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6ix9ine “amico delle guardie”?

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È di qualche giorno fa la notizia che il rapper Daniel Hernandez, conosciuto come Tekashi 6ix9ine, si è dichiarato colpevole di nove capi di accusa durante il processo in corso contro di lui e i suoi affiliati dei Nine Trey Gangsta Bloods. Ma perché l’ha fatto, e che cosa succede ora?

Procediamo con calma. Le accuse per cui 6ix9ine sta patteggiando sono varie, ma quelle fondamentali sono: l’appartenenza alla gang criminale Nine Trey Gangsta Bloods; l’agguato a Chief Keef; rapina a mano armata ai danni di una gang rivale; traffico di droga (in particolare di un chilo di eroina). La pena minima, per questi capi di imputazione, sarebbe 47 anni di reclusione. Il patteggiamento, vista anche la mole di prove a suo carico (che vanno da armi e refurtiva a video sui social network e intercettazioni), è stato accettato nell’ottica di ridurre la pena.

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Il problema di ammettere la propria colpevolezza in tribunale è che nel processo a 6ix9ine sono coinvolti altri dieci membri della gang. Visto che una delle accuse è quella di far parte della “gang criminale” Nine Trey Gangsta Bloods, dichiarandosi colpevole Tekashi certifica che l’attività della gang è espressamente criminale, rinforzando l’accusa rivolta ai suoi ex-soci; inoltre, nell’ottica di collaborare alle indagini per ridurre la propria pena, il rapper dovrà raccontare la propria versione di una serie di episodi (come, appunto, il tentativo di omicidio di Chief Keef) finendo inevitabilmente per coinvolgere altre persone.

Del resto, come riporta Complex, i rapporti tra 6ix9ine e la sua crew non erano per nulla idilliaci già prima dell’inizio del processo, quando il rapper aveva parlato pubblicamente del licenziamento del suo staff ai microfoni del programma radio The Breakfast Club, tanto che in aula lui non siede con gli altri imputati, ma in una zona separata, per questioni di sicurezza. Inoltre, visti i reati contestati, il background e la impressionante percentuale di condanne del sistema giudiziario americano (93 percento), per gli altri accusati le speranze di salvarsi dalla condanna erano infinitesimali. Questo tipo di considerazioni devono aver spinto 6ix9ine e il suo avvocato ad accettare il patteggiamento.

Ora che cosa succede? Succede che si aspetta un anno per la sentenza definitiva, un anno durante il quale il rapper dai capelli arcobaleno dovrà senza dubbio guardarsi le spalle dentro e fuori dal carcere, perché ovviamente né nel mondo delle gang né in quello del rap è esattamente ben vista l’idea di confessare, collaborare con la giustizia e mettere nei guai i propri soci.

Immediatamente dopo la notizia, i social network di 6ix9ine sono stati inondati di insulti, accuse e minacce. C’è chi si augura che Chief Keef si vendichi dentro o fuori dal carcere, chi lo chiama “6nitch9ine”, chi lo dà per morto. Snoop Dogg ha pubblicato un video su Instagram in cui lo prende in giro per aver fatto la spia, dicendo: “Questi n***i sono dei ragazzini, man. Da dove vengo io non si fa il nome di un altro n***o. […] Quanto si beccherà per aver snitchato? Gli daranno la libertà vigilata per aver snitchato”. Meek Mill ha twittato: “Che peccato. 🤦🏾‍♂️ Quando sono tornato a casa tutti mi dicevano che aveva gente a posto a sostenerlo e mi chiedevo come facesse. Dovreste smetterla di correre dietro ai rapper comportandovi come se foste pronti a buttare via la vostra vita per qualche stupidata… Mi sentivo che sarebbe successo da un bel po’ 😖”.

E così, anche in un 2019 in cui la cultura hip hop è praticamente dappertutto, in cui il rap è ormai stato sdoganato per qualunque tipo di pubblico, questo episodio riporta a galla una concezione della cultura primordiale, risalente a quando il rap game si giocava ancora nei ghetti dell’America nera. È uno strano cortocircuito quello in cui uno come Tekashi, che ha giocato col fuoco di una vita da criminale ed è rimasto bruciato, diventa un caso di gossip internazionale tale che se ne può sentir parlare al bar sotto casa in Italia. In questo momento vediamo il codice culturale e linguistico gangsta uscire dai projects ed entrare nei cellulari di chiunque, in tutto il mondo. Che cosa vuol dire infamare? Che cosa avremmo fatto noi al suo posto? Che cosa significa essere poveri e non-bianchi in una grande città americana? Che cos’è davvero una gang o, come la chiama Killer Mike nella sua affascinante serie su Netflix, una street fraternity? Queste sono tutte domande che ci auguriamo la gente si ponga prima di ripetere a pappagallo quello che dicono persone come Snoop Dogg, cresciute con una formazione completamente diversa.

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