È arrivato il momento di parlare seriamente de ‘Le Iene’

Ciclicamente si parla de Le Iene e del senso dell’esistenza di questa trasmissione nell’ecosistema televisivo italiano. Le domande sono più o meno sempre le stesse: è giornalismo? Come fa ad andare in onda da vent’anni senza alcun problema? Ma soprattutto: nel 2017 c’è chi guarda Le Iene con convinzione? La risposta a quest’ultima domanda è, con tutta evidenza, sì.

Da qualche settimana, ad esempio, è al centro delle polemiche un servizio sulla Blue Whale Challenge, la presunta sfida nata sui social russi per cui gli adolescenti sarebbero spinti a superare 50 prove per poi suicidarsi. Attraverso due testimonianze di genitori di adolescenti, dati non verificati e un sapiente accostamento di immagini e musica accattivante, il filmato mandato in onda da Le Iene lo scorso 14 maggio dava in pratica per assodata l’esistenza del gioco e, soprattutto, il suo arrivo anche in Italia. Non è difficile immaginare come nel paese sia scoppiata una vera e propria psicosi, con un susseguirsi di segnalazioni e un concreto pericolo emulazione paventato dagli esperti.

Videos by VICE

A Le Iene è stato rimproverato di aver confezionato un servizio a uso e consumo della tesi allarmistica su un tema delicato come i suicidi giovanili, senza preoccuparsi di verificare le informazioni. Solo per fare un esempio, i video di ragazzini che si lanciavano dai tetti mostrati durante il filmato come legati alla Blue Whale si sono poi rivelati tutt’altro che collegati (uno girato in Cina, uno palesemente fake).

Matteo Viviani—la iena autore del servizio—ha minimizzato sul punto, sostenendo che quei video, giratigli da “una tv russa su una chiavetta” e non verificati a dovere erano comunque “esplicativi” di quello di cui si stava parlando. “Potrei mostrare tanti altri servizi confezionati così,” ha poi aggiunto. “Scegliamo di raccontare la verità in modo crudo.”

A ben vedere, infatti, il lavoro de Le Iene su Blue Whale non è molto diverso da altri precedenti: ipotesi che si trasformano in certezze, testimonianze presentate come rivelazioni, mancanza di elementi di contesto o problematizzazione delle questioni raccontate. Come se la retorica del però vi mostriamo ciò che non si dice e come nessuno ve lo dice fosse riuscita a fare da scudo a una trasmissione che negli anni—nonostante le cantonate—continua ad avere un certo credito. Tanto che, in un post su Facebook in cui si annuncia che a settembre Le Iene tornerà a occuparsi di Blue Whale, in mezzo a commenti negativi ce ne sono anche alcuni di questo tipo: “Care Iene, è solo facendo informazione ad alto livello che si corrono rischi. Solo chi ci mette le mani può essere giudicato, chi nulla fa nulla teme! Bravi, bravi e strabravi. Fedele da anni.”

Da che ho memoria televisiva, il programma è percepito come una sorta di watchdog delle ingiustizie delle nostre vite, dai finti medici al malaffare più spinto, condito con una certa dose di moralismo intervallata da filmati e sketch satirico-demenziali perché, dopo tutto, bisogna godersela.

Le Iene assolve a questo ruolo in pratica da sempre, considerato che va in onda ininterrottamente dal 1997—sempre con lo stesso autore, Davide Parenti. Si tratta della versione italiana dell’argentino Caiga quien caiga, trasmesso dal 1995 al 2014 su América TV, un format praticamente identico a quello che abbiamo visto negli ultimi vent’anni, conduttori in giacca e cravatta inclusi.

L’arrivo del programma di Parenti, mi spiega Giorgio Simonelli—docente di Storia della Radio e della Televisione all’Università Cattolica di Milano e autore di diversi saggi dedicati alla tv—si inserisce “nella stagione della nascita dell’ infotainment, programmi che trattano temi di informazione ma la spettacolarizzano, vanno alla ricerca di formule inusuali prevalentemente mutuate dal mondo dello spettacolo. È quella fase in cui Mediaset opera un rinnovamento abbastanza deciso del linguaggio televisivo italiano.”

