Gli specialty mediamente sono meno tostati, chiari, mentre la grande industria tosta soprattutto scuro per nascondere i difetti
Il 2020 è stato un anno nero anche per il caffè. Se nel 2019 la raccolta e la produzione mondiale del caffè hanno raggiunto numeri record – 170 milioni di sacchi circa e un aumento del consumo del 4% – quest’anno c’è stato un profondo calo della produzione, che si prevede ammonterà a circa 3 milioni di sacchi in meno (dati Ico).
Videos by VICE
Nonostante questo, il mondo del caffè in Italia non è mai stato così vivace e pieno di novità. Le persone iniziano a interessarsi alla qualità e a metodi alternativi di consumo: non solo moka ed espresso per intenderci. E una parola su tutte torna sempre più spesso: specialty coffee.
Per capirne di più incontro Federico Lucas Pezzetta, che sarà la mia guida alla scoperta dell’oro nero. Lui si definisce divulgatore del caffè: grazie alla sua attività da fotografo/videomaker ha iniziato a ad assaggiare caffè in giro per il mondo e a studiarne il business dietro.
Una puntata speciale di Report nel 2014 l’ha ispirato fino a spingerlo a realizzare, in collaborazione con Federica Balestrieri, un documentario: “La comunicazione del caffè era ancora ancorata a vecchi schemi – come ad esempio l’utilizzo di una bella donna negli spot – quindi ho pensato che in Italia ci fosse una forte lacuna in Italia da colmare” mi racconta Federico.
Per capire cosa sono gli specialty coffee è meglio fare un passo indietro.
La storia del caffè
Federico mi racconta che nel mondo del caffè si parla di “tre onde”. La prima è l’inizio vero e proprio della diffusione del caffè, più di 100 anni fa, soprattutto negli Stati Uniti. Era generalmente di bassa qualità e veniva aromatizzato nei modi più disparati. In Italia veniva bruciato dai macchinisti che non sapevano dosare la leva (e le macchine tecnicamente non erano ancora perfette come ora).
Per ora il consumo dello specialty sul totale del caffè è solo dello 0,3%, un numero così basso da non avere quasi alcuna rilevanza statistica
La seconda onda, verso gli anni Sessanta/Settanta, è caratterizzata da un caffè di qualità migliore (in questo periodo nacque Peet’s Coffee, antenato di Starbucks ). Negli anni Novanta il fenomeno del comodato d’uso si estremizzò al punto che le grandi aziende di caffè fornivano al bar non solo la macchina espresso, ma tanti altri prodotti (stoviglie, piatti, insegne); diventavano in questo modo quasi co-proprietari dei locali. Di dettagli come la vera provenienza del caffè non interessava a nessuno.
Cosa sono gli Specialty coffee
Gli specialty coffee roasters hanno iniziato a fare attenzione alla qualità della materia prima: a come viene coltivata, raccolta, conservata e infine estratta.
L’ultima onda, quella che stiamo ancora vivendo, vede la nascita degli specialty coffee Piccoli distributori, chiamati specialty coffee roasters, hanno iniziato a fare attenzione alla qualità della materia prima: a come viene coltivata, raccolta, conservata e infine estratta.
Si definiscono specialty i caffè che ottengono nella cupping table di Scaa, un punteggio superiore agli 80 punti su 100. In pratica, caffè di ultra-qualità. Chiedo a Federico come fa il consumatore a capire se sta bevendo davvero uno spacialty coffee: “Si può verificare quest’informazione nel coffee shop e all’acquisto sulle etichette”.
Il fenomeno degli specialty coffee arriva in Italia già nel 2000, con pochissimi esponenti (come Aroma a Bologna) e si consolida solo negli ultimi 5 anni. Per ora il consumo dello specialty sul totale del caffè è solo dello 0,3%, un numero così basso così basso da non avere quasi alcuna rilevanza statistica (dati forniti dal centro Lavazza).
Per bere del caffè specialty bisogna scovare i bar specializzati, che sono ancora pochi in Italia – circa un centinaio – e soprattutto nel Nord. La buona notizia, però, è che finalmente inizia ad esserci qualcosina anche negli scaffali dei supermercati. Esselunga, per esempio, collabora con Ditta Artigianale.
