È novembre, il lunedì prima del Ringraziamento, e David* si trova bloccato nel traffico tornando a casa dal lavoro. D’improvviso, mentre guida, ha una specie di rivelazione: tutto quello che gli accade sembra ‘filtrato’ dal suo cervello, interamente soggettivo, e forse completamente di sua invenzione.
“Non un pensiero unico o profondo, sicuro… mi sono sentito come se il mondo mi scappasse da sotto i piedi, ero in preda al panico—ero sicuro che, se l’avessi permesso, sarei potuto impazzire in qualsiasi momento,” mi dice. Ha abbassato il finestrino, acceso la radio, e lentamente è arrivato a casa.
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Quella notte non è riuscito a dormire. Era molto stanco, ma ogni volta che stava per addormentarsi arrivava una botta di energia a risvegliarlo. “Ero molto scosso, mi faceva male il petto e avevo la nausea,” dice. “È andata avanti così per sei giorni, durante i quali ho dormito in tutto sei ore. Domenica sera sono andato al pronto soccorso.”
David aveva un’idea di cosa gli avesse causato l’attacco di panico: la meditazione.
Aveva cominciato a meditare nell’agosto del 2017. A iniziarlo alla meditazione è stato un libro, The Mind Illuminated di John Yates, e poi Mastering the Core Teachings of the Buddha di Daniel Ingram. Ha cercato di non esagerare. La prima settimana faceva 30 minuti al giorno di meditazione, un mese dopo due sessioni da 60 minuti, una la mattina e una la sera.
“Una cosa che ho notato, e in retrospettiva è molto più chiaro, è che mi sono isolato,” dice. “Ho cominciato a perdere un po’ di interesse nella vita. Ho smesso di suonare la chitarra, ho smesso di ascoltare musica, e cucinare per la mia famiglia è diventato una specie di dovere.”
David ha smesso quasi subito di meditare, ma non è migliorato. L’insonnia non passava nemmeno con i farmaci, e durante il giorno lottava con l’ansia.
“Avevo nausea, dolore allo stomaco e al petto, e un diffuso terrore esistenziale,” dice. “Ha completamente distrutto il mio mondo emotivo. Mi sentivo distrutto anche io. Avevo un lavoro, una moglie e due bellissimi figli, ma mi sembrava che non avrei mai più provato gioia nella mia vita.”
Ma la meditazione non dovrebbe essere la più antica cura per i dolori della nostra esistenza? Oltre a offrire un modo ‘secolare’ di avvicinarsi alla spiritualità, la meditazione ha anche una base scientifica e offre benefici per la salute dimostrati empiricamente. Ci sono cure a base di mindfulness per stress, dipendenze, dolore cronico, disturbi dell’umore, disturbi psichiatrici e altre patologie, tutte con risultati promettenti. iTunes è pieno di app di meditazione e mindfulness. La mindfulness può anche metterti a posto la vita sessuale.
Nonostante tutto questo hype, spesso legittimo, a volte la meditazione può andare molto male. In alcune persone può causare cambiamenti permanenti di personalità e umore. Per questo un piccolo gruppo di esperti e appassionati sta facendo notare che non sempre fa bene alla psiche.
Willoughby Britton, direttrice del laboratorio di neuroscienze della Brown University, gestisce un gruppo di sostegno per persone come David—persone per le quali la meditazione è stata causa di crisi psicologiche e fisiche. Ogni settimana cresce il numero di persone che la contattano per chiederle aiuto. “Sono moltissimi,” dice.
Il gruppo si ritrova online, dove persone di ogni età ed estrazione sociale, da nove diversi fusi orari, cercano supporto nella compagnia di altre persone colpite dagli effetti negativi della meditazione.
Più del 75 percento delle ricerche sulla meditazione non prendono in considerazione né misurano gli effetti collaterali, mi dice Britton. L’anno scorso ha pubblicato il più grande studio sui problemi correlati alla meditazione, intervistando 100 insegnanti e altri appassionati con un’esperienza in prima persona di queste tematiche.
In quello studio, e in uno a cui sta lavorando ora, Britton delinea i sintomi comuni. C’è l’iperattività: un aumento di ansia, paura, panico, insonnia, flashback relativi a traumi, e instabilità emotiva. Ci può anche essere ipersensibilità, fotosensibilità e iperacusia. All’inizio può sembrare piacevole. I colori sono più vividi. Cominci a notare più cose. “Ma dopo un po’, all’improvviso i suoni diventano irritanti o non riesci a uscire di casa perché tutto diventa motivo di distrazione,” dice.
