Foto di Marzio Perbellini.
Ci sono tre tipi di fanatici del vinile: quelli che considerano degni di essere acquistati e collezionati soltanto i dischi vecchi, magari dell’epoca d’oro del rock, o del soul, o del jazz, gente che investe un sacco di soldi in una macchina per pulire gli LP e sigilla la stanza dei dischi contro la polvere (la gente che cerca di fregarmi ai mercatini); quelli a cui non frega niente e vogliono solo ascoltare la musica e avere una copertina grande da ammirare mentre lo fanno, con il giradischi ereditato dal nonno a cui non cambiano mai la puntina, a meno che qualcuno non faccia loro notare che il disco nuovo di zecca che stanno ascoltando suona come un cilindro di cera (io); quelli che amano la moderna cultura vinilica, comprano dischi pesanti come mattoni contenuti in buste gatefold ultralusso, grandi classici tirati a lucido da remastering fantascientifici, edizioni limitate in vinile tanto colorato da sembrare un trip di Willy Wonka.
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Riccardo Orlandi, fondatore e socio unico di Tannen records, appartiene a quest’ultima categoria. Anzi, rileggendo quello che ho scritto, citare Willy Wonka è più appropriato di quanto credessi, perché parlare di vinile con Riccardo è un po’ come parlare di cioccolato con il personaggio di Roald Dahl: lo ama in tutte le sue forme, sembra vivere per lo stupore e la gioia dell’aprire un pacco e trovarci dentro il nuovo prodotto della sua “fabbrica”, la cui grafica cura lui stesso con dedizione maniacale. Più dell’aspetto musicale del suo catalogo, ciò che mi ha spinto verso questa intervista è stata proprio la curiosità per il suo lato da “businessman”. Nella mia esperienza, nessuna etichetta italiana incentrata sul vinile ha la stessa forza e influenza: prima che Tannen ottenesse la licenza da Enrico Molteni di ristampare quasi tutto il catalogo La Tempesta, il pubblico di Teatro degli Orrori, Calibro 35, Le Luci Della Centrale Elettrica non sembrava avere alcun interesse per i padelloni a 33 giri. E non è stata l’unica iniezione di plastica in un mercato che era in astinenza da anni: con Vinili Doppia H, la serie di ristampe di grandi classici hip-hop italiani inaugurata con Odio Pieno dei Colle Der Fomento, il giovane pubblico hip-hop ha riscoperto il peso, l’odore e il colore della propria musica su formato fisico.
Quando ho conosciuto Riccardo non potevo immaginare che si sarebbe trasformato nel guru delle ristampe ultralusso italiane. Suonava la chitarra in un gruppo punk che si chiamava Rituals. Io avrò avuto diciotto anni ed ero uno dei venti o trenta fan che avevano in tutta la penisola. Li andavo a vedere ogni volta che potevo e mi facevo spedire le canzoni in anteprima. Dopo aver pubblicato il secondo LP, Celebrate Life, i Rituals si sciolsero e io rimasi senza gruppo del cuore. Per me finiva un’epoca, ma per Riccardo iniziava la carriera da discografico.
La settimana scorsa è passato da Milano per concludere qualche affare, così ci siamo incontrati per un paio di birre e una chiacchierata. Abbiamo parlato della ricetta del successo di un’etichetta fieramente indipendente, ma soprattutto ho ottenuto qualche anticipazione sui prossimi succosi progetti Tannen.
