Ogni Settimana Noisey recensisce le nuove uscite, i dischi in arrivo e quelli appena arrivati. Il metro utilizzato è estremamente semplice: o ci piacciono e ci fanno sorridere, o non ci piacciono e ci fanno vomitare.
THE CRANBERRIES
Something Else
(BMG)
Videos by VICE
Questo album dei Cranberries—come qualsiasi altro album acustico mai pubblicato nella storia degli album acustici da parte di musicisti che solitamente non fanno cose acustiche—suona come quella band dei vostri amici che avevano pensato di svoltarla cominciando a fare cover alle assemblee del liceo. Quelle note di acustica solitarie, così brutte nella loro nudità, prive di qualsivoglia trucco in studio che le aveva rese così forte la prima volta che le vostre orecchie dodicenni le avevano accolte. Con un repertorio composto da “Wish You Were Here,” “Father and Son,” “Viva la Vida,” “Human” dei Killers e, appunto, “Zombie.” L’unica differenza è che a suonare qualcosa di simile non sono dei pischelli senza capacità di giudizio ma musicisti bolsi e annoiati che non sanno bene cosa fare se non risuonare i pezzi che già suonano da trent’anni un’altra volta, in studio, facendosi pagare vitto, alloggio e quartetti d’archi da una major ben contenta di buttare fuori un prodotto che tutte le zie d’Irlanda compreranno in CD e ascolteranno nel loro mangiadischi.
CHE DOLORES
FRANCESCO GABBANI
Magellano
(BMG)
Domanda: c’è qualcosa qui dentro che valga la hit che è “Occidentali’s Karma”? Risposta: no, e per arrivare a fare mezz’ora c’è perfino una cover di Celentano. Come le riempio le altre 850 battute di questa recensione? Per esempio con un elenco di dischi italiani belli usciti quest’anno che potreste ascoltare al posto di perdere mezz’ora con Gabbani (che mi sta pure simpatico, devo ammettere). Potreste ascoltare per esempio Donato Epiro, o i Rainbow Island, Golden Cup, Halfalib, gli Heroin In Tahiti, Caterina Barbieri, gli In Zaire che vi abbiamo anche fatto sentire in anteprima, Petit Singe, gli Squadra Omega che escono tra un mesetto circa, Stromboli, il disco di Clementi che fa Thomas Eliot, qualche disco di Demented (tanto ne fa uscire uno alla settimana), la ristampa di Motore Immobile di Giusto Pio oppure quella di Mongoholy-Nazi di Stefano Tamburini, Edda, sorprendentemente il nuovo degli Zu, o la raccolta di quel gran genio di Maurizio Marsico. Per esempio. Dai che anche questa settimana l’abbiamo sfangata.
GABRIEL PONTELLO
PILLORIAN
Obsidian Arc
(Eisenwald Tonschmiede)
Dopo aver seminato cocci per strada con gli ultimi dischi della sua band storica, John Haughm è finalmente riuscito a dare corpo alla più grande paura di tutti i suoi fan: è diventato uno come tanti. Sciolti gli Agalloch a seguito dell’evidente esaurimento della specialissima alchimia che li contraddistinse per i primi dieci anni di carriera, tra l’altro con un comunicato ufficiale da principe degli stronzi, Haughm si circonda di due nuovi compagni d’arme e si dedica a un black metal più pesante e oscuro, pur se sempre fortemente introspettivo e dalle contaminazioni doom. E fondamentalmente banale. Nessun brivido, nessuna emozione, giusto qualche vaga eco del tempo che fu (“Dark Is The River Of Man”). Un semplice disco da perfetto mestierante e una pugnalata al cuore per tutti quegli animi sensibili che sulle sue note hanno imparato che se questo magnifico panorama è ciò che chiamate Dio, allora Dio non è morto. Caro John, invece che fare la figa di legno e darti tante arie, forse dovresti semplicemente dire addio e ringraziare per tutto il pesce. Magari qualche anno di lontananza dalle scene potrebbe aiutarti a rimettere in discussione te stesso e soprattutto restituirti un po’ di ispirazione. Fai due passi lungo il fiume, siediti e rifletti su ciò che va fatto, perché noi eravamo abituati ai viali d’ebano incantato, alle braci che vestivano il cielo. Gli archi di ossidiana te li puoi pure tenere.