Perlomeno all’inizio, aggiunge il docente, nel pubblico c’è stata “una grande curiosità, suscitata soprattutto dall’uso della provocazione, intesa in senso generale: lo scherzo, la messa alle strette di un politico, il parlare di certi temi ritenuti tabù o comunque cui ci si accostava con prudenza. Tra l’altro Le Iene coinvolgono un pubblico giovane, che di solito si tiene lontano da quei temi lì, se non sono trattati in una maniera originale. Magari adesso l’attenzione si è ridimensionata, perché sono passati vent’anni e le cose poi si ripetono un po’, però in quel momento l’effetto è stato dirompente.” In effetti da piccola lo guardavo, e mi sentivo controcorrente rispetto alle serate dei miei genitori davanti ai sermoni di Michele Santoro. Non mi rendevo conto di far parte del pubblico di uno dei programmi più nazional-popolari degli ultimi vent’anni.

Tra le costanti delle puntate de Le Iene ci sono i filmati in cui si sbeffeggiano star e starlette, o in cui vengono messe alla berlina miserie umane di diverso tipo. Uno dei pezzi forti, diventato una sorta di marchio di fabbrica, sono i servizi che mostrano le deficienze di cultura—anche—generale di politici braccati fuori dal parlamento con domande su storia, riforme o attualità. Il senso è quello di smascherare l’inadeguatezza del potere, lasciando ai telespettatori la sensazione di aver essi stessi preso in giro il parlamentare di turno.

Ciò che ha fatto guadagnare al programma l’aura di rispetto sociale di cui gode, comunque, sono le inchieste, presentate sempre come scomode e rivelatrici di una qualche verità occultata. Ora, devo riconoscere a Le Iene un merito: a volte hanno trattato temi che scarsamente trovano spazio, come eutanasia e suicidio assistito o abusi di polizia, o spunti che poi si sono trasformati in indagini della magistratura.

Il punto è che spesso si tratta di filmati volti a scatenare reazioni basilari dell’animo umano. Nello specifico: commozione, allarme e indignazione. In quest’ultima categoria rientra la maggior parte delle inchieste. Al di là dello sbattere il mostro in prima pagina, però, non c’è molto: la realtà appare parecchio semplificata tra buoni e cattivi, con l’effetto di ingrassare quel sano desiderio di forca dell’italiano medio.

Nella perenne rincorsa al sensazionalismo, il programma ha finito per rilanciare anche notizie non verificate o vere e proprie bufale, con risvolti tutt’altro che innocui. Oltre a Blue Whale, il caso più eclatante è stato quello di Stamina, la “terapia” a base di cellule staminali per malattie neurodegenerative di Davide Vannoni. Nel 2013 Le Iene hanno dedicato una ventina di servizi al metodo, chiedendo che venisse messo a carico del Sistema Sanitario Nazionale. In uno di questi, la iena Giulio Golia visita in ospedale un bambino affetto da una grave patologia neurodegenerativa, e intervista i genitori parlando degli “intoppi legali e burocratici” che impediscono loro di accedere “all’unica terapia che forse può salvarlo”—Stamina, appunto. Di servizi così ce ne sono stati diversi, e per qualche tempo sul sito de Le Iene è campeggiato il banner della Stamina Foundation.

Peccato che il metodo di Vannoni—la cui fondatezza era dubbia sin dall’inizio—sia stato definito successivamente dai giudici “un’enorme truffa scientifica” e il suo fondatore arrestato. La trasmissione è stata accusata da più parti di aver promosso sostanzialmente una frode. L’autore Parenti si è difeso in una lettera scrivendo che “se colpe abbiamo, una è quella di esserci affezionati, appassionati, alle storie di famiglie straordinarie, che si sono sentite abbandonate alle loro spietate e incurabili malattie.” A questo proposito, è proprio la “storia” in senso largo a prevalere nei servizi de Le Iene, un elemento ad alto tasso di identificazione in nome del quale tutto il resto rischia di essere tranquillamente sacrificato.

Stamina non è l’unico caso di teoria pseudoscientifica proposta da Le Iene. Ci sono stati servizi che hanno rilanciato la correlazione tra vaccini e autismo, la “dieta alcalina” (una bufala inventata da Robert Young, un uomo finito sotto processo negli Stati Uniti per esercizio abusivo della professione medica), il “veleno di scorpione cubano” o il regime alimentare come cura anticancro, e il “metodo Zamboni” contro la sclerosi multipla (altre teorie pseudoscientifiche sono invece state sburgiardate e denunciate: è il caso dei metodi anticancro promossi dall’ex showgirl Eleonora Brigliadori. In quell’occasione, l’ex presentatrice è stata ripresa nel mezzo di una specie di rituale new age e mentre quasi aggrediva fisicamente l’inviata Nadia Toffa, che le diceva che le sue teorie fanno “rischiare la vita alle persone”).