Noisey: Partiamo da dove ti avevo lasciato. È il 2009 e i Rituals hanno registrato il loro album più ambizioso, Celebrate Life…
Riccardo Orlandi: Mentre registravamo, anche se è brutto da dire, sapevamo già che sarebbe stato l’ultimo capitolo. È stato un disco molto puntiglioso, molto metodico, i testi erano curatissimi, rivisti mille volte, ci abbiamo messo un po’ a finirlo. Poi è nato tutto da lì, è stato dopo questa esperienza che ho pensato di fondare un’etichetta. Vedendo lo sforzo che avevamo messo nelle registrazioni io ho pensato: “questo è un disco celebrativo, non abbiamo un cazzo da perdere, facciamo un doppio LP fatto da paura”. Abbiamo deciso di contattare un nostro amico fotografo che ha fatto delle foto bellissime su pellicola, un libretto ben curato con tutti i testi, copertina apribile… Mi ricordo che Nicolò [bassista/cantante dei Rituals] era già partito per Berlino e quindi avevo seguito io la produzione, e mi ero esaltato. Mi ero reso conto che curare la grafica, la presentazione del disco fisico, per me funzionava come la continuazione naturale del lavoro di scrivere le canzoni, registrarle, produrle. Scegliere il tipo di carta, decidere tra gatefold e non gatefold, il colore del vinile… L’etichetta, Sons of Vesta, ci aveva dato carta bianca e aveva finanziato un’edizione proprio come la volevo io, molto figa. E, insomma, ero con Stefano, il mio amico che poi è diventato il mio socio per un periodo, e ho detto: “Cazzo, a me piacerebbe continuare a fare ‘sta roba.” Poi mettici anche il fatto che ho sempre comprato dischi, sono sempre stato appassionato di etichette, ho sempre avuto fiducia in loro. Per esempio, la Warp nove volte su dieci fa delle figate. Mi piacciono le etichette che hanno un gusto, un’idea precisa.
Da questo punto di vista il tuo approccio è molto interessante, perché la tua è una label incentrata sul formato più che sul genere musicale.
Sì, ho deciso di creare proprio un’etichetta di formato. All’inizio era più di genere, nel senso che ho iniziato facendo cinquecento copie in vinile di gruppi che mi piacevano; pensavo che si vendessero facilmente, invece le prime uscite sono state dei flop. Allora ho iniziato a produrre anche CD di realtà locali, come Cabeki, Michele Bombatomica, i De Curtis in cui suonavo… e quello funzionava già di più. Solo che i CD non mi piacciono. Il digitale lo faccio per comodità, ma a me piace solo il vinile, sono proprio un feticista. Lavorando al doppio LP di Black Rainbow degli Aucan sono entrato in contatto con Enrico di La Tempesta, che mi ha proposto di ristampare altri titoli del catalogo. Allo stesso tempo ho iniziato a collaborare con i Calibro 35. A quel punto ho detto “sai che c’è? Che mi dà più soddisfazione curare le versioni in vinile di realtà affermate”. Il mio interesse principale è per grafica e prodotto, senza dimenticare una selezione nella proposta musicale. Ho rifiutato vari dischi che mi facevano cagare anche se avrebbero venduto molto.
Be’, mi ricordo che quando sono usciti i Calibro 35 l’etichetta ha avuto una bella spinta di vendite. È stato quello il momento in cui hai pensato “ah, ma quindi questa cosa può funzionare” e sei entrato in una mentalità più imprenditoriale?
Secondo me, senza falsa modestia, uno dei meriti di Tannen è di aver riportato il vinile in quella fetta di mercato musicale. Nell’underground c’era, i box di Ligabue c’erano, però nel mezzo nessuno stampava in vinile. La Tempesta stampava tutto in CD, neanche i Calibro uscivano più in vinile, dopo i primi due album. Io sono stato il primo a pormi il problema di curare l’edizione in vinile di certe cose. Al tempo nessuno voleva rischiare. È questo il motivo per cui la Universal mi ha affidato il box dei CSI. Ed è il motivo per cui io per quel box ho usato il crowdfunding—oggi anticiperei i soldi direttamente io perché sarei sicuro di recuperare l’investimento. La cifra per produrlo era altissima, perché sono sette LP, libretto, scatola… ci ho perso un anno. Mi sono comunque esposto con Universal, ma perlomeno grazie al crowdfunding non ho rischiato un botto di soldi di tasca mia. Ma c’è un retro della medaglia: se le ristampe vendono un sacco, le major si rendono conto che possono farlo anche loro. Mandano avanti me che ho la passione e l’attenzione per sbattermi quanto serve, e poi, sulla mia scia, la volta dopo, investono direttamente loro. È quello che è successo con il box dei CCCP, uscito per Universal dopo il successo dei CSI. Mi sarebbe piaciuto ristampare anche i Verdena, però sai cos’è successo? Ho mandato una mail chiedendo la licenza per una ristampa in cinquecento copie dei Verdena e per una in duemila copie di Neffa, pensando: “Se proprio devono tenersi i diritti di qualcosa, si terranno i diritti di quello che vende di più, cioè Neffa”. E invece è successo il contrario, e mi hanno passato Neffa.