Può anche funzionare al contrario, si può provare ipoattività, sotto forma di dissociazione e sensazione di estraneità al proprio corpo, che risulta inesistente. “Molti parlano di assenza di emozioni ben al di là del desiderato, e perdita di motivazione o piacere,” mi dice Britton.
Dieci anni fa circa ha dato vita a Cheetah House, associazione specializzata nel prendersi cura di ‘meditatori’ in difficoltà. (Il nome viene dal termine citta che in sanscrito significa ‘mente’.) Britton viene contattata da centri di meditazione, insegnanti e utenti di app—che lei definisce “la nuova frontiera della meditazione non guidata per le masse.” (Gestori di app come Headspace e Calm non hanno risposto alle mie numerose richieste di commento.)
Come si può facilmente immaginare, Britton è piuttosto diffidente nei confronti dell’uso diffuso della meditazione come fosse un multi-vitaminico. “Mi sembra che questi programmi, le app o le persone stesse che la insegnano non si prendano davvero cura dei clienti, e non si assumano le giuste responsabilità,” spiega. “Se la gente arriva da me, è perché non riceve il supporto necessario dal proprio insegnante di meditazione.”
Diversi studi e dati confermano che la meditazione può portare a sensazioni di disagio: le tradizioni buddiste parlano degli effetti diversificati della meditazione. “Il termine nyams si riferisce a una vasta gamma di ‘esperienze meditative’—dalla gioia, alle visioni, fino ai dolori fisici, ai disturbi mentali, inclusi paranoia, tristezza, rabbia e paura,” scrive Britton nel suo paper del 2017. “Le tradizioni zen riconoscono da lungo tempo la possibilità che alcune pratiche possano portare a condizioni di disturbo prolungato, note come ‘malattie zen’ o ‘malattie della meditazione’.”
Alcuni esperti di meditazione la chiamano “la notte oscura,” anche se la definizione è utilizzata anche nella tradizione meditativa romana-cattolica, come scrive Shinzen Young, insegnante di mindfulness e consulente di neuroscienze.
“È quasi certo che chiunque intraprenda un percorso di meditazione serio debba attraversare fasi di emozioni negative, di confusione, disorientamento, maggiore sensibilità agli stimoli interni ed esterni,” scriveva Young nel 2011 nel suo blog. “Questo fenomeno all’interno della tradizione buddista è spesso descritto come la ‘caduta nel buco del vuoto.’ Comporta un’introspezione autentica e irreversibile nella vacuità e nell’assenza di sé. Quello che lo rende problematico, tuttavia, è che la persona lo interpreta generalmente come un effetto negativo. Invece di essere un momento di riscoperta e di pienezza, come sosterrebbe la letteratura buddista, si trasforma nell’esperienza opposta. In un certo senso, è il gemello cattivo dell’illuminazione.”
Young sostiene che per la maggior parte delle persone l’esperienza sia gestibile con un insegnante competente, e nonostante possano volerci anni per superarla, il risultato finale è in genere “quasi sempre estremamente positivo.” Ma per coloro che seguono la pratica in modo superficiale, “la caduta nel buco del vuoto” non è una situazione auspicabile.
Patrick*, 31enne del Tennessee, ha letto Wherever You Go, There You Are, di Jon Kabat-Zinn e ha preso in prestito alla biblioteca del quartiere anche l’audio-guida alla meditazione che accompagna il volume. Ha ascoltato i CD, grazie ai quali ha iniziato a praticare la meditazione body scan e respiratoria.
“Circa quattro o cinque volte a settimana facevo sessioni da 30 a 45 minuti, e non passava giorno senza che io meditassi,” mi dice. “Ho meditato ogni giorno per circa sette anni.”
A volte, mentre meditava sentiva una sensazione di vertigine, oppure si sentiva come se stesse guardando uno di quei cartelloni con illusioni ottiche. Si sentiva, in generale, meno stressato su tutto. “È come se avessi trovato la soluzione per vivere sereno e affrontare i problemi,” dice. “Quindi all’inizio era molto positivo.”
Poi, quando la sua ragazza ha iniziato a raccontargli dei propri problemi sul lavoro, Patrick ha cominciato a sentirsi molto distante da lei, “Non riuscivo a capire il suo problema.” In quel momento sono cominciate le preoccupazioni, sentiva che se avesse continuato a meditare sarebbe diventato una sorta di zombie. “Sarò ancora in grado di capire i problemi degli altri e le loro preoccupazioni?” si chiedeva.
