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Sono andato a provare la pizza più famosa di Chicago a Milano

Pizza Deep Dish Chicago Milano

Gli ingredienti principali sono proprio al contrario rispetto all’ordine della pizza classica: il formaggio è alla base per evitare si bruci troppo in forno, visto che la cottura è molto più lunga, circa 20 minuti, e il sugo sopra. Tutto il resto è al centro e la base è una frolla burrosa.

Io lo so cosa succederà: dopo che avranno letto questo articolo su di me che mangio una pizza inventata a Chicago, la Deep Dish Chicago-Style pizza, i miei amici napoletani mi toglieranno il saluto. Ma è pur vero che qualcuno doveva farlo, per voi. Per questo sono andato a Milano, da Hamerica’s—catena che ha portato la cucina americana in quasi 30 punti vendita in Italia—, per provare appunto la Deep Dish pizza. Prima di raccontarvi com’è stato mangiarsela, però, è bene spiegare di cosa stiamo parlando.

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La Deep Dish Chicago-Style pizza è una pizza parecchio strana la cui caratteristica è, letteralmente, la sua altezza: è alta come una torta. La denominazione Deep Dish si riferisce alla teglia in cui avviene la cottura. Che potremmo accostare, molto vagamente, alla pizza al trancio milanese.

Secondo la BBC, la Deep Dish Chicago-Style Pizza sarebbe nata intorno al 1955 proprio a Chicago, terra di immigrazione nell’Ottocento e Novecento per europei, italiani e napoletani.

Fu qui che Ike Sewell e Ric Riccardo aprirono Pizzeria Uno, nella Near North Side di Chicago, dove avrebbero iniziato a servire una pizza alta, con una crosta croccante e gli ingredienti messi al contrario: la mozzarella sotto, nel mezzo verdure e carne e salsa di pomodoro e pomodori (crushed tomato) sopra.

A ben pensarci, si potrebbe definire pizza solo per gli ingredienti, perché si tratta, di fatto, proprio di una torta salata cotta in teglia, con una crosta dorata che sembra frolla, decisamente burrosa.

Milano Hamericas pizza deep dish
L’autore contempla la sua pizza Deep Dish Chicago-Style. Foto per concessione dell’autore.

Su questa storia di paternità, però, non concordano tutte le fonti: Adolpho “Rudy” Malnati, ex-dipendente della pizzeria, reclamò la paternità della ricetta, che sarebbe stata inventata da lui nel 1943. La qual cosa è stata sempre respinta da Sewell e Riccardo, che affermarono di aver iniziato a servire slice, fette di Deep Dish, in strada ben prima. Il Chicago Tribune, invece, ci racconta di come una pizza simile a una torta sia arrivata con la pizzeria Rosati’s Authentic Chicago Pizza, addirittura nel 1926.

Come sempre in questi casi, è quasi impossibile capire chi l’abbia inventata: e possiamo anche dire che ce ne freghiamo. L’importante è che qualcuno l’abbia fatto, no?

Tornando a noi, quando entro nel punto vendita di Hamerica’s in viale Premuda a Milano, ammetto di essere scettico. Da seguace dei maestri della pizza italiana nei suoi diversi stili—Francesco Martucci de “I Masanielli” ed Enzo Coccia per la napoletana, Gabriele Bonci e Jacopo Mercuro di “180 Grammi” per i due stili romani—, mi aspetto di tornare a casa contrariato, quasi schifato. Cosa potranno aver mai partorito gli americani, quelli di Domino’s Pizza?

I miei sono, ovviamente, i classici stereotipi da italiano medio: in realtà, è la storia stessa della pizza a smentirmi, visto che, come abbiamo detto, sono stati proprio gli italo-americani a renderlo il piatto popolare che è oggi, così come ben raccontato nella seconda stagione del podcast Denominazione d’Origine Inventata.