…e lì hai trovato la vena d’oro di Vinili Doppia H.
In realtà l’avevo già beccata con i Colle Der Fomento, con Odio Pieno. Io non sapevo nulla di hip-hop, non sapevo che avrebbe venduto così tanto. Mi ero gasato con l’idea delle ristampe, avevo fatto CSI, Massimo Volume, Marlene Kuntz… Mi prendeva bene in particolare l’idea del box, perché avevo comprato questo cofanetto dei Neu!, non so se hai presente.
Eccome, ce l’ho anch’io, è un capolavoro.
L’abbiamo trovato tutti in sconto su Amazon, eh? Insomma quando mi è arrivato ho detto: “È fighissimo ‘sto cofanetto, che bello sarebbe fare una cosa antologica come questa per degli artisti italiani. Qual è il gruppo che si può permettere un’operazione come questa, che non sia Jovanotti ma nemmeno, per dire, i La Quiete?” E così è nata l’idea dei CSI. Ho scritto alla mia stamperia di fiducia: “Conoscete il box dei Neu!?” E loro: “Sì, lo abbiamo stampato noi”. “Perfetto, ne voglio uno identico”. Così mi hanno mandato il template e io ho cambiato le grafiche mettendo quelle dei CSI, ma per il resto è tutto uguale. C’è anche il fiocchetto per tirare fuori i dischi, ma solo nella prima stampa. E insomma, ai Colle volevo proporre la stessa cosa, solo che avevo paura che non avrebbe venduto abbastanza. Stampare dischi costa tantissimo e bisogna muoversi coi piedi di piombo. Alla fine ho detto “facciamo cinquecento copie di un doppio LP”, pensando che fosse già un rischio. Metto la copertina sul sito con scritto “coming soon”, niente pubblicità, niente Facebook… e immediatamente mi si intasa l’email. Tutta gente che mi chiedeva “quando esce?”—al che chiamo Irma records, che mi aveva venduto la licenza, e dico: “forse è il caso di fare mille copie”. Sono andate esaurite immediatamente. Adesso ho messo un limite di due copie per ogni ordine, ma allora ero inesperto e mi sono ritrovato ordini da cinquanta copie (che io rimandavo al mittente). Gente che ci voleva speculare.
Dopo i Colle, Tommaso Colliva dei Calibro 35, che una volta faceva anche rap, mi dice: “Fossi in te farei una serie separata solo per l’hip-hop, così non crei confusione con le uscite che non c’entrano”. Allora insieme a lui e Luca Gricinella, che ci fa da addetto stampa per la parte hip-hop, abbiamo deciso di fare questa cosa. Abbiamo commissionato il logo a Rusty, un writer bolognese, chiedendogli il logo più anni Novanta possibile, e l’abbiamo chiamata Vinili Doppia H. Da lì ho iniziato a sbattermi sempre di più. Poi chiaramente ho dei consulenti, cioè degli amici che ne sanno di hip-hop e mi consigliano i dischi da ristampare. Secondo me ha giocato molto a nostro favore anche il fatto che io sia fuori dalla scena, super partes, mai avuto scazzi con nessuno, ma allo stesso tempo non sono nemmeno un colletto bianco a caccia di contratti. A oggi ci sono degli album che potrei far uscire tranquillamente perché ho la possibilità di avere la licenza dalle major, ma magari si tratta di dischi di cui gli artisti non sono contenti, per cui sono rimasti tagliati fuori dal contratto. Il master è della major, per cui l’artista tecnicamente non ha più potere su questo disco. Io potrei comprare i diritti e stampare quello che mi pare, ma so che in questo modo farei un torto all’artista. È un mondo tutto basato sul rispetto, per cui sto molto attento. Chiamo gli artisti e dico: “Se fai fare il disco a me sei sicuro che viene una cosa fatta bene, se lo ristampa la major per i cazzi suoi magari va al risparmio e viene un prodotto di merda”. Non vengo dalla scena hip-hop, ma tutti sanno che conosco l’underground grazie alla mia esperienza in varie band del giro punk e sono riuscito a raccogliere tutto questo tesoro hip-hop italiano, non senza sforzi considerevoli perché a volte è davvero un casino lavorare con gli artisti.
