente come entrare a una festa nella Bassa Padana: potete mantenere la vostra coolness cittadina e stare tutta la sera in un angolo a rompervi le palle, o spogliarvi in mutande e lanciarvi nella piscina di Campari assieme agli altri. A voi la scelta: noi continuiamo a spassarcela.
Il disco uscirà martedì 28 marzo su un 12″ one-sided per Depression House Records. Ascolta l’album qua sotto e ordina la tua copia all’indirizzo depression.house@gmail.com o sul profilo Bandcamp della band.
I Dots suoneranno a Milano il 26 maggio in occasione del festival Allucinazione Metropolitana insieme al meglio del punk europeo del momento. Segnatelo sul calendario.
Giacomo fa ancora il coglione in giro ma principalmente sta davanti al computer a scrivere per Noisey. Seguilo su Twitter: @generic_giacomo.
Altro
da VICE
-
Screenshot: Matt Vatankhah -
Photo by Frank and Helena via Getty Images -
Nvidia GeForce RTX 5080 – Credit: Nvidia -
Screenshot: EA Sports