Se siete frenati perché, da bravi italiani, inorridite al pensiero di una pizza statunitense, ricordatevi sempre che la Carbonara l’hanno inventata loro, non noi.

Ordino la versione proposta da Hamerica’s, ottenuta “dopo quattro mesi di prove e venticinque ricette diverse,” come mi raccontano. Quando arriva, bollente, rimango decisamente stupito, anche se sapevo a cosa andavo incontro. La pizza è alta una decina di centimetri e ha un diametro di circa 15 centimetri, molto più piccola di quelle che ho visto su internet.
Dal basso verso l’alto, ci sono mozzarella, salsiccia, pomodoro e pepperoni, cioè fette di salame piccante, come nella ricetta più diffusa negli USA. Non confondetevi con i peperoni, non c’entrano niente.

Quindi, come abbiamo già detto, gli ingredienti principali sono proprio al contrario rispetto all’ordine della pizza classica: il formaggio è alla base per evitare si bruci troppo in forno, visto che la cottura è molto più lunga, circa 20 minuti, e il sugo sopra. Tutto il resto è al centro. E, per non farsi mancare niente, viene servita insieme a delle patatine fritte tagliate belle spesse.

Deep Dish Pizza Chicago Hamericas
Il taglio della pizza, rocambolesco. Foto per concessione dell’autore.

In genere arriva già tagliata, ma io ho chiesto espressamente di non farlo perché voglio godermi il momento del taglio. Impugno quindi coltello e forchetta e comincio a tagliare una fetta, partendo dal centro: le posate affondano i diversi strati e poi si scontrano contro la frolla, tosta al punto giusto, non così dura come mi aspettavo. Nell’operazione, le fette tendono a spappolarsi un po’, perché il contenuto è molto umido. Per me è un buon segnale, mi dà l’idea che è proprio così che deve essere l’originale, ma vi consiglio di chiederla già tagliata. Farlo da soli è un po’ un casino e comunque non è un prodotto da mangiare solo con le mani, come invece si può—e si dovrebbe—fare con la pizza tradizionale.

Il primo impatto gustativo non è male: non siamo di fronte a una pizza nella quale pomodoro e mozzarella si fanno riconoscere per gusto e sapidità e acidità come nei migliori esemplari di pizza napoletana, ma il sapore è convincente, considerando anche che ci troviamo in una catena specializzata in hamburger, patatine e altri piatti della cucina statunitense. Devo dire che il piatto mi ha convinto: la frolla ha una friabilità piacevole, il contenuto è filante, la salsiccia è umida e non secca, il pomodoro è dolce e ha un leggero retrogusto di origano. A convincermi meno è il salame piccante, che secondo me non è abbastanza piccante, ma direi che tutto sommato non fa molta differenza.

Hamericas pizza deep dish Chicaho style
Le dimensioni effettive della pizza che abbiamo provato.

La pizza non è grandissima, ma è della dimensione corretta, secondo me. Fosse più grande rischiereste di scoppiare. Forse l’unico punto dolente è il prezzo di 15,90 euro, che mi sembra un po’ alto, soprattutto se si conta il fatto che sia il prodotto di una catena. Ma c’è anche da dire che ormai a Milano le cifre sono alte per qualsiasi cosa, quindi non mi stupisco più di tanto.

Insomma, vi consiglio di provarla, anche perché rimarrà in carta da Hamerica’s solo fino al 28 marzo (ma credo che tornerà come piatto fisso). Il concetto che seguo è sempre quello di provare cose nuove. Però ammetto anche che no, non la mangerò di nuovo, soprattutto per via del prezzo: con la metà di quei soldi mi posso prendere una pizza Margherita fatta come si deve, che mi soddisfa molto di più.

Se siete frenati perché, da bravi italiani, inorridite al pensiero di una pizza statunitense, beh, ricordatevi sempre che la Carbonara l’hanno inventata loro, non noi. E che, probabilmente, nemmeno la pizza è una nostra creazione.

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