Non credi che faccia parte della “umanità” di Tannen anche il fatto di lavorare con una distribuzione indipendente, piccoli negozi di dischi e mailorder? Voglio dire, c’è una bella differenza con le major che vendono i dischi alle grandi catene di elettronica e per chi è un aficionado del vinile è importante.
C’è anche quello, sì. È molto importante il fatto di avere un pubblico che ti segue, che aspetta le tue uscite, che è affezionato e riceve la newsletter. Quando faccio le uscite hip-hop vedo che il quaranta percento degli ordini vengono sempre dalle stesse persone, anzi, anche di più. Per le cose rock e alternative, il venti percento. E aumentano sempre di più. E poi ci sono quelli che comprano gli Zu e Neffa insieme, gente che magari come me è appassionata al formato. Le major spesso non hanno tempo di stare dietro alle ristampe, nonostante dall’alto arrivi l’ordine di lavorare sul vinile perché va di moda. Ma del resto quando vedo gli articoli che dicono che “il vinile è tornato” penso sì, magari negli USA o in Inghilterra fa dei numeri sensati, ma in Italia si parla pur sempre di cinquecento o mille copie, massimo duemila in tutta Italia. Sì, è tornato il reparto vinile nei negozi, però si tratta sempre di numeri irrisori. Per questo poi è vantaggioso avere un’operazione come la mia che crea un rapporto con i propri clienti, che mi scrivono ogni mese per sapere che cosa stiamo preparando, quando annunceremo le nuove uscite, ecc. Adesso grazie alla fedeltà dei clienti la serie Vinili Doppia H comincia a includere anche alcune nuove uscite come Don Diegoh & Ice One e DSA Commando…
Del resto ormai in Italia l’hip-hop è il genere più popolare in assoluto.
Senza dubbio. Io sono rimasto molto stupito da com’è andata questa serie. Ora Vinili Doppia H è il motore della Tannen che mi permette di fare cose più di nicchia come Claudio Rocchetti e Immaginisti (ex-Cagna Schiumante), che usciranno a breve. È un compromesso, ma, intendiamoci, un compromesso figo perché i dischi che abbiamo prodotto sono delle bombe. Riesco ad avere delle uscite di successo ma senza sputtanarmi e fare cose che non mi piacciono. Mi rendo conto che non potrei mai fare il discografico in modo tradizionale, ho dei gusti musicali decisamente sconvenienti.
Parliamo della decisione di creare un’etichetta prettamente di musica italiana.
C’è da dire che io sono sempre stato un esterofilo totale, ascoltavo solo musica straniera. Quando ho fondato l’etichetta ho anche avuto una serie di deliri per cui pensavo di trasferirmi a Berlino o da qualche altra parte, tuttora ogni tanto ci penso. Però visto che ho deciso di rimanere a Verona, voglio fotografare il territorio italiano. Ho iniziato con questa idea partendo dagli amici e dagli artisti più vicini a me, poi mi sono allargato ai Calibro 35, a La Tempesta, ed è andata a finire che mi sono appassionato alla musica italiana. Contemporanea e non. Ho prodotto dischi che mi piacciono davvero tanto e a volte me ne sono accorto dopo. Massimo Volume, Teatro degli Orrori, Calibro 35… è una figata gasarsi finalmente tanto per musica che non viene dall’estero. Poi quando lavori sul disco ti senti di farne parte, quindi c’è una sorta di affetto. Prima di iniziare la serie hip-hop non ero un fan del genere, ma ora sono un appassionato.
