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Recensione: Sleep – The Sciences

L’isteria attorno agli Sleep sta sfuggendo di mano. Alla fine stiamo parlando di tre tizi che hanno registrato altrettanti album, di cui uno manco troppo bello, uno registrato in cantina e un altro che ha avuto una storia editoriale che definire travagliata è eufemistico ed è stato pubblicato postumo per tre volte, di cui forse mezza alle condizioni desiderate dalla band. Poi dieci anni di scioglimento. Poi altri dieci di sporadica presenza soltanto a festival ed eventi selezionati. Eppure ho scoperto che tutti, ma proprio tutti, nel 2018 sono fan degli Sleep. La data di Milano del prossimo 17 maggio è andata sold out esattamente un mese prima, e se un concerto stoner in un locale medio italiano va esaurito con settimane di anticipo c’è davvero qualcosa di strano.

Figuriamoci cosa succede poi quando questi sganciano la bomba e il 20 aprile, che ovviamente all’americana è four/twenty, pubblicano a sorpresa un disco vent’anni dopo aver completato Dopesmoker, lo chiamano The Sciences e ci infilano dentro un quantitativo di riff da fotterti il cervello. Vero, lo avevano annunciato in codice morse più di un anno fa, ma in un’epoca di video dallo studio, anticipazioni e cazzate di sorta, possiamo dire che ritrovarsi il disco in vendita da un giorno all’altro è stato delirio puro. Tutti ne parlano, il mio (e probabilmente anche il tuo) feed di Facebook all’improvviso è invaso da questo Marijuanauta che se la passeggia per l’universo e le riviste online più hipster e insospettabili confessano di avere o avere avuto una grande passione per il THC. Che non è come dire “massì da ragazzino ascoltavo i Nirvana che erano dei drogati ma erano generazionali”: Al Cisneros e Matt Pike hanno fatto della narrazione sotto stupefacenti la loro stessa poetica, e l’unica cosa più importante dei riff nell’economia della band californiana è la droga.

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E insomma dopo tutte ‘ste fregnacce, The Sciences. Che è un disco degli Sleep, esattamente come te lo aspetti, né più né meno, con Pike e Cisneros supportati da Jason Roeder, il batterista dei Neurosis, che finalmente entra in studio per qualcosa di corposo. C’è un’intro che scalda i motori con tre minuti di bordoni in cui basso e batteria trovano la giusta alchimia per ottimizzare la distruzione delle vie auricolari. C’è una canzone che si chiama, appunto, “Marijuanaut’s Theme” con un testo che parla di hashteroidi e del Pianeta Iommia.

C’è finalmente una versione in studio di “Sonic Titan”, che risale almeno almeno ai tempi di Dopesmoker, visto che una sua versione live era compresa nella prima stampa del 2003. C’è “Antarcticans Thawed”, un altro pezzo che i tre suonano dal vivo più o meno da quando si sono riuniti nel 2009, quindi chissà a quando risale. C’è “Giza Butler”, a mezza strada tra il rinnovato citazionismo sabbathiano e il misticismo dell’antico egitto, che guarda caso parla dell’azione salvifica dell’erba. C’è “The Botanist”, che senza nemmeno una parola ti fa venire il pollice verde.

Un carrozzone in movimento lentissimo ma perenne, l’astronave degli Sleep arriva al quarto album in ventotto anni e il primo in venti come se fossero passati sì e no due mesi: sei pezzi tenuti insieme da un autotreno di riff in downtempo e qualche latrato sparso di Cisneros che ci racconta di quanto fumare sia la scelta giusta. Ed è di nuovo il 1998. Il che non spiega minimamente come dei pezzi da 14 minuti di media che parlano di droga e ti trapanano le meningi possano avere così tanto seguito nell’epoca della trap, ma va bene lo stesso.

The Sciences è uscito il 20 aprile per Third Man.

Ascolta The Sciences su Spotify:

TRACKLIST:
1. The Sciences
2. Marijuanaut’s Theme
3. Sonic Titan
4. Giza Butler
5. Antarcticans Thawed
6. The Botanist

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