Il 20 settembre scorso, a Empoli, sono stati fermati due ragazzi con addosso qualche migliaia di euro e un po’ di hashish. Sulle panette era inciso il logo di Louis Vuitton.
Qualche settimana prima, ad Anzio (RM), i Carabinieri hanno sequestrato 17 chili della stessa sostanza, marchiata col simbolo di Prada.
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Ma non è soltanto l’hashish a subire lo stesso processo di commercializzazione, e non è solo l’Italia a conoscere questo fenomeno: qualche giorno fa, in Massachusetts, due uomini sospettati di essere degli spacciatori sono stati ritrovati in possesso di 25 zainetti pieni di eroina marchiata “Rolex”.
Seguendo le cronache, insomma, non è raro imbattersi in casi del genere — basta cercare su Google la chiave di ricerca “droghe griffate”.
Tra buste di coca col logo del Real Madrid, pillole a forma di loghi automobilistici e bustine col nome di personaggi dei cartoni o di festival musicali, la tendenza alla brandizzazione delle droghe sembra essersi affermata da tempo, senza conoscere crisi — come certificato anche dal Drug Market Report del 2016, redatto dallo European Monitoring Centre for Drugs and Drugs Addiction (EMCDDA).
Ma che senso ha modellare una panetta di fumo per dargli la forma di un iPhone 5, con tanto di ‘mela’ sul retro — com’è successo a Napoli nel 2014, per esempio?
Per capirlo, e capire di più su questo fenomeno, abbiamo raggiunto Andrew Cunningham, un ricercatore che guida l’unità sulle nuove sostanze dell’EMCDDA, l’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze.
– Non è inusuale per la polizia trovare droghe con loghi di moda o simboli di festival musicali. Perché produttori e spacciatori usano questa tecnica?
“I marchi di moda venivano usati sull’ecstasy già nei primi anni Novanta. L’associazione è semplice: rende la sostanza identificabile, e ne definisce la ‘qualità’. I prodotti di lusso, poi, sono target abbastanza popolari.
Quella dell’utilizzo di loghi dei festival musicali è invece una tendenza piuttosto recente, che risale a un paio di anni. Noi riteniamo sia dovuto al fatto che alcune sostanze vengono prodotte esclusivamente per alcuni eventi, come gli eventi musicali — e per la musica dance, in particolare.”
– Quindi è qualcosa che va avanti dagli anni Novanta?
“Sì, marchi di moda e auto sono stati usati per la prima volta a inizio anni Novanta, e continuano a essere usati.”
– Quali sono i brand più usati? Ci sono delle tendenze, in questo senso?
“Senza un database completo è difficile capirlo, ma dalla mia esperienza posso dire che su alcune pillole i loghi di moda e di auto sono sempre stati i più popolari.
Spesso vengono usati anche i personaggi dei cartoni animati, ovviamente per attirare i consumatori più giovani nei bar e nei nightclub. Ma sono stati impiegati anche i brand associati ai video giochi, di recente, e per un bel po’ di tempo — specie con l’ecstasy.
I trend più interessanti sono stati notati nel 2012, quando sono state trovate pillole a forma di brand, e non solo marchiate.”
– Cosa cambia per i consumatori?
“L’idea – uguale a qualsiasi altro processo di branding – è che il consumatore possa associare un determinato simbolo a un’esperienza positiva, così da poterla identificare meglio e raccomandare, anche su internet: la rete stessa viene usata in modo più efficiente per pubblicizzare – per esempio – un certo tipo di MDMA.
Certamente, il fatto che alcune sostanze vengano associate a effetti indesiderati può essere un modo per avvisare gli altri, raccomandare di starne alla larga.”
– In passato ci sono stati casi in cui partite estremamente nocive sono state riconosciute tramite simboli particolari. È una cosa che può aiutare le forze dell’ordine e/o i consumatori?
“Certo, ed è un punto importante. Ci sono state molte campagne per la riduzione del danno fatte su alcune sostanze con loghi specifici — in genere MDMA, e in particolare pillole contenenti sostanze come PMA (paramethoxyamphetamine) o PMMA (paramethoxymethamphetamine). È successo – per esempio – con la Superman in Olanda, o con la Green Rolex PMMA.”
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