Verso il marzo 2018, le cose cambiano. Patrick inizia a sentirsi molto emotivo, piange tanto, e deve combattere con pensieri invadenti. Sviluppa un’ossessione verso l’idea del trauma, e l’idea che possa avere una memoria repressa. È convinto che sia qualcosa del suo passato che deve averlo profondamente turbato e che oggi sta riemergendo a farlo sentire così male.
Inizia così a catalogare ogni cosa che ha fatto e di cui si vergogna, riesumando ogni minimo segreto. “Stavo cercando la ragione del mio profondo malessere,” spiega. “Perché non mi sentivo me stesso? Perché mi sentivo sempre colpevole, inquieto, negativo?”
Quei pensieri non sembravano i suoi, eppure non riusciva a scacciarli dalla mente. Dopo aver scoperto il gruppo di supporto di Britton, ha iniziato a farsi vedere da diversi medici. Il primo terapeuta gli ha detto che non era possibile che la meditazione avesse scatenato tutto. Dopo essersi rivolto a molti medici, e aver speso circa 1000 dollari in spese mediche, Patrick ha trovato un po’ di sollievo nella terapia cognitivo-comportamentale, e oggi fa agopuntura. Ha smesso del tutto con la meditazione.
Nick*, 25 anni, del Minnesota, ha iniziato a meditare dopo aver letto Waking Up: A Guide To Spirituality Without Religion, di Sam Harris. Ha scaricato l’app Calm e ha iniziato a fare meditazione guidata a casa. Nell’autunno 2016 ha partecipato a un ritiro spirituale di dieci giorni. “Alla fine ce l’ho fatta ed è stata un’esperienza che mi ha cambiato la vita,” mi racconta Nick. La scorsa estate ha iniziato a lavorare come volontario nel centro dove si svolgeva il ritiro, meditando dalle tre alle quattro ore al giorno. A marzo di quest’anno, ha deciso di andare a un altro ritiro di meditazione di dieci giorni. “Non immaginavo potesse accadermi nulla di male, visto che ne avevo già fatto un altro in passato,” dice.
Eppure qualcosa è andato storto. La meditazione ha fatto riaffiorare ricordi dolorosi di un traumatico incidente d’auto, vissuto a 13 anni. Una volta tornato a casa, questi ricordi non l’hanno abbandonato.
Improvvisamente era come se avesse di nuovo 13 anni. Non riusciva a dormire. “La mia mente si fissava su alcune parti del mio corpo, ed era una sensazione molto intensa,” dice. “Avevo diversi tic ossessivo-compulsivi, tipo ogni volta che deglutivo sentivo un rumore nell’orecchio e rimanevo bloccato in questo vortice deglutire-ascoltare: lo avevo interpretato come un problema e mi dava molto disturbo e distrazione.”
Dopo aver aspettato circa un mese, sperando che passasse, Nick ha iniziato ad avere pensieri suicidi. Quando è venuto in contatto con il gruppo gestito da Britton, lei gli ha subito consigliato di cercare aiuto. Ed è così che è arrivato in pronto soccorso, ed è rimasto ricoverato per una settimana circa.
“[La meditazione] mi aveva aiutato tantissimo negli anni, e mi ero davvero appassionato,” dice. “Mi sembrava che mi avesse dato una nuova ragione di vita, e invece ora mi stava provocando solo dolore. Quest’anno ho avuto più pensieri suicidi che in tutta la mia vita, ed è stata davvero dura.”
Mi racconta che solo ora si sta rimettendo in piedi. Ha perso il lavoro dopo aver fatto troppi giorni d’assenza, e ora sta facendo fatica a trovarne uno nuovo per via del suo programma di cure intensive. Ad oggi, è in terapia e segue il gruppo di supporto di Britton. Quando gli chiedo cosa pensi oggi della meditazione, la sua risposta è comunque piuttosto positiva.
“Penso che consiglierei a tutti di provare la meditazione guidata, qualche minuto con le app,” dice Nick. “Però bisogna fare attenzione nel caso la pratica diventi più intensa e continuativa; e nel caso si dovesse avvertire qualcosa di diverso, meglio fermarsi e parlarne con uno specialista.”
