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Roma era uno dei problemi del cinema italiano, e Il Primo Re l’ha risolto

il primo re

Attenzione: quanto segue contiene spoiler de Il Primo Re.

Parliamoci chiaro, il problema del cinema italiano è Roma. Non è l’unico, qualcuno dirà che non è neanche il principale, ma immaginatevi un film italiano X: parole sbiascicate, doppiate, urlate, amore impossibile all’ombra del Colosseo (o nei pressi di Ponte Milvio).

Come fare allora un film ambientato a Roma, ma che funzioni? Be’: senza l’italiano e con le botte.

Il Primo Re è il secondo film di Matteo Rovere di cui mi ritrovo a parlare: se il primo aveva risolto tutti i problemi di Stefano Accorsi, questo—come già detto—risolve tutti i problemi di Roma. La sinossi è molto semplice: Romolo e Remo sono due fratelli che, tra mille peripezie, e con l’ausilio imprescindibile uno dell’altro, fonderanno Roma.

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Prima di iniziare a parlare del film, però, è necessaria una piccola precisazione: nell’ultimo lustro (forse qualche anno in meno) si continua a urlare al miracolo per praticamente ogni pellicola italiana che non sia la solita commedia (a volte, addirittura, anche se è la solita commedia). Per cui risulta quasi stucchevole sottolineare, ancora una volta, che sì, un film storico non è un cinepanettone, che sì, si possono fare film credibili anche senza la storia d’amore struggente e l’equivoco sexy che porta il padre a invaghirsi della fidanzata del figlio, e che sì, in Italia siamo capaci di fare film “diversi”. Detto questo, si può giudicare Il Primo Re come un film normale, senza isteria di contorno.

Nonostante l’alert in corsivo a capo di tutto ciò riporti la scritta “spoiler”, non esistono spoiler riguardo a questo film—a meno che tu non abbia fatto le elementari, ma anche e soprattutto per il semplice fatto che, esagerando un po’, non esiste una trama. Ed è questo il bello del film.

Il Primo Re, è, infatti, un orgasmo visivo e sonoro: girato interamente alla luce naturale, ha ossa che si rompono con effetti eccessivamente rumorosi (che gioia!), sangue, arti mozzati, animali sventrati, natura infame e fuoco. Di base tutto ciò che io personalmente posso chiedere a un film. Non ci sono storie d’amore, c’è poca crescita (o introspezione) morale dei personaggi, e il poco che c’è si concentra sui due protagonisti, anzi principalmente su uno, il vinto Remo che si illude di essere vincitore per tutta la durata del film—e illude noi che rapiti subiamo il fascino di un twist alla Shyamalan.

Ci sono un milione di riferimenti che si possono fare: immaginatevi un Signore degli Anelli che incontra The Revenant che a metà strada ha preso sotto braccio Il Rituale e che tutti insieme appassionatamente decidono di andare a far visita alla Passione di Cristo, ma con le botte.

Ciò che rende poi il film estremamente godibile, anche se a primo impatto potrebbe sembrare assurdo, è il fatto della lingua: un latino studiato per l’occasione da un gruppo di linguisti della Sapienza, più precisamente—ha spiegato lo sceneggiatore Filippo Gravino—”un proto-latino di cui si conosce la struttura, integrato con parole ed espressioni degli etruschi e degli osci, popoli che erano vissuti nel Lazio molti secoli prima.” Per cui, in tutto il tempo, il ginnasio riaffiora in te, permettendoti di godere appieno dei sottotitoli ma anche di fregartene di quello che effettivamente si stanno dicendo gli attori.

Purtroppo Il Primo Re non è perfetto: nel momento di massimo exploit, per esempio—ovvero quando Remo perde la brocca—risulta poi essere un coito interrotto, non dando seguito alla sete di potere del più sfigato dei fratelli. Anche l’esecuzione della profezia si risolve in maniera abbastanza sottotono, portando a un finale quasi sbrigativo rispetto a ciò a cui ci ha abituato fino a quel momento la pellicola (penso per esempio alla caccia del cervo, all’incendio del villaggio, alla ribellione dei futuri romani una volta prigionieri).

Ciò che invece ancora non mi spiego se sia un bene o un male è la scarsa caratterizzazione dei personaggi secondari, se si esclude la vestale. Rubano così poco la scena alle performance degne di nota di Borghi e Lapice (rispettivamente Remo e Romolo) che si fa quasi difficoltà a capire chi stia facendo cosa e perché, tranne nei casi di una connotazione fisica molto evidente (per esempio il compagno di viaggio col naso da pugile, o il folle pelato).

Nel complesso, però, Il Primo Re funziona, intrattiene, diverte. Soprattutto diverte.

Ma, più di ogni altra cosa, risveglia in me una questione che mi attanaglia dalle elementari: perché chi ha scritto il mito delle origini di Roma ha scelto come fondatore il gemello con il nome da settimo nano, anziché quello con il nome corto ed efficace?

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