Gadi Sassoon, in arte MEMORY9, è un musicista italiano, nonostante il nome possa trarre in inganno, e pure uno da esportazione.
Ho conosciuto Gadi grazie ad una scampagnata in Croazia dove eravamo entrambi invitati a suonare—non mi era mai successo di far guidare la mia macchina a uno sconosciuto—ma ho trovato in lui, oltre che un amico, un ottimo produttore e musicista.
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A due anni di distanza Gadi è al suo terzo EP, uscito in questi giorni sulla sua etichetta Mnemonic Dojo, e per questa felice occasione non ho esitato ad andarlo a trovare in studio per rifarci una chiaccherata.
Noisey: Bella Gadi, so che le tue giornate sono divise tra le tue produzioni personali e il tuo lavoro come musicista professionista, (Gadi ha vinto una borsa di studio alla Berklee College of Music di Boston in chitarra Jazz, NdA). Pensi che questo tuo terzo EP sia un ponte tra questi due mondi?
MEMORY9: Nei comunicati stampa di qualsiasi artista elettronico oggi leggi che DJ Tizio ha scoperto il sequencer/campionatore/synth “dopo aver studiato il pianoforte fin dalla tenera età” o “essendo cresciuto in una famiglia di musicisti” o semplicemete “dopo una formazione classica”. È diventata una formula di rito, che serve per dare una credibilità musicale a un oceano di laptop producer. Per me questa cosa non ha senso, perché come producer il fatto di essermi prima formato come musicista “tradizionale” in realtà mi ha frenato parecchio. Non essendo andato al conservatorio “in tenera età”, mi sono rotto la schiena per anni per imparare a suonare bene lo strumento, l’armonia, il solfeggio, arrangiare per orchestre di vario tipo, scrivere contrappunti, ho perfino fatto due corsi da direttore d’orchestra all’università. Poi mi sono innamorato dell’elettronica ed improvvisamente ero super brocco. Di nuovo. Forse perché pensavo in note, non in suoni. Quindi scrivevo tracce molto complesse per mascherare la mia inettitudine come sound designer e nel mixare. Poi per fortuna essendo un nerd (con la n minuscola) mi sono rotto la schiena anche su quello, e adesso riesco a creare quello che mi pare in entrambi i mondi. Quindi sì, adesso sono anche mischiarli controllando l’equilibrio. Red Falcon credo esprima questo approccio abbastanza bene.
A proposito di college americani, qual era la tua confraternita ?
A Berklee non c’erano confraternite. In quanto college di solo musicisti eravamo A. troppo individualisti B. troppo strani C. troppo fighi e D. Troppo pochi. Parlavamo con lo slang del jazz e dell’hip hop chiamandoci “cat” e “dog”, e 10 anni fa usavamo la parola “hipster” come dispregiativo come si faceva negli anni Sessanta. Andavamo alle feste delle confraternite delle altre università (a Boston ce ne sono tantissime) e ce la tiravamo di brutto. Funzionava quasi sempre, se no mi giocavo la carta dell’italiano. Il fatto è che i film sui college, che noi riteniamo pieni di ironia, ne sono in realtà del tutto privi. Animal House è quasi un documentario, per certi versi abbastanza democristiano. Nelle parole di un grande pensatore americano della nostra era, Chef di South Park, negli usa vige questa regola:”C’é un tempo e un luogo per tutto, e si chiama college.”
Qual è stato il disco che ti ha fatto cambiare idea sull’elettronica ?
Sono stati 3 dischi, che ho comprato nello stesso giorno nel 2001: Aphex Twin con Drukqs, Squarepusher con Go Plastic e Amon Tobin con Bricolage. Ero da Ricordi in Duomo e volevo esplorare qualcosa di nuovo, non sapevo bene chi fossero ma avevo scaricato qualcosa su Napster nei tempi d’oro e avevo i nomi nell’orecchio. È stato fantastico, quel pomeriggio ho cambiato idea sulla musica in generale, mi hanno fatto scoprire un approccio che era coinvolgente come John Coltrane o Miles Davis ma parlava una lingua viva, in evoluzione e che apparteneva alla mia generazione. Per alcuni anni ho ascoltato questi tre dischi ossessivamente, sul serio, almeno una volta al giorno.
Ancora quando Boiler Room non aveva neanche una connessione stabile sei stato l’unico italiano invitato alla serata Low End Theory a Los Angeles da The Gaslamp Killer e la cricca di Flying Lotus, ma come è successo? Ma soprattutto com’è andata (a finire)?
Suonavo a Londra alla Rhythm Factory come supporto per i Glitch Mob, e nella lineup c’era anche Gaslamp Killer, era l’inverno 2008/2009. Gaslamp ha sentito il mio set, una specie di mashuppone fatto con il Monome 256, e gli è piaciuto un botto. Mi ha detto, se vuoi venire a suonare a LA, sai, io e i miei soci organizziamo una seratina figa, forse ne hai sentito parlare… Per farla breve, partendo da lì, l’estate dopo ho suonato un po’ di volte negli Stati Uniti. Low End é stato fighissimo, ho suonato con Illa J, fratello di J Dilla.
È inevitabile notare la grande cura che dedichi al packaging e all’immagine dei tuoi dischi facendoli uscire ogni volta in serie limitatissima, quasi da far sembrare un sacrilegio infilarne uno tra i tanti dischi “stropicciati” di una dj bag. Pensi che il destino del vinile sia quello di un oggetto da esposizione? Scusami il sarcasmo..
Visto il dilagare di certe tecnologie, forse è il destino dei DJ—scusami il sarcasmo… A parte gli scherzi non lo so, non sono la persona giusta a cui chiedere. Io faccio le edizioni limitate perché mi piace mettere lo stesso sforzo artigianale che c’è stato nella produzione musicale anche nel suo supporto fisico. Mi piace che questi dischi finiscano in mano a gente in grado di apprezzarne il valore. Non ho creato Mnemonic Dojo per fare l’imprenditore discografico, la musica che pubblichiamo non è fatta per far sudare la gente nei club, almeno non solo.
Perche Memory9?
Ha a che fare con la mitologia greca…