La Cina sta perdendo la guerra contro la finanza

La borsa di Shanghai. Foto

via Flickr/Aaron Goodma

Questo post fa parte di Macro, la nostra serie su economia, lavoro e finanza personale in collaborazione con Hello bank!

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“La giornata odierna ha tutti gli elementi per essere una delle peggiori giornate di contrattazione degli ultimi cinque anni,” ha detto al Financial Times questa mattina Evan Lucas, un analista finanziario australiano, quando ancora in Europa non era sorto il sole. La borsa di Shangai, su cui sono quotati i principali titoli azionari cinesi, stava vivendo il suo “lunedì nero“—con un perdita dell’8,49 percento, il sesto crollo della storia finanziaria cinese per dimensioni dal dicembre del 1996—dopo un calo cumulato del 12 percento nella settimana terminata venerdì, quando anche le altre borse mondiali hanno iniziato a tremare. Anche il secondo indice del Paese, quello di Shenzen, composto da molte solide compagnie tecnologiche, ha tremato arrivando a perdere il 7,6 percento, mentre il protettorato cinese di Hong Kong ha perso il 4,7 percento, estendendo le perdite del mese di agosto fino a quasi il 13 percento.

Mentre in Italia era notte, il contagio si è sentito su tutti i mercati asiatici, dal Giappone all’India. Il Nikkei 225 di Tokyo ha perso il 4,6 percento, cancellando così i guadagni degli ultimi quattro mesi. Taiwan ha perso il 4,3 percento dopo aver toccato anche il – 7,5 percento—che avrebbe decretato la peggiore giornata di vendite dal 1990. A Sidney, una piazza “occidentale” che risente particolarmente dei movimenti sui mercati asiatici, l’indice S&P/ASX 200 è sceso del 4,1 percento. Ma l’esplosione della bolla finanziaria cinese ha cessato ufficialmente di essere un fattore regionale—ammesso che lo sia mai stata—per diventare un elemento di destabilizzazione globale.

A dimostrarlo è stata la riapertura settimanale delle borse europee. A Milano, Piazza Affari ha aperto perdendo il 4,1 percento, ma le perdite si sono allargate anche a Francoforte (-3,4 percento), Parigi (-3,07 percento) e Londra (-2,5 percento). Sull’indice americano S&P, i futures—titoli che permettono di acquistare o vendere in una data futura e che permettono così di prevedere l’andamento dei mercati ancora chiusi—non stanno mandando segnali positivi nemmeno per la piazza di New York. Quelli dell’indice S&P500—che comprende le 500 principali compagnie per capitalizzazione di mercato—stanno perdendo il 2,3 percento, mentre quelli sul Nasdaq, altro indice che contiene molti titoli tecnologici, perdono il 4 percento. Le perdite di questo venerdì, le peggiori registrate dal novembre 2011, sembrano insomma destinate a continuare anche nelle prossime ore.

Sembra la tempesta perfetta. In quasi due mesi di crisi finanziaria, il governo cinese ha fatto di tutto per tamponare il crollo, ma non è bastato. Secondo gli analisti Nick Lawson e Gael Gunubu, Pechino ha ormai finito le munizioni e il crollo di oggi sarà praticamente impossibile da fermare. I timori degli investitori si sono amplificati quando venerdì scorso il Manufacturing Purchasing Manager’s Index—l’indice che attesta lo stato di salute del settore manifatturiero e quindi dell’industria nazionale—si è fermato, per agosto, al 47,1 percento, un valore che non veniva toccato dal 2009, l’anno della Grande Recessione. Insomma, una pessima notizia.

Quando l’indice è sotto il 50 percento, infatti, significa che la maggioranza delle imprese analizzate ha subito un calo degli ordini, del fatturato e dell’occupazione. Ma il rallentamento della crisi economica cinese era cosa nota da tempo, così come si sa già da tempo che probabilmente nel 2015 il paese non riuscirà a toccare quel 7 percento di crescita annuale che il governo vede come l’obiettivo minimo per garantire la pace sociale. La vera novità è che questa fine settimana, nonostante la ripresa delle ostilità sui mercati, Pechino non ha fatto nulla. Non è stato infatti annunciato nessun nuovo intervento, nonostante l’inadeguatezza di quelli precedenti. Di conseguenza, molti hanno pensato che il governo non voglia più mettere a repentaglio la sua credibilità cercando di orientare invano i corsi di un mercato che non sembra dargli ascolto e fiducia.

Se davvero fosse così, l’unica cosa da fare sarebbe trovare un riparo in attesa che la correzione del mercato sia completa. Dall’11 agosto ad oggi i mercati hanno registrato perdite per 5000 miliardi di euro, ma non sappiamo ancora quanti miliardi dovranno essere “bruciati” prima che questo accada. Se non ci saranno interventi drastici in fretta, gli effetti tutto questo sulla cosiddetta “economia reale” non tarderanno a farsi sentire. La Cina, infatti, è il principale paese importatore al mondo di quasi tutte le materie prime e il rallentamento della sua crescita ha già avuto effetti negativi sui principali esportatori, compresa la Russia, e sul resto dei mercati emergenti.

Così, gli occhi del mondo sono sempre più puntati su Janet Yellen, governatrice della Federal Reserve, la banca centrale statunitense. Da mesi, Yellen avvisa i mercati di un imminente rialzo dei tassi d’interesse richiesti dalla Fed, cercando di uscire dalla fase di tassi ultra-bassi iniziata ormai sette anni fa per uscire dalla Grande Recessione. Questa mossa aumenterebbe il costo del denaro e renderebbe relativamente più costoso investire, ponendo un freno agli entusiasmi di Wall Street degli ultimi sei anni. L’idea è che Yellen rimanderà ancora una volta l’annunciato aumento, e che da Francoforte anche Mario Draghi farà la sua parte rassicurando i mercati con misure aggiuntive per scongiurare il pericolo rappresentato dalla Grecia, che a settembre tornerà alle elezioni dopo le dimissioni di Tsipras.

Di certo, siamo di fronte all’ennesima dimostrazione della debolezza dell’economia globale—ad oggi, infatti, il peggiore rischio per la ripresa è il ritorno alla normalità. Secondo Perry Mehrling, professore di economia al Barnard College di New York, “il vero problema è che oggi nessuno ha la minima idea di come spezzare il cordone ombelicale che lega la ripresa all’assistenza continua data dalle banche centrali sotto forma di denaro a prezzi stracciati.” Come ha detto chiaramente Alastair McCraif, della società di trading IG Group: “puoi cercare di combattere i mercati, ma finisci per perdere.”

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