Moriresti per vivere con me? di Fasma viene venduto come un disco “emo trap”, almeno stando a quello che leggo nel comunicato inviatomi dall’ufficio stampa che lo promuove, in cui si fa menzione anche del fatto che il nostro è parte della scuderia di Francesco Facchinetti aka DJ Francesco. C’è però qualcosa che frena i miei entusiasmi nei confronti del giovane rapper romano, nato nel 1996 e arrivato ora a questo esordio dopo il genuino successo della sua “Marilyn M.“, 5 milioni di views su YouTube.
Un buon modo per spiegare i miei dubbi sta in un’intervista che Fasma, vero nome Tiberio Fazioli, ha rilasciato a Rockol. Parlando delle sue influenze, Fasma cita XXXTentacion e Post Malone, che gli avrebbe “fatto venire voglia di imparare a suonare la chitarra”. Quando ragionavo su 17 di X scrivevo:
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Non credo che un ragazzino che ascolta X andrà a scoprire i Microphones dopo aver sentito la chitarrina di “Depression & Obsession”, ma è bello che si inizi a mettere la pulce nell’orecchio al pubblico riguardo al rap come genere musicalmente inclusivo; così che i ragazzini non pensino che basti rippare basi trap generiche e trovare modi per dire quanto scopano con l’autotune per definirsi “artisti”.
E infatti Fasma non è andato all’origine delle chitarre lo-fi, o nemmeno dell’emo, ma ha visto dal vivo Post Malone – cioè una voce incredibile che dice il nulla più totale a livello contenutistico, ma a noi che ce frega dato che l’inglese non lo sappiamo o ci serve così semplice da poterlo capire – e ha deciso che vuole suonare la chitarra. In altre parole, è come se uno scrittore che vuole parlare di sentimenti spinosi prendesse ispirazione da 50 Sfumature di Grigio invece che, boh, da Lolita.
Attenzione, che però è sbagliatissimo fare un ragionamento tipo “Hey, questo ventiduenne italiano che fa e presumibilmente ascolta rap più che altre cose non conosce a memoria il primo EP degli American Football e non sa chi sono i Rites of Spring, povero sfigato fake, unico vero emo rap = il TeamSESH e la Gothboiclique, altro che questa robaccia plasticosa e semplicistica”. Odiare a casaccio non serve a nulla, così come partire con alzate di scudi a difesa della supposta realness di un genere o una scena.
A rendere un prodotto emo (rap, rock, qualsiasi cosa), credo, è la volontà di creare un rapporto di comunanza tra autore e ascoltatore: “Tu stai male? Anch’io, ed è ok”. Perché questo sia degno di lode, credo, è necessario che l’evidenza di questa comunanza avvenga in modo esplosivo, inaspettato, estremamente sincero. Il che può avvenire sia come gesto cosciente (Phil Elverum che parla della morte di sua moglie con un candore lancinante) che come conseguenza incosciente (Lil Uzi Vert che si spezza la voce fino a renderla un rantolo ripetendo “All my friends are dead”). Insomma, per fare emo bene devi esprimere i tuoi sentimenti in maniera così forte da far scattare qualcosa di oltre-normale, e puoi farcela sia in maniera controllata che impulsiva, sia che tu sappia in quale pozzo musicale stai pucciando il tuo secchio che no.
L’impressione è che non solo Fasma non abbia bevuto dal pozzo musicale dell’emo, basando i suoi beat e la sua estetica su secchi già estratti, ma anche che la sua poetica non contenga elementi degni di nota. Attenzione: non dico che non sia sincero, che non provi ciò che canta o che se ti rivedi nelle sue parole sei un coglione. Sto dicendo che il fatto che sia tra i primi italiani a cui viene data una piattaforma per fare emo rap per le masse non lo rende automaticamente un grande artista. Secondo la mia personalissima sensibilità i testi di Fasma sono luoghi comuni: il dolore per causato da una donna e la voglia di vendetta, il pensiero “la fama non rende felici”, la voglia di andarsene da qualche generica parte che non sia qua, il sesso come sfogo, la dicotomia angelo-diavolo. Solo, sono in italiano invece che in inglese.
Il che, attenzione, non mi impedisce di gasare brani come “L’inizio della fine” o “00:02”. Quando Fasma e il suo beatmaker GG si limitano a creare versioni italiane delle cose americane che li gasano fanno il loro onesto compito, sebbene con tutti i limiti testuali di cui sopra. Certo, “CARICOTONICO” è un tentativo di fare il pezzo violento alla “Look At Me!” completamente avulso dal contesto in cui si trova, ma tanto dopo un minuto e venti è finito. A farmi strano sono interventi musicali da grande-disco-italiano che sono stati applicati alla musica di Fasma: gli archi alla fine di “Lady D.”, le chitarrone da alternative rock da classifica anni zero di “Ti prometto che un giorno partiremo” e “Outro”. Segnali che gridano “Hey, tu! Ascoltatore! Prova emozioni!” Applausi che scrosciano per un cartello che li chiede, non perché scatta qualcosa di spontaneo in chi batte le mani.
Moriresti per vivere con me? è come un video di The School of Life, canale YouTube di enorme successo fondato dallo scrittore Alain De Botton. In cinque minuti, Alain e il suo team spiegano cose sui sentimenti e lo fanno in modo così piano da renderle comprensibili a un pubblico enorme. Fanno i milioni di views, a patto di semplificare la materia che trattano. Anch’io ne ho guardati un po’ quando stavo male, avevo dubbi sulle mie relazioni e cercavo qualcuno che mi spiegasse come stare, ma più che una cura sono stati un palliativo.
Moriresti per vivere con me? è uscito venerdì 2 novembre per NeWcO Management SRL.
Ascolta Moriresti per vivere con me? su Spotify:
Tracklist:
1. Caro angelo
2. Ti prometto che un giorno partiremo
3. Sai che
4. M. Manson
5. Marilyn M.
6. 00:02
7. CARICOTONICO
8. Giuro che
9. Lady D.
10. Outro
11. L’inizio della fine
Elia è su Instagram.
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