Mi viene da dire che l’approccio di Tannen è quello ideale per quanto riguarda l’aspetto “business” del mercato discografico. Distribuzione ampia, musica di buona diffusione, ma mentalità indipendente, gruppi indipendenti, negozi indipendenti. Quando le major mettono le mani su una cosa di nicchia, rovinano sempre tutto (dischi in quegli orrendi espositori da ipermercato, ristampe inutili, intasamento delle stamperie). Invece tu riesci a sfruttare le potenzialità commerciali del vinile al massimo senza lasciare il vuoto dopo il tuo passaggio.
Una delle cose fondamentali per me è la questione delle edizioni limitate e dei pre-order. A differenza di distributori e simili, che pagano sempre dopo mesi, i pre-order delle edizioni limitate pagano subito, sono linfa vitale per me. È grazie a quelli che riesco a mantenere il ritmo. Però a volte succedono dei casini. Ad esempio con Neffa: abbiamo stampato 1500 copie numerate, un investimento considerevole, avevo anche un po’ paura. Nel momento in cui ho annunciato l’uscita, in pochissimo tempo mi hanno fatto fuori quasi tutto. Ho ricevuto un sacco di email da negozianti incazzati perché il disco non aveva nemmeno fatto in tempo ad arrivare nei negozi. Per carità, sono solidale con i negozi. Il problema è che un venditore al dettaglio compra cinque o dieci copie, con un investimento di cento euro. Io ne ho investiti ventimila, e non mi posso permettere rimanenze di magazzino. È tutta una questione di rientrare dall’investimento e avere abbastanza liquidità per quelli successivi. Ai negozi vanno le ristampe successive.
In questi casi l’ideale non sarebbe mantenere in stampa i dischi?
Be’ sì, potrei non numerare le copie ed evitare il gioco dell’edizione limitata. Però con le ristampe devi sempre dichiarare alla major quante ne fai in anticipo, allora a quel punto tanto vale fare una versione un po’ più lussuosa, numerata a mano, con un inserto particolare, per i veri fanatici. Poi se la domanda non cala arriveranno le stampe successive (non numerate). Poi c’è da dire che questa cosa succede con tre uscite su cento, le altre vendono assolutamente nella media. Capita solo in casi davvero eccezionali. Ho un magazzino pieno di dischi, io.
È il paradosso della “bolla del vinile”.
La cosa incredibile è che tante persone mi comprano i dischi e poi non li aprono nemmeno. Vogliono solo avercelo, magari non hanno nemmeno il giradischi. È un totem, è grande, è pesante, è bello. Mi è capitato che alcuni mi scrivessero dicendo “bellissima edizione”, al che io rispondessi: “hai visto la foto dentro?” e loro: “Non ho neanche tolto il cellophane—ho visto l’interno su Discogs”. Pazzi! I dischi più popolari poi, li rivendono a cifre folli. Questo succede con l’hip-hop. Lì devo aprire i pre-order comunicando l’ora in anticipo, perché finiscono immediatamente. Con Neffa e Fritz Da Cat è successo che appena annunciato il sold out o ancora prima, i dischi si trovassero su Ebay a cento euro. Un trucco da addetto ai lavori: a quel punto non è ancora il momento di ristampare. Bisogna aspettare che passi la febbre del dopo sold out, quando tutti dicono “ah cazzo me lo sono perso, lo volevo”, ma in realtà pochi di questi faranno davvero l’acquisto quando la ristampa sarà pronta. Per cui aspetto sempre che si calmino un po’ le acque prima di valutare la domanda e decidere se mandare in stampa una seconda infornata o no.
Una cosa che ho notato è che ristampando album indirizzati non a un pubblico di conoscitori del vinile, ma a un pubblico che si avvicina al formato per la prima volta, la tua bacheca di Facebook sembra una pagina di Amazon, con la gente che si lamenta della spedizione, la gente che manda feedback positivo… Per chi come me è abituato alle distro e alle etichette super indipendenti, fa sorridere.