PANTHEON DI QUERCIA
RICH HOMIE QUAN
Back to the Basics
(Motown/Capitol)
Avete letto su che etichetta esce questo nuovo disco di Rich Homie Quan? Avete letto bene? Motown. MOTOWN. Voi su che cazzo siete usciti, su Uovosodo Dischi? Su Cartinelunghe produzioni? Sull’etichetta che vi siete inventati l’altro ieri a cui avete dato un nome altisonante tipo “Worldwide Records?” Mentre eravate lì a provare a fare musica, e a farlo bene, Rich Homie Quan era ad Atlanta a fare quello che aveva sempre fatto: cioè avere un nome che ti spacca dal ridere e fare un rap di maniera cantato maldestramente, senza testi particolarmente emozionanti o originali, uguale a trecentomila altri rap. E senza farsi sbattimenti, anzi restando piuttosto in silenzio negli ultimi dodici mesi, ha beccato un contratto con la Motown, diventando quindi automaticamente il nuovo Marvin Gaye. Ci rivediamo tra trent’anni, quando al ballo delle vostre nozze d’argento stringerete il vostro compagno di vita sulle note di “Flex (Ooh Ooh Ooh)”—perché comunque non che su quest’album ci siano hit di quel calibro, diciamolo chiaramente, quello che vedete qua sopra è uno smiley di cuore e d’affetto. Dato comunque, diciamolo, con estrema convinzione.
N’GOLO QUANTÉ
ALICE COLTRANE
The Ecstatic Music of Alice Coltrane Turiyasangitananda
(Luaka Bop)
Un’avvertenza da dare è che questo disco per i gusti di qualcuno potrà essere un po’ eccessivamente new age (nel senso di fricchettone), e un’altra è che il primo pezzo – che è un po’ meno raffinato dei seguenti, molto più minimali – non è perfettamente rappresentativo di quello che arriva dopo (infatti se avessi compilato io la raccolta l’avrei messo alla fine). Per il resto, soprattutto se vi piace la Alice Coltrane meno jazz, quella di (quella meraviglia di) Turiya Sings, questa compilation di pezzi tratti dalle cassettine riservate al suo ashram è bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella bella. Spero di aver reso adeguatamente l’idea.
OHNEDARUTH
MOON DUO
Occult Architecture vol. 2
(Sacred Bones)
Quella dei Moon Duo comincio a prenderla un po’ come un’operazione situazionista, un po’ dada, tipo vediamo quante canzoni tutte esattamente identiche possiamo fare prima che la smettano di invitarci ai festival europei ogni estate. È come se il duo americano vivesse in un eterno aperitivo milanese circa 2011, cioè tipo agli Spacemen 3 non gliene fregava un cazzo loro suonavano seduti per terra. In questo nuovo album addirittura inseriscono una botta di lounge tra un bordone e l’altro con “Mirror’s Edge”, praticamente la versione spaziale di una pubblicità del Philadelphia o dell’Aperol. Quindi, ecco, se prendiamo questo disco come una strana performance artistica che riprende il concetto man-machine che riproduce meccanicamente sempre la stessa operazione nel contesto di una critica alla pigrizia della classe media e all’hipsterismo, ok, mettetelo in un museo. Se vuole essere un disco che uno compra e lo mette su ed è contento e le sue sinapsi si muovono in quel modo così dolce che un po’ è vuoto intrattenimento e un po’ è stimolazione intellettuale, invece, stocazzo.
STOCAZZATORE MASCHERATO
THE RAVEONETTES
2016 Atomized
(Raveonettes Ltd.)
