Sono tre le cose che devo tenere sempre nello stesso posto per non avere problemi—il cellulare: se non è sempre nello stesso posto poi non lo ritrovo fino alla prima chiamata che ricevo (sempre che ne riceva una prima che finisca la batteria); le mie medicine: se non sono nello stesso posto non ricordo se le ho prese o meno la volta prima e dovendole prendere cinque volte al giorno sono cazzi se in 22 anni di malattia non riesci a escogitare un sistema mnemonico adatto; le chiavi di casa: svuota tasche di fianco al computer, diversamente son costretto a rimanere in casa perché non sarei capace di ritrovarle e quindi non potrei rientrare. Del resto, le chiavi mi servono se voglio uscire per poter rientrare.
Dentro di me c’è un bambino verde che sta invecchiando male per tenere a mente tutte queste e altre cose. La mia ragazza lascia tutto ovunque: chiavi di casa, telefono, documenti, abbonamento della metro.
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Ogni volta prima di uscire parte quello che io credevo essere un rito: la ricerca di quanto serve per affrontare il mondo fuori da casa. Inizialmente partecipavo alla cosa innervosito, ora osservo (sta succedendo anche in questo istante) con ammirazione. Non è un rito, è lasciare le piccole cose al caso, e se riuscirò a farlo pure io un giorno il bambino sarà meno verde.