C’è chi ancora considera Starbucks il demonio, ma in realtà offre una vasta gamma di caffè tra i quali scegliere, ed estrazioni di tutti i tipi
Attenzione però: l’idea che tutti i grandi produttori nuociano al caffè è un’ingenuità. Molto spesso garantiscono un qualità molto buona. Inoltre svolgono anche una funzione di trait d’union per educare e traghettare il consumatore verso lo specialty. Infatti anche aziende come Lavazza vendono chemex, v60 e caffè filtro.
“Se gli specialty coffee shop avranno una visione imprenditoriale e non ideologica sapranno cogliere l’opportunità che la grande distribuzione offre informando il cliente sul caffè,” commenta Federico, che aggiunge anche che sia tutto sommato un bene che Starbucks sia approdato in Italia. “C’è chi ancora nel nostro paese lo considera il demonio, perché si pensa solo ai beveroni tutti latte e panna che vanno di moda tra gli adolescenti, ma in realtà offre una vasta gamma di caffè tra i quali scegliere ed estrazioni di tutti i tipi, oltre chiaramente alla nostra tradizione.”
Il filtrato più si raffredda più migliora sprigionando nuovi aromi, l’espresso si consiglia di berlo a poco tempo dall’estrazione
Tutti gli specialty sono caratterizzati da una tostatura media, che vuol dire uno spettro aromatico più ampio, maggior acidità e minor amarezza. Il tipo di caffè proposto è differente anche nell’aspetto: gli specialty mediamente sono meno tostati, chiari – le cosiddette limonate – mentre la grande industria tosta soprattutto scuro, in certi casi anche per standardizzare e piallare un po’ tutti i sapori o per nascondere i difetti.
I prezzi tra i grandi e i piccoli sono molto diversi per diversi motivi: gli specialty hanno una produzione limitata e stagionale, e non esiste il fenomeno del comodato, sopra spiegato. L’attrezzatura è più sofisticata e la manutenzione complessa. Inoltre la formazione è fondamentale.
Filtro vs espresso
Partiamo con lo smontare il primo luogo comune. Non tutti gli specialty coffee sono filtro. Il caffè filtro ha una tostatura leggera e l’espresso ha una tostatura più strutturata. Quindi sappiatelo, esiste anche l’espresso specialty: è un caffè selezionato e di alta qualità e ha un costo che parte da circa 1.50 euro, niente di molto lontano dall’espresso tradizionale. La differenza rispetto al “comune caffè da bar” sta quindi proprio nel caffè utilizzato, che oltre ad essere di alta qualità è tostato, ma mai bruciato.
Chiedo a Federico qualche altro consiglio di servizio e consumo.
Il calore, o meglio la temperatura di servizio, è fondamentale: nel filtrato per esempio più si raffredda più migliora sprigionando nuovi aromi, nell’espresso si consiglia di berlo a poco tempo dall’estrazione (appunto “espressamente”). Attenzione anche a cosa si consuma insieme: non metti lo zucchero nel caffè ma poi ci mangi la brioches insieme? Il profilo sensoriale sarà per forza “zuccherato”.
Il caffè ossida velocemente – pensate a quando tagliate una mela a metà – quindi il chicco dovrebbe essere macinato al momento, a meno che il locale non faccia altissimi volumi. L’acqua dev’essere buona, possibilmente filtrata, sia per il gusto che per la manutenzione delle macchine (sapete benissimo cosa succede al vostro bollitore se utilizzare l’acqua di Roma o Milano per esempio).
Ultimissimo consiglio: l’espresso è veloce e ti dà la botta di vita, mentre il filtro è a rilascio lento, quindi favorisce la meditazione, ma la caffeina è maggiore. Quindi lungo o corto in realtà non cambia.
Per concludere chiedo a Federico dove posso bere un buon caffè a Roma: “Per uno specialty coffee sicuramente Faro in Piazza Fiume, con una visione europea e una buona proposta food; Fax Factory al Pigneto è una nuova realtà di quartiere che ha conquistato anche i più tradizionalisti. Invece per un caffè o un cappuccino tradizionale nel cuore della Capitale, all’Aventino, Casa Manfredi.”
Segui Paola Buzzini su Instagram
Segui Federico su Instagram