Molti dei meccanismi responsabili degli effetti positivi della meditazione sono gli stessi responsabili degli effetti negativi. La meditazione rafforza la corteccia prefrontale, un’area del cervello collegata all’attenzione e al controllo esecutivo; controlla le regioni come il sistema limbico e l’amigdala—entrambi centri emotivi. “Questo comporta la riduzione della reattività emotiva,” dice Britton.
Per le persone che hanno alta reattività emotiva, questa può essere una cosa positiva. Può avere effetto calmante e ridurre i momenti di reattività impulsivi nella vita quotidiana. Il problema, mi dice Britton, è che a volte la situazione degenera.
L’amigdala non è coinvolta solo quando si tratta di emozioni negative, ma anche positive. “Le persone interpellate nella nostra ricerca hanno lamentato la totale assenza di emozioni, sia positive che negative, non sentono amore o affetto per i propri familiari,” dice Britton. “In questo caso il processo considerato positivo si è spinto troppo oltre.”
Ci sono tanti tipi di meditazione, e Britton crede che ognuna di queste dia all’individuo delle capacità diverse. Britton definisce la meditazione come un insieme di attività che approfondiscono intenzionalmente alcune qualità del nostro corpo, della mente o del comportamento, anche se, riconosce lei stessa, questa definizione potrebbe essere applicata a qualsiasi cosa. “Il punto è che qui è intenzionale e ha un obiettivo specifico, e per raggiungerlo si deve ripetere la stessa azione più e più volte,” dice.
Rebecca Semmens-Wheeler, professoressa di psicologia alla Birmingham City Unity che studia ipnosi e meditazione, pensa che le tendenze contemporanee abbiano creato un approccio solo parziale alla tradizione meditativa. Lo scopo della mindfulness non è renderti dissociato, sostiene, e il fatto di prendere in esame o praticare solo una delle tante meditazioni possibili è uno dei motivi principali che portano a complicazioni.
“Per il consumatore può essere molto disorientante, ma è anche problematico dal punto di vista della ricerca, quando cerchi di capire cosa fa la mindfulness al cervello, e quali effetti psicologici ha,” dice Britton. “Ci sono molti tipi diversi di pratiche, a volte anche con lo stesso nome.”
Richard Davidson, professore di psicologia e psichiatria alla University of Wisconsin-Madison e fondatore e direttore al Center for Healthy Minds, è conosciuto per il suo studio dei benefici sulla meditazione e altre pratiche contemplative. Dall’inizio della nostra telefonata, Davidson chiarisce il suo rispetto per Britton come scienziata e specialista. “Credo che stia facendo un ottimo lavoro portando l’attenzione su questi potenziali problemi,” mi dice. “Penso che stia facendo un servizio utile a molti.”
Davidson, però, pensa che molte delle persone che riscontrano effetti negativi abbiano una certa vulnerabilità preesistente, che è stata aggravata dalla pratica della meditazione. “Penso che queste ricerche sottolineino l’importanza per le persone che soffrono di malattie mentali, e sono interessate alla meditazione, di farlo con l’assistenza di un medico, che sia anche un professionista della meditazione,” dice. “Purtroppo, però, non ci sono tante persone con entrambe queste qualifiche.”
Se volessi imparare a fare qualcosa di complesso, come suonare il violino, mi chiedo, penso che cercheresti un insegnante, no? Ma viviamo in un’epoca in cui le persone pensano di poter trovare online tutte le risposte che cercano. Potrei certamente imparare a suonare il violino grazie a YouTube e a qualche app. Tuttavia, quando si tratta di meditazione, ovvero una pratica volta a modificare la mente, è meglio essere più prudenti.
“Capisco la necessità di trovare una via più breve, di raggiungere i risultati in meno tempo, ma se vuoi davvero avere padronanza di queste capacità, in particolare di una così complessa come la meditazione, è meglio avere una guida esperta durante il percorso,” spiega.
Quando le persone riscontrano effetti collaterali negativi, dice Davidson, è difficile capire cosa abbiano fatto per scatenarli. “Penso che molte delle persone in difficoltà, o che sostengono che i propri problemi siano aggravati dalla meditazione, non stiano meditando in modo corretto, per dirlo in modo semplice e grossolano,” dice. “Alcuni dicono che queste persone non meditino nemmeno. Pensano di meditare, ma in realtà non lo stanno facendo davvero.”
