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Questo documentario vi spiegherà l’arte del ramen

Ramen Heads non è nato per intrattenere il pubblico giapponese. Il suo ideatore, Koki Shigeno, sapeva che la maggior parte dei giapponesi avrebbe subito capito il punto fondamentale di tutto il documentario, e cioè che il ramen non è un cibo pronto bensì un mezzo di espressione artistica.

Infatti l’audience principale di Shigeno era – ed è – europea e americana, come spiegato da lui stesso a marzo. “Ho deciso di dare vita a questo documentario per spiegare a chiunque non viva in Giappone cosa sia realmente il ramen,” mi aveva detto. “Penso aleggino parecchie incomprensioni attorno al ramen”.

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Secondo Shigeno il ramen è “vittima” di un’immagine piuttosto discostante dalla realtà, perché la percezione occidentale lo incasella nel reparto dei cibi pronti, facili da preparare e soprattutto economici, mentre in Giappone sono innumerevoli gli chef che preparano questo piatto con diligente considerazione.

Ramen Heads, debuttato a New York e Los Angeles il 16 marzo, parte proprio da questa percezione errata per portare un po’ di ordine nell’industria culinaria, sperando di riuscire a dare il giusto credito sia alla complessità del ramen sia a tutti quegli chef (amatoriali e non) che hanno dedicato la propria vita alla sua preparazione.

documentari ramen americano
Osamu Tomita

Uno di questi chef, nonché protagonista del documentario, è Osamu Tomita. La grande avventura di Tomita con il ramen è iniziata quasi dieci anni fa con l’apertura del suo ramen shop, il Tomita, ora divenuto uno dei luoghi culto di tutti gli appassionati di ramen (e questo fa del proprietario un vero e proprio idolo per i giapponesi).

Per riprendere tutti i segreti di Tomita ci sono voluti circa 15 mesi, dal luglio del 2015 al settembre del 2016, e non è sempre andato tutto liscio. Nel raccontarmi delle giornate di ripresa Shigeno mi ha rivelato le difficoltà (seppur minime) in cui è incappato. Riguardavano tutte la natura “privata” e intima del lavoro di Tomita, le cui abitudini quotidiane non contemplano telecamere sempre pronte a filmarlo.

“I giapponesi, specialmente se di professione artigiani come gli chef del ramen, sono timidi. E anche molto tranquilli e silenziosi, è difficile capire cosa provino realmente”.

ramen heads

Nonostante ciò, Shigeno è riuscito a trasmettere la passione di Tomita sul grande schermo, anche perché la dedizione e la cura che lo chef ripone nella preparazione del ramen non sono assolutamente comuni né scontate. A completare i 90 minuti del documentario, chiaramente, ci sono anche succulenti inquadrature di cibo. Tra spezzoni di sgombri e cucchiaiate di dashi, tutti gli ingredienti diventano co-protagonisti di Ramen Heads, poiché secondo Shigeno quando si tratta di ramen niente può essere considerato un ingrediente secondario.

L’impegno di Shigeno era esattamente quello di riuscire a collocare Tomita in un contesto più ampio, la cui cornice rimane quella della storia del ramen e della sua evoluzione dal 1910. Tomita appartiene, infatti, a una recente generazione di pionieri del ramen che ha contribuito notevolmente alla nascita del ramen moderno giapponese, fra i cui vanti c’è la sperimentazione di “una moltitudine sfrenata di stili e sapori diversi”.

Tomita, padre sposato di mezz’età, non è più il ragazzino incasinato cresciuto a Ibaraki. All’epoca non era bravo né a scuola né con gli sport e così, finito il liceo, si era lanciato nel settore delle costruzioni edili. Dato il senso di vuoto che quelle giornate lavorative gli lasciavano, in un momento d’autocommiserazione estrema era corso al Taishoken Ramen House, gestito dal leggendario ramen chef Kazuo Yamagishi.

documentario ramen

Non sorprende, perciò, che la visita si sia rivelata una sorta d’epifania culinaria per Tomita, che non aveva mai creduto che del semplice ramen potesse risultare così delizioso. Iniziato e finito il periodo d’apprendistato da Yamagishi, Tomita non poté far altro che aprire il proprio locale senza sapere che, un giorno, lui stesso sarebbe diventato una divinità del ramen venerata da innumerevoli chef.

Uno dei suoi più grandi devoti è Keizo Shimamoto, proprietario del Ramen Shack di Brooklyn (che forse conoscerete anche per via dell’ormai celeberrimo ramen burger). “Lo zelo, l’etica e la bravura mostrate da Tomita non sono solamente impressionanti, ma anche ammirabili,” mi ha scritto Shimamoto in un’e-mail. “Ricordo ancora la prima volta che ho provato un suo piatto di ramen 8 anni fa, dopo aver aspettato un’ora in coda: ne sono rimasto subito estasiato”.

Le speranze di Shimamoto verso Ramen Heads convergono tutte nell’immagine finale che il documentario potrebbe dare al ramen e alla sua preparazione, poiché si tratta di una disciplina seria e intricata. “La passione di Tomita per il suo lavoro si riflette, inevitabilmente, nel frutto del suo lavoro stesso. Nel mio lavoro io cerco di seguire i suoi passi”.

Per quanto riguarda Tomita, invece, vedere la propria storia trasposta sullo schermo è stato surreale, anche perché per lui la parte più difficile di tutte le riprese è stata, appunto, essere ripreso. Non era abituato alle telecamere, né al fatto che lo seguissero a ogni mossa. “C’è stato un momento in cui ho cercato di risultare bello e piacevole,” mi ha detto “poi però mi sono ripreso e son tornato a essere quello di sempre”.

chef del ramen
Tomita (al centro) e i suoi chef

Nonostante gli impacci e gli imbarazzi, quei 15 mesi di riprese hanno cambiato il modo in cui Tomita guarda al suo lavoro. “Adesso sono più consapevole di come le persone vedano e sentano il mio comportamento. Io stesso percepisco il mio lavoro e le mie abilità in modo più professionale“.

Dopotutto se lo merita: ha riposto anima e corpo nella preparazione del ramen ed è bello che tutto il mondo lo veda e, soprattutto, lo sappia.

Ramen Heads è stato proiettato in antremima a New York e Los Angeles il 16 marzo 2018.

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Questo articolo è originariamente apparso Munchies US.