Sono piuttosto sicuro che nessuno di noi sia mai stato nel club più famoso, amato e tenuto in grande considerazione di sempre. Non è buffo? Nessuno di noi ha passato neanche un sabato sera a sudare all’84 di King Street, nella parte bassa di Manhattan, a guardare Larry Levan suonare di fronte a un pubblico composto di membri del Paradise Garage, ma questo non ci impedisce di parlarne abbassando la voce, un po’ per rispetto e un po’ per vergogna. Ci sembra, crediamo che senza il Paradise Garage la club culture per come la conosciamo oggi non esisterebbe.
Un uomo che è stato effettivamente abbastanza fortunato da essersi potuto fare quell’esperienza mistico-religiosa settimana dopo settimana è François Kevorkian. Kevorkian si trasferì a New York nel 1975 e diventò in breve tempo un DJ piuttosto famoso. Nonostante non fosse esattamente il lavoro che voleva fare (“Pensavo sarei diventato il batterista di un gruppo”), la città aveva bisogno sia di discoteche che di gente capace di scegliere dischi da suonare—e quindi gli venne particolarmente facile trovare serate. Da allora sono passati quarant’anni, ed è universalmente considerato uno dei migliori di sempre.
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François K ha visto e fatto tutto, sia nei panni di produttore, che di remixer, che di DJ. Ho avuto la fortuna di potergli parlare, poco prima di una serie di date in Europa che lo terranno impegnato quest’estate. Quindi ho pensato avesse senso concentrare la conversazione su un argomento che conosce a livello intimo e che non vedevo l’ora di tirar fuori: Larry Levan e il Paradise Garage. Kevorkian era un cliente fisso, e ha condiviso spesso il palco con Levan. Insomma, se esiste una persona capace di confermarmi veramente i viaggioni che mi ero fatto sulla cosa, quella persona è lui.
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THUMP: Tiriamo subito fuori i pezzi da novanta. Ricordi la prima volta che hai visto un set di Larry Levan?
François K: Sì, fu a una serata al Garage prima che aprisse ufficialmente, quando ancora non c’era la sala principale. Allora ci stavano dentro più o meno 400 persone. Un mio amico conosceva Larry—era lui che gli organizzava serate ai Continental Baths [una celebre sauna gay newyorkese, ndt]. Ed era il manager di una discoteca in cui lavoravo all’epoca, che si chiamava New York, New York. Niente, mi portò al Garage, che non era ancora aperto, e in pratica era come una festa illegale in un capannone. Era l’agosto del 1977 e c’era un caldo esagerato, una cosa intensissima. La musica che Larry stava mettendo su ti prendeva come un incantesimo. La gente era estasiata, e sembrava lo fosse pure lui. Ero stato in altre grandi discoteche, ma non mi era mai capitato di trovarmi in mezzo a una cosa simile. Era incredibile, e Larry aveva un approccio veramente carismatico alla musica. Quando metteva su un pezzo, era come se lo stesse mettendo su solo per te. Come se avesse scelto quella canzone perché sapeva ti sarebbe piaciuta. Insomma, è una sensazione straodinaria. Allora neanche sapevo chi fosse Larry, tra l’altro.
Era venuto in mente a nessuno che sarebbe potuto diventare questa sorta di riferimento culturale, questo totem del clubbing che è oggi?
Una volta abbiamo organizzato una festa in strada a Manhattan—per far sì che la parte di King Street dove c’era il Garage venisse intitolata a Larry—e sono arrivate 22,000 persone. Insomma, questo ti da’ un’idea di quanto la gente gli sia ancora devota. Quando parli con qualcuno che ci è passato è facile renderti conto di come non fosse una discoteca normale. Con questo non voglio parlare male delle altre, ci mancherebbe, ma era proprio qualcosa di un livello superiore. E Larry ne era l’incarnazione.
Per entrare al Garage dovevi iscriverti come membro, e potevi entrare solo se eri un membro o ne conoscevi uno. Il che creò una sorta di riverenza nei confronti del club, delle feste. Non è giusto fare un paragone con il clubbing contemporaneo. Il Garage sarà sempre un punto di rfiermento. È un po’ come essere un ascoltatore di jazz—Coltrane può anche essersene andato, ma capire quello che faceva è fondamentale per capire il punto a cui siamo arrivati oggi. Larry doveva molto a gente come David Mancuso e Nicky Siano, per dirne due, ma è diventato comunque una figura fondativa. Quando arrivi a un tale livello di rilevanza culturale trascendi la moda, e quindi la temporalità.