Britton mi dice che la posizione di Davidson è piuttosto comune: succede solo alle persone con vulnerabilità preesistenti. Forse David aveva meditato troppo, in modo sbagliato, e Patrick lo stava facendo nel modo sbagliato e senza alcuna supervisione.
“È una cosa che sento dire spesso,” mi spiega. “Invece vorrei sottolineare il fatto che non è questo che dicono le nostre ricerche. Abbiamo trovato eccezioni a tutte queste affermazioni. Le persone nel nostro studio erano insegnanti di meditazione, e molti di loro, circa la metà, non avevano trascorsi psichiatrici o eventi traumatici nel loro passato.”
Tutte le persone che ho contattato all’interno del gruppo di supporto di Britton hanno chiesto di rimanere anonimi. Questo perché non vogliono che i propri amici, capi o familiari scoprano delle loro difficoltà con la pratica della meditazione, generalmente considerata curativa. “La mindfulness è vista come una pratica positiva, la panacea di tutti i mali,” mi dice Sofia**. “Tutti quelli che meditano non fanno altro che vantarsi degli effetti positivi che ha avuto sulla loro vita. Il fatto di parlare apertamente di come la meditazione abbia in realtà aggravato i miei sintomi mi provocherebbe vergogna e senso di colpa. Mi farebbe sentire diversa.”
Sofia aveva 22 anni quando per la prima volta un’amica le parlò di un ritiro di meditazione che le avrebbe “cambiato la vita.” Aveva già provato un pochino di meditazione in passato, e faceva yoga in modo regolare da un po’, così ha deciso di provare il ritiro nell’estate del 2016.
“Sono tornata completamente distrutta e del tutto instabile,” mi racconta. I primi giorni era andato tutto bene. Ma al settimo giorno aveva iniziato a sentirsi debole e strana. La sua insegnante le aveva risposto che era solo l’effetto di una lunga meditazione, che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Poco dopo, Sofia ha avuto due gravi attacchi di panico, le si era paralizzato completamente il corpo e non riusciva a muoversi. “Non avevo mai avuto un attacco di panico in vita mia,” mi spiega. “Sono sempre stata tra i migliori studenti, ho sempre avuto il massimo dei risultati, riuscivo in tutto, e poi improvvisamente, mi sono ritrovata debilitata, e per un anno intero non sono riuscita a riprendermi.”
Per i 12 mesi successivi Sofia ha sofferto di spersonalizzazione e dissociazione—la sensazione di essere separati dal proprio corpo, di non avere più coscienza di sé. Gli attacchi di panico sono continuati. “Per un anno, poi, ho avuto strani formicolii,” dice. “L’ansia era aumentata. Mi svegliavo, e non era paura, era terrore, un’esperienza davvero difficile da capire e affrontare.”
Molte persone, mi dice Sofia, quando lei racconta dei problemi riscontrati con la meditazione, tendono a pensare che ci fosse già qualcosa di sbagliato in lei. Lei ammette, non ha avuto una vita semplice, possiamo dire che era già suscettibile?
“Vengo dal Medio Oriente, ho vissuto la guerra, sono stata in relazioni molto violente, e non ho mai avuto questi sintomi,” mi dice. “Sono sempre riuscita a gestire i traumi precedenti, ma durante il ritiro non sono stata in grade di reagire, ed è la cosa che mi sorprende ancora oggi.”
Non stiamo dicendo che i precedenti psichiatrici o i traumi non abbiano alcun ruolo, mi ha spiegato Britton. Ma le difficoltà possono verificarsi anche in condizioni ottimali, e questo può succedere a chiunque.
Mike*, studente di 24 anni di Boston, mi spiega di aver riflettuto a lungo sul problema delle vulnerabilità preesistenti. Secondo lui, è vero che ci sono persone che cominciano a meditare ma ottengono solo di esacerbare un trauma o un disturbo. Ma ha anche conosciuto casi diversi. La risposta potrebbe essere che tutti abbiamo una nostra parabola: non esiste una divisione netta tra persone vulnerabili e persone non vulnerabili. Un tipo specifico di meditazione in un momento specifico della vita può innescare una determinata risposta, indipendentemente da chi sei.
Mike ha letto due libri di Jack Kornfield e ha cominciato a meditare quando aveva 18 anni, grazie anche ad alcuni amici. Poi è passato alle lezioni e ai ritiri. All’inizio questo gli ha assicurato di saper ‘prendere le distanze’ dai suoi pensieri in un modo nuovo. Si sentiva più libero dalle vecchie insicurezze e dalla narrativa di sé che aveva prima.