L’obiettivo di denuncia de Le Iene ha poi anche un’altra dimensione, quella sociale. Nel saggio Politica Pop, Gianpietro Mazzoleni, docente di Comunicazione politica e Sociologia della comunicazione dell’Università degli studi di Milano, scrive che i programmi di “infotainment 2.0” come Le Iene negli anni hanno accentuato la componente di diffusione di informazione, trattando “temi e avvenimenti di interesse pubblico secondo la retorica discorsiva della denuncia sociale: rifacendosi a loro modo all’idea della ‘Tv di servizio pubblico’, essi si propongono come attori sociali, se non parte politica in difesa del cittadino, e dichiarano una volontà fortemente interventista.”

La politica stessa è indubbiamente il bersaglio principale de Le Iene. Un esempio è il servizio sulle droghe a Montecitorio nel 2006. Matteo Viviani, fingendo di voler intervistare deputati a caso davanti al Parlamento, faceva passare da una truccatrice un tampone sulla loro fronte spacciandolo per cipria. Il test—la cui “infallibilità del 100%” è stata contestata da esperti—aveva mostrato come su 50 parlamentari rimasti anonimi, 16 fossero risultati positivi a cannabis o cocaina. Il servizio non è mai andato in onda, perché bloccato dal Garante sulla privacy, e nel 2008 la Cassazione ha condannato Le Iene al pagamento di una multa di 15.192 euro poiché dal momento che tutti i parlamentari potevano essere “indiscriminatamente sospettati di assumere stupefacenti,” l’istituzione avrebbe “subito un nocumento alla sua immagine pubblica e alla sua onorabilità.”

Nel corso di una puntata, Viviani e Andrea Pellizzari (una delle prime iene che è stato anche conduttore) hanno parlato della condanna ironizzando sull’accostamento di parole “parlamento” e “onorabilità”, mandando in onda alcune delle immagini più basse della nostra storia politica recente: il festeggiamento con spumante e mortadella alla caduta del governo Prodi nel 2008. Cosa c’entra con l’uso di stupefacenti? Assolutamente nulla, ma rende alla perfezione l’idea dell’ennesimo smacco ai danni dei cittadini desiderosi di sapere come stanno davvero le cose: in parlamento sono drogati e non ce lo vogliono dire.

L’idea della classe politica che viene fuori da Le Iene combacia perfettamente con il concetto di Casta con cui siamo stati bombardati negli ultimi dieci anni: sprechi, marcio, privilegi, inciuci. Il programma , in questo caso, assolve al ruolo di giustiziere: indica e ridicolizza il nemico, e la gente (cioè gli spettatori) può così sentirsi migliore e onesta.

Il brivido della rivoluzione, insomma, lo si può percepire stando comodamente sul divano di casa; oppure, ad esempio, condividendo il monologo di Brignano del 2011 contro i privilegi dei parlamentari.

L’iniezione bisettimanale di sfiducia e scetticismo nelle istituzioni ha portato in fondo a una convinzione ormai molto radicata: di fronte a ogni disservizio o ingiustizia c’è sempre qualcuno che dice che “ci sarebbe da chiamare Le Iene” (o Striscia la Notizia, a seconda dei casi). È un atteggiamento trasversale, al punto che rivolgersi a un programma televisivo per denunciare anche solo un malfunzionamento è considerato un proposito di buon senso.

Non solo: Le Iene continuano anche ad avere un peso nella formazione dell’opinione di parte degli italiani, con decine di coetanei che iniziano le discussioni con “L’ho visto alle Iene.” E questo nonostante i grandi e piccoli abbagli presi nel tempo dalla trasmissione.

Secondo il professor Simonelli, c’è un altro elemento da considerare: nonostante continuino a presentarsi come “provocatori,” programmi come Le Iene o Striscia la Notizia “sono fenomeni che, pur essendo nati come innovativi e anticonformisti, in realtà hanno stabilito un’istituzione. C’è una certa ritualità. Le Iene è come il Festival di Sanremo oramai.” Ed esattamente come quest’ultimo, non solo continua a essere guardato da milioni di persone, ma potrebbe avere davanti a sé una storia ancora lunga.

Segui Claudia su Twitter