Aspettavo con impazienza che i Raveonettes raccogliessero il materiale dello scorso anno. Ho seguito a sprazzi il progetto del duo danese da loro stessi definito anti-album, ossia l’uscita di un singolo al mese durante tutto il 2016, ed ero curioso di vedere come una pubblicazione originariamente così frammentata avrebbe reso l’ascolto completo ed organico del tutto. Dando per scontato che Sune Rose Wagner e Sharin Foo sono due musicisti di classe poco meno che sopraffina, non mi stupisce che il risultato sia uno dei più bei dischi del primo terzo di 2017. Ogni canzone arriva da sessioni di registrazione differenti, ed è commovente sentire come queste siano diversissime e coerenti allo stesso tempo. Noise-pop che alterna momenti in cui prevale il primo (“A Good Fight”, “Fast Food”) e altri in cui è il secondo, mellifluo e sognante, a farla da padrone (“This World Is Empty (Without You)”, e la strappalacrme tenerissima patatosissima bellissima “Where Are You Wild Horses”). L’alternanza di uno o dell’altro genere non è mai a discapito della propria controparte e come sempre mediata da un enorme uso di effetti e basi electro che a volte finiscono per diventare protagonisti indiscussi (“Junko Ozawa”), e insomma 2016 Atomized è linfa per animi dolci, sensibili e incontrovertibilmente dark. “I’d rather die / To be seen with you again / It’s a dead-end, now it’s weekend / Time to let loose, wanna get bruised / Fuck your excuse, hit me with nukes” è il ritornello di Excuses ed è una dichiarazione d’intenti netta e incontrovertibile. Senza nemmeno tirare in ballo il fatto che questi due hanno potuto lasciare un singolone come “NVRLND” fuori dall’album e questo ne è uscito splendido lo stesso, tanta roba bella avevano a disposizione.
GIOVANE & FREDDO
THURSTON MOORE
Rock n Roll Consciousness
(Ecstatic Peace)
Mettiamo in chiaro subito che non mi sono approcciato a questa recensione pensando “Thurston Moore = vecchio con chitarra = vomito” come sono sicuro che i lettori di Noisey si aspettano dalla redazione di Noisey. Queste recensioni sono storicamente fatte di pancia e non sarò certo io a trasformarle in una cosa di cervello. Ci sono dei momenti molto belli tra queste cinque, perlopiù lunghissime, canzoni, e penso che TM dovrebbe dedicarsi di più alla composizione di queste eteree ed ipnotiche atmosfere strumentali fatte di chitarre stratificate e percussioni minimali (i primi otto minuti di “Exalted”, alcuni momenti di “Turn On”, il quasi-blues di “Smoke Of Dreams”, il finale di “Aphrodite”), perché quando entrano basso e voce l’effetto è deprimente. Che il suo cattivo trattamento del basso (linee banali, suoni brutti) dipenda dal marchio lasciato da una certa bassista del suo passato? Non lo sapremo mai, fatto sta che in Rock n Roll Consciousness Moore non esibisce tanta coscienza dei suoi limiti in fatto di rock n roll, forse se abbracciasse la sua età e la smettesse di cantare di limonare con donne più giovani io sarei più a mio agio nell’ascoltarlo.
SPILUNGONE AMOROSO
CARL BRAVE X FRANCO126
Polaroid
(Bomba Dischi)
È da qualche mese che mi interrogo sul perché non riesca a trovare nulla—ma NULLA—collegato alla macro-categoria “indie italiano” che mi faccia prendere bene. “Perché ti vuoi così male? Accetta l’assenza di Colombre nella tua vita e fattela passare, mammoletta,” direte quindi correttamente voialtri. Mi barcameno tra l’accettazione che davvero non ci sia nulla di decente e il dubbio di essere io diventato troppo restio alle modalità espressive che invece fanno prendere bene decine di migliaia di miei compatrioti. E sto parlando di quell’amore ma quello che proviamo solo io e te, quello che andiamo al mare mentre ascoltiamo i Dire Straits, ed era tanto bello quando siamo rimasti abbracciati sotto le lenzuola finché il sole non aveva cominciato a disturbarci, quello che ci fa stare bene anche se viviamo in tempi dannati e ingiusti, in un paese che ci fa scappare all’estero ma da cui non riusciremo mai davvero a staccarci. Perché l’amore che provo io ha sì quella componente di retaggio post-adolescenziale in cui è bello, chessò, scriversi una lettera; ma al contempo ha bisogno di un elemento brutale, cinico, realista. Per cui non è che dobbiamo star qua a renderci la coppia più bella del mondo, perché statisticamente non lo siamo di certo, e anche chissenefrega di esserlo. E credo che Carl Brave e Franco126 abbiano beccato proprio quell’angolino esatto che parla nel modo in cui parlo io, anche se loro sono di Roma e io no. Quel modo di enumerare le immagini che rischia di cadere nello sdolcinato ma si ferma comunque sempre un attimo prima, in cui si può parlare tranquillamente di tuo nonno che è morto e tu non l’hai manco salutato accanto alle battone con l’AIDS e le noccioline all’aperitivo.
L’ULTIMO VERO ROMANISTA