Ma lentamente una depressione nichilista ha cominciato a stringerlo in una morsa. “Ricordo che era come se le motivazioni che mi ero dato fino a quel momento per comportarmi bene hanno cominciato a sembrarmi poco importanti.”
Si sentiva sul crinale della follia. “Il mio sistema nervoso era come aggrovigliato, stavo perdendo contatto con me stesso e la realtà, stavo dentro questo vuoto nichilista in cui succedevano cose e non riuscivo a capirle,” dice. “Ero terrorizzato all’idea di dirlo a qualcuno perché ero terrorizzato dall’idea di scoprirne i motivi. E avevo anche paura che mi avrebbero chiuso in psichiatria se avessi detto onestamente cosa provavo.”
Quando Mike ha scoperto la ricerca di Britton e si è messo in contatto con lei, è riuscito a cambiare prospettiva. Invece che considerare i suoi sintomi come passi verso l’illuminazione, ha cominciato a vederli come un modo del suo sistema nervoso di rispondere alla pratica. Aveva una mente scientifica, e si è convinto in fretta. Ha anche capito che per lui le connessioni umane sono fondamentali.
“È questa la cosa più importante per me, due esseri diversi che si connettono in modo speciale,” dice. Quando ha smesso di meditare e ha cominciato a riconsiderare il proprio bisogno di relazioni umane come naturale è migliorato molto.
Mi hanno consigliato la meditazione o la mindfulness per quasi ogni tipo di questione medica—ansia, insonnia, problemi gastrointestinali, disturbo ossessivo compulsivo—e anche per quelle non medici, per esempio mangiare o correre. In molti casi, mi è stato d’aiuto. Medito prima di andare a dormire; riconoscere i pensieri ansiosi e lasciarli andare può farti gran bene. Come fare quando invece succede l’opposto?
“Sono sicuro che queste pratiche sono comunque benefiche per molti,” mi dice Mike. “Alcuni lo fanno per tutta la vita ed esperiscono solo gli effetti positivi e la sensazione di non avere un corpo e non hanno mai un problema. Ma io sono preoccupato dalla diffusione di una tecnologia fatta per disinnescare l’io.”
Quello che tutti i ricercatori e i meditatori sanno, comunque, e che molte app di meditazione e ‘appassionati’ dell’ultimo minuto ignorano è: la meditazione è potente. È una cosa da non prendere alla leggera, e capace in determinate circostanze di dare incredibili benefici, e in altre di fare molto male.
Dato che solitamente tutti i tipi di meditazione sono riuniti in un unico gruppo senza alcuna distinzione, non abbiamo ancora abbastanza informazioni su ogni singola tipologia e i suoi effetti sul cervello. “Ci sono centinaia di pratiche meditative diverse,” spiega Davidson, “solo un minima parte di queste sono state studiate scientificamente, e sono state trasportate nella cultura popolare occidentale. Una delle sfide principali della ricerca moderna è stabilire con maggiore precisione quali pratiche sono consigliate per le diverse tipologie di persona.”
In un mondo perfetto, secondo Britton, la mindfulness potrebbe essere uno strumento per aiutare le persone a capire quali sono le proprie basi, le proprie fondamenta. Mentre parlo con lei, le spiego dei miei disturbi ossessivo-compulsivi. Una delle mie ossessioni mi porta a un’eccessiva consapevolezza del mio corpo. Questo significa quindi che non posso meditare? Assolutamente no. Ma potrebbe significare, ad esempio, che se pratico una meditazione che aumenta l’introspezione, ad esempio la diffusa pratica della meditazione body scan, in cui resti in osservazione di ogni minima sensazione lungo tutto il corpo, dalla testa ai piedi, potrei ritrovarmi ad avere effetti negativi. Al contrario potrei provare la pratica che allena la cosiddetta exteroception, concentrando l’attenzione su quello che c’è al di fuori del mio corpo.
“Per me, il programma di mindfulness perfetto è quello che permette alle persone di provare i diversi processi, e di esplorare le varie dimensioni; che ti permette di usare la tua stessa potenza mentale e le tue capacità di analisi per capire chi sei, e per capire quali sono le pratiche che ti possono aiutare a raggiungere un migliore stato di salute,” dice Britton. “Tutti cambierebbero in meglio, grazie a questo approccio.”
*È stato usato solo il nome
**Il nome è stato cambiato
Questo articolo è tratto da Tonic