Praticamente ogni domenica chi segue lo sport è abituato a vedere atleti maschi che gioiscono in maniera espansiva, con abbracci e pacche sulle spalle. Ma non tutti sanno che gli stessi impulsi che spingono a stringersi in modo virile e a sculacciarsi sono tra quelli che spingono ad amoreggiare e a coccolarsi. Da un punto di vista neurologico, infatti, dare pacche sulle spalle ai propri compagni di squadra equivale a guardare un film a letto con la propria ragazza.
Pur essendo marginalmente cosciente di tutte le implicazioni sottintese alle pacche virili e ai pugni amichevoli, non avrei mai immaginato che ci fosse tanto altro da sapere nel modo in cui gli atleti dimostrano il loro affetto. Considerate le reazioni pubbliche allo studio del dottorando Eric Anderson pubblicato nel 2014, che analizzava le dimostrazioni di affetto tra gli atleti maschi, ho capito di non essere il solo.
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Lo studio di Anderson, una serie di interviste con 40 studenti maschi che praticavano sport, aveva catturato l’attenzione per la scelta di alcune citazioni (“A volte gli afferri il cazzo, come per gioco… ma non è come fargli una sega”), ma soprattutto perché dipingeva un ritratto controintuitivo dell’atleta maschio.
Quasi tutti gli atleti considerati da Anderson avevano diviso il letto con altri uomini e avevano detto di essere entrati spesso in contatto affettuoso con loro (la definizione di Anderson è “un gentile contatto fisico per un periodo prolungato di tempo”). Anche se Anderson ha spiegato a Motherboard che non sembra esserci un legame diretto tra il contatto affettuoso e la sessualità “con la classica idea di raggiungere l’orgasmo” ha detto che c’era comunque una componente sessuale nel loro toccarsi… “nell’abbraccio vengono evocati molti dei meccanismi del sesso.”
Il fatto che il contatto affettuoso abbia una componente sessuale non è affatto estraneo alla natura.
Ma come, esattamente, le coccole e gli abbracci sono riconducibili al sesso? E perché questi maschi virili ed etero esultano abbracciandosi? Uno dei modi migliori per rispondere a queste domande è rispondere a un’altra: perché abbracciare ci fa stare bene?
Secondo Chris Fraley, professore di psicologia all’università dell’Illinois, la ragione per cui desideriamo e traiamo soddisfazione dal contatto fisico è perché è vantaggioso dal punto di vista evolutivo.
“Nel mondo naturale, gli uomini sono animali vulnerabili: ci mancano le abilità per difenderci, per nutrirci da soli e per prenderci cura di noi stessi per un lungo periodo di tempo. Come risultato, nel corso del processo evolutivo, i neonati che avevano più possibilità di sopravvivere erano quelli che riuscivano a creare un legame con chi doveva proteggerli e nutrirli.” Ha scritto Fraley in una mail.
Anche se quasi tutti i neonati di mammifero sono indifesi, quelli umani sono particolarmente dipendenti dagli altri per sopravvivere. Per esempio, imparano a camminare dopo almeno nove mesi dalla nascita, a differenza di altri che iniziano a saltellare dopo un giorno. Secondo lo Scientific American, uno scimpanzé neonato ha tra i 18 e i 21 mesi di vantaggio rispetto a un umano.
Questo, in parte, perché i cuccioli di uomo sono talmente vulnerabili da aver sviluppato “un sofisticato sistema motivazionale per cercare e mantenere la protezione di potenziali adulti. E, parallelamente, gli adulti hanno sviluppato una profonda connessione emotiva con coloro che sono portati a percepire come vulnerabili.” Di base, essere affettuosi è un segnale comportamentale che vuol dire “è tutto OK”. (Questa teoria è parte di una più vasta teorizzata da John Bowl, uno psicanalista e psicologo britannico che ha studiato lo sviluppo dei bambini.)
Il nostro desiderio di affetto non è soltanto una questione sociale, ma anche biochimica. Il neurologo Paul Zak ci ha spiegato che “il contatto affettuoso induce il cervello a produrre un agente chimico chiamato ossitocina. Questa ci rilassa, ci fa sentire al sicuro e aumenta le nostre abilità empatiche.” Zak ha aggiunto che l’ossitocina è prodotta “in una parte profonda del cervello chiamata ippotalamo,” il che significa che è “antica dal punto di vista evolutivo e la sua produzione è al di fuori del nostro controllo e delle attività coscienti.”
Una volta prodotta, l’ossitocina innesca la produzione di dopamina lo stesso agente chimico che ti fa setire bene quando vai a ballare con i tuoi amici, o mangi cioccolata o carboidrati. La dopamina, dice Zak, è ciò che “ci fa sentire bene quando veniamo coccolati, e ci fa desiderare di ripetere l’esperienza in futuro.”
Nel dire che le coccole hanno una valenza sessuale in natura, Anderson non ha torto. L’ossitocina è prodotta anche durante il sesso—ma allo stesso modo durante il parto e l’allattamento. Comunque sia, c’è una vera e propria differenza tra la quantità di ossitocina rilasciata nel sesso e nelle coccole. Secondo Zak, “durante il sesso c’è una crescita media che si aggira intorno al 100 percento rispetto alla base, e gli effetti sono più ampi nelle donne rispetto agli uomini.” Nel contatto affettuoso, invece, c’è uno “stimolo moderato, che raggiunge il 40-50 percento (per qualcuno a cui vuoi davvero bene) e di nuovo più forte nelle donne che negli uomini.”
Oltre ai diversi livelli di ossitocina, la neurochimica del sesso è molto più complicata del rilascio di agenti chimici nel cervello: ci sono diverse fasi del sesso come definito dai ricercatori Masters e Johnson (eccitazione, stato stazionario, orgasmo e risoluzione), e durante ogni fase vengono rilasciate diverse quantità e varietà di agenti chimici, incluso il testosterone che fa sentire virili e la prolactina che riduce i livelli di eccitazione dopo il sesso.
Quindi sì, le coccole sono definitivamente semi-sessuali, anche tra uomini forti e virili, ma allo stesso modo si può dire che accarezzare il tuo cane, abbracciare tuo padre, o cullare un neonato sarebbe allo stesso modo semi-sessuale. Forse a volte è meglio non generalizzare.