La cosa più divertente è capitata con la ristampa di Chicopisco di Neffa, che è uscito in 12” a 45 giri. La gente mi scriveva: “Questo disco è stampato di merda, la voce di Neffa è scurissima! Non è la sua voce!” Ho dovuto rispondere ad ognuno: “Hai provato a farlo girare a 45?”
Ahahah!
In generale mi capitano molti giovanissimi che sono abituati a ricevere tutto subito, non capiscono il concetto di pre-order, mi stanno addosso come se fossi io personalmente a consegnare i dischi. Aggiungici il fatto che sono spesso convinti di ordinare da una realtà enorme con tanto di customer care, quando in realtà sono io a rispondere dal garage dove faccio le spedizioni nel tempo libero dal mio lavoro (sera e notte)… I corrieri poi non aiutano molto. Comunque il 99% dei clienti non ha nulla da recriminare.
E nel 2016, come procede l’etichetta?
Vado avanti. Sono pronto per annunciare una nuova serie in partenza a maggio, si chiamerà Spettro. Mi aiutano a curarla Luca Barcellona a.k.a. Lord Bean e Fritz Da Cat. È il motivo per cui sono qui a Milano oggi, ho appena finito un incontro con loro. Faremo ristampe di colonne sonore anni Settanta. Le prime uscite saranno tra maggio e giugno e di sicuro ci saranno Ennio Morricone e Gianni Ferrio. Oltre alle soundtrack pubblicheremo anche library music. È stato un lavoraccio perché si tratta di un’altra nicchia rispetto a quello con cui abbiamo lavorato adesso. La ricerca per l’artwork, contattare i detentori dei diritti… L’ispirazione è venuta da etichette che mi piacciono molto, come ad esempio Death Waltz, Mondo, che si comprano i diritti in Italia e fanno ristampe fighissime di colonne sonore come Zombie Holocaust, cose del genere. Proprio come per le cose hip-hop, sono partito con l’idea di ripubblicare grandi classici. Poi ho visto che Mondo fa anche colonne sonore meno di nicchia come Oblivion, Jurassic Park, Ritorno al Futuro—sempre edizioni bellissime. E allora ho pensato: magari sarebbe bello fare anche colonne sonore diverse…
Magari italiane…
Bravo. Infatti a maggio uscirà Lo chiamavano Jeeg Robot.
Colpo di scena!
È notizia di ieri. È un rischio, ma ho deciso di provarci. Con l’hip-hop sta funzionando anche la roba nuova. Per prima cosa, di immagini per fare una bella edizione ce ne sono a volontà: locandine, promozione, foto dal set, figurati. Secondo: becchi un pubblico tutto diverso, quelli che si sono affezionati al film. Sono tra i primi a fare questa cosa. Per adesso l’unica colonna sonora italiana moderna in vinile è Diaz. Sono carico perché è un territorio inesplorato, e in più la colonna sonora di Jeeg Robot mi piace molto.
Però sulla library music un po’ di concorrenza c’è, vedo spesso ristampe interessanti di questo genere.
Sì, però c’è anche tanto di quel materiale che c’è spazio per tutti. E poi non capisco se è perché altre etichette sono più piccole della mia e non si possono permettere una programmazione a lungo termine o se è una questione di organizzazione, ma nelle mie ricerche ho trovato un vasto catalogo ancora da esplorare. Abbiamo già diverse uscite in programma per quest’anno. Abbiamo contattato un grafico per un redesign delle copertine, e siamo quasi pronti a partire.
Il tuo approccio è interessante: estremamente professionale, ma sembra che tu non voglia che diventi il tuo primo lavoro. È una questione di comodità, passione, sicurezza?
Da un lato mi fa piacere avere un lavoro fisso, un contratto, uno stipendio mensile. Dall’altro, ho paura che, decidendo di vivere soltanto dell’etichetta, sarei costretto a scendere a dei compromessi troppo estremi. Finché si tratta di collaborare con realtà che non sono esattamente la mia, ma che comunque mi interessano e mi incuriosiscono, va bene. Ma non mi va di pubblicare dischi di merda solo perché vendono, perché devo pagare il commercialista. Ho rifiutato moltissime offerte. Adesso sto ridisegnando il sito, ispirandomi al modello della Warp. L’unica espansione in senso commerciale a cui mi viene da pensare è, se il nuovo online store dovesse funzionare particolarmente bene, di distribuire dischi di realtà affini. Sto cercando di creare un sito molto curato, molto essenziale, che sia funzionale alla vendita dei dischi.
