Salute

Trentenni spiegano come hanno capito di avere un problema con l’alcol

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La Romania ha uno dei più alti tassi di consumo intensivo di alcol d’Europa. Eppure, crescendo qui pensi sempre che non succederà proprio a te o a un tuo caro. I media in questo paese rappresentano gli alcolisti solo come uomini anziani che bevono robaccia di bassa qualità finché non perdono la ragione e vengono abbandonati da tutti. Questi stereotipi hanno una funzione rassicurante: se non rispondi a queste caratteristiche, puoi evitare di farti domande difficili.

Ma la dipendenza dall’alcol può colpire chiunque, indipendentemente da classe, genere, credo ed età. Adrian Marcu, psicologo dell’Alleanza per la Lotta contro Alcolismo e Dipendenza da Droga (ALIAT), dice che è più comune sviluppare un problema di alcolismo da giovani e se si è cresciuti con parenti che a loro volta abusano di alcol.

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“In queste condizioni, il consumatore genericamente ha una struttura emotiva più fragile,” spiega Marcu. “In assenza di alternative salutari per gestire in autonomia emozioni e pressioni sociali, si rivolgono all’alcol come meccanismo di ricompensa e rilassamento.”

La maggior parte dei casi di dipendenza dall’alcol comincia come strategia di adattamento, ma si aggrava rapidamente fino a diventare un problema impossibile da gestire senza aiuto esterno. “L’alcolista vuole proteggere la sua dipendenza perché lo fa sentire bene,” prosegue Marcu. “Vuole bere per convincersi di avere il controllo.” Per questo molte persone ricorrono a negazione—tipo “Non ho nessun problema”—, razionalizzazione—tipo “Mi merito di bere perché sono triste”—e manipolazione di chi sta loro intorno. Molte si ritirano e smettono di comunicare con i propri cari.

Il processo di recupero comincia con la consapevolezza che il tuo modo di bere ti fa male. “Il secondo passo è assumersi la responsabilità,” elenca Marcu. “E se non sei in grado di farlo in autonomia, puoi rivolgerti ad amici, familiari, esperti o gruppi di sostegno.” Invece di considerarla una vergogna o una debolezza, la dipendenza andrebbe trattata come una malattia, per cui la persona che ne soffre ha bisogno di cure, comprensione e supporto, in particolare nel momento in cui prende consapevolezza della diagnosi.  

Ho parlato con alcune persone giovani che di recente hanno capito di essere dipendenti dall’alcol. Mi hanno raccontato le loro storie e come sono riuscite a smettere. A causa dello stigma collegato all’alcolismo, mi hanno chiesto di usare nomi di fantasia, tranne Vlad.

“Bevevo ma non mi sentivo mai bene il giorno dopo, quindi non capivo perché continuassi a farlo.” Mihaela, 34 anni

“Sono cresciuta in una famiglia disfunzionale,” esordisce Mihaela. “Abbiamo avuto così tanti problemi a causa dell’alcol che lo consideravo un veleno, mi disgustava.” Dopo averlo provato a 17 anni, Mihaela si è tenuta lontana dalle bevande alcoliche per anni, perché non le era piaciuto quanto rapidamente si era ubriacata e come si era sentita il giorno dopo.  

Poi, a 28 anni, ha iniziato a bere sempre di più per sfuggire a un episodio di depressione. “Volevo uscire con gli amici il più possibile per perdermi nel rumore, per scappare,” racconta. “Bevevo di tanto in tanto, ma non mi sentivo mai bene il giorno dopo, quindi non capivo perché continuassi a farlo.”

Sei mesi dopo ha deciso di smettere di bere. Ma trascorso un altro paio d’anni, 30enne, ha attraversato un periodo di profonde crisi che l’hanno spinta di nuovo verso la bottiglia. “Un pomeriggio, mi feci una birra a stomaco vuoto,” ricorda Mihaela. “E quello fu l’inizio di un periodo di alcolismo durato quasi tre anni.”

Mihaela ha perso rapidamente il controllo: tre settimane dopo quella prima birra, era già arrivata a bere quotidianamente e, poco dopo, ne aveva bisogno non più di due ore dopo essersi alzata dal letto. Ha perso il lavoro, poi la patente. Ha provocato un incidente da ubriaca ed è stata portata in manette all’ospedale psichiatrico.