Il fatto che ci siano pochissie fotografie e filmati del Paradise ha contribuito a creargli attorno una sorta di mistero, non credi?
C’è chi pensa sia un peccato non poter vedere come fossero le cose con una ricerca su YouTube, ma qualcuno potrebbe controbattere dicendo che ci sono state un sacco di cose importanti a livello storico prima della nascita di YouTube, e siamo tuttora consci di quanto queste siano importanti. Dove non arriva il materiale filmato, arriva la testimonianza. Abbiamo un sito pieno di ricordi di gente che andava al Garage. Ci sono persone che hanno dedicato del tempo a mettere per iscritto un racconto dei loro momenti, delle loro serate preferite. Insomma, era un luogo che soddisfaceva i bisogni di un gruppo privato di persone che facevano parte di una comunità piccola e molto legata. Ora, invece, è solo questione di tirare su qualche like su Facebook e creare attività sui social media.
C’è qualcosa di fondamentalmente diverso nell’approccio che la gente ha nei confronti del clubbing oggi: la cosa importante è generare profitto. Il Garage non serviva alcool, non aveva nemmeno una licenza per poter vendere liquori, non c’era un bar in mezzo alla pista. Il proprietario del Garage era veramente, veramente interessato e devoto alla musica, alla comunità. Era innanzitutto un gay club—gli etero ci andavano prevalentemente di venerdì, mentre il sabato ci andavano i gay. Allora, nel 1977, essere omosessuali non era facile come può esserlo oggi. Avere un club privato come quello significava avere un porto sicuro, uno spazio dove la gente potesse rilassarsi. Dove tutti potevano divertirsi allontanandosi dai pregiudizi che la società gli lanciava contro.
Il pubblico del Garage era diverso da quello di Mancuso al Loft?
Per certi versi era lo stesso, sicuramente. La maggior parte della gente che si trovava il sabato al Garage si conosceva. C’erano circa 4000 membri, ma al massimo ogni sera c’erano circa 2000 persone. Molte le avresti definite come ‘normali’—gente con lavori da ufficio. C’erano anche un sacco di gente di successo, avvocati, gente che lavorava nell’industria musicale. Non c’era bisogno di far vedere una carta di credito per affermare la propria appartenenza sociale.
A Larry, tra l’altro, piacevano entrambi. Capitava spesso che, alla fine di una serata al Garage, ci portasse al Loft per vedere come se la stava passando David. Solitamente il Garage chudeva tra le 9 e le 10 mentre il Loft restava aperto fino all’una o alle due del pomeriggio. Ci mettevi poco, a piedi, ad andare da King Street al Loft, che stava su Prince Street, e Larry stesso era un grande fan di Mancuso. Ricordo di avergli sentito dire che nessuno potesse reggere il paragone con lui. Non era neanche questione delle canzoni che sceglieva: era il senso di direzione, l’idea che qualcuno fosse capace di concettualizzare quello che una serata dovrebbe e non dovrebbe essere, e che lo stesse facendo a casa sua. Larry sapeva perfettamente quanto incredibile e avanti Mancuso fosse.
La polizia, tra l’altro, andò da David e gli disse che non poteva più organizzare feste a casa sua. Lui rispose che, invece, poteva, e che gli avrebbero potuto tranquillamente fare causa. Ed è esattamente quello che fecero: la città di New York contro David Mancuso. E David vinse. Fu un processo storico, dato che stabilì un precedente fondamentale: la polizia non aveva il diritto di ordinare alle persone cosa potessero e non potessero fare nella privacy delle loro abitazioni. Larry sapeva quanto grande fosse il valore del contributo di David alla comunità, e lo ammirava enormemente.
Per concludere, quale può essere il pezzo che ha dentro tutta l’atmosfera del Garage?
Ne scelgo uno su cui Larry ha lavorato: “Don’t Make Me Wait” dei Peech Boys. Era un disco che passava sempre, e spesso ci si dimentica che è stato il primo pezzo ad avere un mix a cappella, che fu una mossa geniale da parte di Larry. Era solo sul lato B del 7 pollici, ma tutti dovevano averla. Sei mesi dopo, tutti buttavano fuori versioni a cappella dei loro pezzi. Insomma, dovevi essere lì per rendertene pienamente conto, ma quel pezzo era davvero incredibile quando veniva messo su al Garage, già mentre era in gestazione. Ci sono altri grandi pezzi che hanno fatto la storia del Garage, tipo “Love Sensation” o “Love Is the Message”, ma per me la migliore è “Don’t Make Me Wait.” I pezzi dei Peech Boys sono ancora incredibili, è come se non fossero mai invecchiati.