La professionalità è spesso associata a una certa freddezza.
Io ormai mi sono creato un’isola tutta per me. Non vengo nemmeno più giudicato per la musica che faccio uscire, sono più una specie di consulente vinilico per le etichette che mi passano le licenze. Senza accorgermene, mi sono ritrovato a fare un lavoro da ricercatore che mi piace tantissimo. Quando ascoltavo le ristampe della Soundway, della Strut, della Soul Jazz, della Sounds of the Universe, dicevo sempre: “che figata di lavoro”. Mi sono reso conto che a me non piace l’aspetto discografico di spingere il gruppo, mandarlo in radio, aiutarlo a trovare concerti, trovare l’agenzia di booking perché diventi più famoso… non mi interessa per nulla. A me piace l’idea di riprendere la vecchia edizione del disco, con la copertina e tutto, e risistemarla, chiamare qualcuno di competente perché scriva le note di copertina—come i dischi Blue Note e Verve, con il retro tutto scritto. Quando ho fatto i CSI mi hanno mandato svariati giga di foto d’archivio. Ho passato la serata a scorrerle tutte, erano fighissime. La stessa cosa è successa con i Massimo Volume e con i Marlene Kuntz. Mi ricordo che ero rimasto mega soddisfatto. Insomma, mi piace un casino mettere le mani nel passato dell’Italia. Il mio sogno sarebbe andare a riprendere le musiche popolari e fare delle edizioni da paura di vecchia musica popolare italiana, come fa la Sounds of the Universe che va in Ghana o in Congo a scovare robe incredibili e ne fa edizioni in vinile strepitose.
Pensa che ne parlavamo proprio all’interno della redazione di Noisey. Sembra che nell’ambiente musicale siamo tutti affascinati dalle musiche tradizionali di altri Paesi, ma ci sia un problema quasi psicologico (o antropologico) con la musica tradizionale nazionale.
Ma certo, è così per tutti. Io per adesso sto cominciando a scoprire certe cose grazie al nuovo lavoro con Spettro. Però mi piacerebbe andare, per esempio, in Campania, e scavare un po’ negli archivi di dischi locali. Come fa il tizio della Soundway, che passa ore e ore a rovistare nelle cantine della gente, ne tira fuori una manciata di 7”, li ripulisce, li sistema, li compila e improvvisamente gente come me ha un compendio della musica, che ne so, del Kenya. E il disco ha un’edizione super curata che contestualizza tutto per criteri socioculturali, politici, storici. Leggo, guardo le foto, e ascolto. Il mio sogno sarebbe farlo per l’Italia. Fare il giro delle regioni e tirare fuori i 45 giri dimenticati, remastering, note di copertina, belle foto… Figata, sì, ma se li comprerebbe qualcuno? Questo è quello che mi gira in testa al momento.
Tornando alla tua politica discografica: il futuro non ti interessa?
No. È inutile fingere, avere un’etichetta tradizionale che produce musica nuova oggigiorno non mi interessa. A me piace fare dischi belli e importanti, ma la scena musicale di oggi è usa-e-getta, sono tutte pedine con una data di scadenza. È una festa del narcisismo, mode e corsi e ricorsi talmente veloci che è impossibile starci dietro. Mi stufa, mi stufa da matti. È uno sforzo incredibile che poi non mi dà soddisfazione.
Allora per concludere, facciamo un riepilogo dei prossimi progetti di Tannen.
Ah, mi ero dimenticato di parlarti di un’altra novità! Apro una serie internazionale, prima uscita: il nuovo album dei Kill The Vultures.
Che bomba, sono un loro grande fan.
Sì, sono molto contento anch’io.
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