“Finii al pronto soccorso con un’insufficienza epatica,” dice Mihaela. “I dottori mi dissero che se avessi continuato così sarei morta. Ma la vita mi faceva schifo, quindi che problema c’era?” 

Durante la pandemia, Mihaela si è rivolta ad alcuni gruppi di sostegno, ma senza successo. “Non avevo più speranza, aspettavo solo la morte,” racconta. Ma a Capodanno, anche se era ubriaca, ha deciso di contattare gli Alcolisti Anonimi. “Non so come, ma il giorno dopo mi sono svegliata con il desiderio di smettere,” ricorda. “Ero disposta a fare assolutamente qualunque cosa. Ho continuato a seguire il gruppo di aiuto e, dal primo gennaio di quest’anno, sono rimasta sobria.”

Mihaela è stata capace di rinunciare all’alcol senza intervento medico, ma non è stato facile e ha avuto alcune ricadute. “Anche all’interno del gruppo ho pensato di mentire qualche volta, ma poi ho capito che siamo tutti nella stessa barca.”

“Un buon amico mi disse: ‘Quei dottori ti hanno salvato per niente.’ Fu un grosso dolore.” Radu, 37 anni

Radu ha iniziato a bere con gli amici quando era alle superiori, ma la cosa non si è mai trasformata in un problema finché non stava per iniziare il dottorato, a 25 anni. “Mi ero innamorato profondamente, ma purtroppo la relazione finì dopo tre mesi,” dice. “Fino a quel momento non ero stato tentato dall’alcol, ma avevo un coinquilino che ne teneva sempre una grossa riserva in casa. Lui tornò dai suoi per Pasqua e io mi bevvi tutto in pochi giorni. Da quel momento iniziai a bere con uno scopo: riempire il vuoto.”

In poco tempo, il problema di Radu è diventato cronico e ha cominciato ad avere serie ripercussioni sulla sua vita e su quella degli altri. È finito varie volte all’ospedale dopo essere caduto in strada senza essere in grado di rialzarsi. “Una volta mi portarono all’ospedale psichiatrico,” ricorda. “Fu un duro colpo rendersi conto che le persone dipendenti dall’alcol e quelle con problemi mentali venivano trattate nello stesso posto.”

Radu prometteva in continuazione di smettere, ma poi ricominciava. Il giogo della dipendenza si è fatto così stretto da spingerlo a cercare di togliersi la vita. “Chiamai i miei, dissi che avevo preso tutte le pastiglie e riattaccai,” dice. “Arrivò un’ambulanza e mi salvò la vita, ma due settimane dopo mi ubriacai di nuovo. Un buon amico mi disse: ‘Quei dottori ti hanno salvato per niente.’ Fu un grosso dolore. Capii che non ce l’avrei mai fatta da solo.”

Finalmente, dopo sette anni di consumo compulsivo di alcol, Radu si è rivolto agli Alcolisti Anonimi e, dopo il primo incontro, è riuscito ad ammettere di avere un problema. “Scelsi la strada dell’astinenza totale, non c’era altro modo,” dice. “Il senso di appartenenza mi ha aiutato, sapere che tutte quelle persone erano riuscite a smettere insieme.”

Radu non beve dal 2018, ma si considera ancora alcolista. “Mi sono sempre sentito e continuo a sentirmi solo e incompreso,” dice. “Ecco perché vado sempre agli incontri: per aiutare gli altri condividendo la mia esperienza e per dare loro speranza e forza. Dovrò vivere con questa malattia per il resto della vita e convincermi a tenere duro ogni giorno.”

“Mi presentai alla camera ardente ubriaco. Chi se ne frega di quanta ansia mi procurasse quella situazione, il nonno non si meritava di salutarmi in quelle condizioni.” Vlad, 33 anni

Vlad ha iniziato a bere a 27 anni, dopo la fine di una relazione. “Mio nonno aveva l’Alzheimer, la mia famiglia era sull’orlo della disperazione, ‘ansia’ era il mio secondo nome,” racconta. “In parole povere, pensai di curarmi con l’alcol.”

Quando suo nonno è stato ricoverato in un ospizio, Vlad ha cominciato a bere sempre di più. Un giorno aveva appuntamento con lo psicoterapeuta del nonno per pagarlo, ma prima ha fatto tappa al supermercato. “La signora da cui di solito compro formaggio e uova quel giorno vendeva il suo brandy fatto in casa,” dice. “Quando mi presentai all’appuntamento, ne avevo già bevuto mezzo litro. ‘Stai attento, si vede che hai bevuto,’ mi avvertì lui. Mi vergognai come un ladro.”

Suo nonno è morto sei mesi dopo. Quella mattina, Vlad non ha risposto al telefono, incapace di svegliarsi dopo aver passato la notte a bere. “Mi presentai alla camera ardente ubriaco,” racconta. “Chi se ne frega di quanta ansia mi procurasse quella situazione, il nonno non si meritava di salutarmi in quelle condizioni.”

Per i due anni successivi, Vlad ha continuato a bere alcol da due soldi diluito con l’acqua o il succo, uno shot ogni poche ore per calmare l’ansia. “È così che va quando l’unica cosa che ti interessa è alcolizzarti e sei povero,” dice.

Poi ha iniziato a smettere gradualmente, a bere soltanto ai pasti, anche se durante la pandemia ha avuto alcune ricadute. Dal 2021, beve soltanto occasionalmente, “una birra ogni tre o quattro giorni,” sostiene.

“Sono anni che non mi ubriaco davvero,” prosegue Vlad. “La psicoterapia è stata la cosa che ha funzionato meglio su di me. Per ora, posso dire che sono fuori dal club degli ubriaconi. Guardandomi indietro, non rimpiango le mie esperienze.”

“Quando i miei amici cercarono di avvertirmi che avevo un problema, risposi che era il mio modo di rilassarmi.” Alexandra, 33 anni

“Iniziai a bere alcol quando ero piccola—mi davano sempre un sorso prima dei pasti per farmi venire appetito,” racconta Alexandra. “Mio padre era alcolista, probabilmente ho preso da lui.”

Il problema di dipendenza di Alexandra è iniziato quando era appena adolescente. Una volta ha bevuto così tanto da finire in coma etilico a casa sua. “Ricordo che mia madre mi teneva la lingua fra le dita per non farmela ingoiare,” dice. “Non voleva chiamare l’ambulanza perché aveva paura che i vicini lo venissero a sapere. Fortunatamente mi ripresi.”

All’università, bere è diventato un’attività quotidiana per Alexandra. È arrivata a consumare anche otto birre o più di una bottiglia di vino a sera. “Non me ne accorgevo, ma ero dipendente,” dice. “Quando i miei amici cercarono di avvertirmi che avevo un problema, risposi che era il mio modo di rilassarmi. Mentii. A loro e a me stessa.”

Intorno ai 30 anni sono arrivati i primi problemi di salute. “Mettevo su peso, dormivo male, faticavo a esprimere a parole quello che pensavo,” dice. “Ora vedo la differenza, ma allora non avevo un metro di paragone, perché la tossicità era la mia normalità.”

Prima Alexandra è riuscita a smettere per due settimane, ma è diventata del tutto inappetente. Ha perso un sacco di peso, è andata in terapia, ma poco dopo ha ricominciato a bere. “Dopo essere ingrassata di nuovo molto rapidamente, mi irrigidivo a ogni movimento improvviso,” dice. “I dottori mi dissero che la pressione sulla mia colonna vertebrale era troppo alta, così iniziai a fare palestra per perdere peso.”

L’anno scorso, Alexandra ha capito che non poteva continuare a bere e fare ginnastica allo stesso tempo. Per gestire le crisi d’astinenza, all’inizio faceva i gargarismi con il vino e poi lo sputava, ma dopo sei mesi ha potuto smettere di fare anche quello. “Sono riuscita a ridurre drasticamente il consumo fino a livelli normali,” dice. “Bevo ancora di tanto in tanto, ma soltanto in situazioni sociali. Ho raggiunto l’equilibrio.”