Música

Storie dell’orrore dai tour delle band italiane

Tutte le illustrazioni sono di Guitar_Boy.

È lo sport preferito da tutte le persone che suonano in gruppi di portata medio-piccola: fare a chi la spara più grossa di ritorno dal tour. Quando il furgone della band gira l’angolo e si affaccia alla via di casa, gli amici più stretti sono lì ad aspettare gli eroi, armati di birre e pronti a sentirne di tutti i colori.

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“Un tizio ha insistito per ospitarci e offrirci un sacco di cocaina, e quando siamo arrivati a casa sua era pieno di svastiche dappertutto e voleva sapere tutti i nostri cognomi per assicurarsi che non fossimo ebrei”. “Abbiamo bucato in autostrada e siamo stati soccorsi da due gemelli siamesi body builder che tenevano sollevato il furgone mentre noi cambiavamo la ruota”. Solo alcuni dettagli di queste storie sono prese da storie che ho davvero sentito in passato. Tanto per darvi un’idea.

A parte gli scherzi, un tour, soprattutto se autogestito dalla band, non è affatto una passeggiata. Prima di imparare a evitare i pericoli del mestiere, bisogna sbatterci la testa diverse volte. E si sa che, vista da fuori, una persona che sbatte la testa può fare molto ridere. Così ho pensato che sarebbe stato divertente contattare alcune delle band italiane più attive nel circuito DIY europeo e mondiale e farmi raccontare le situazioni più schifose, pericolose, anti-igieniche e frustranti in cui si sono trovate. Le trovate raccolte qua sotto.

L’incantatore di serpenti

Figueras, Catalogna, paese natale di Salvador Dalì. Tour Asabikeshiinh (io e Maurizio Abate) + Rella the Woodcutter. La data salta a poche ore dal concerto, così il promoter ci manda in questo bar gestito da un italiano. Lui vuole il rock e qualche cover, riusciamo ad accontentarlo con una versione reggae di “On the Beach” di Neil Young. Senza senso. L’alloggio è casa sua, la paga trenta euro. Ci chiede se ci piace fumare. “Certo, sì, grazie”. Ci diamo la mano e mi ritrovo con una ricca manciata di erba nel palmo. “E i serpenti vi fanno paura?” “Mah, sì e no”. “Ne ho qualcuno per casa. Nelle teche di vetro, non spaventatevi”.

Arriviamo a casa sua, una villetta un po’ isolata. Nel cortile ci sono dei bidoni blu. Entriamo in casa, ci accomodiamo in salotto. Un comodo divano a L circondato da tre vasche di vetro. Gli occhietti dei serpenti ci guardano, sembrano più assonnati di noi. Ma un paio sono ENORMI. Noi siamo fattissimi, la ganja che ci ha dato è buona e sta finendo. Mi sdraio per dormire, mi giro verso la vasca di vetro, saluto il serpente, che mi guarda. Si muove un po’, lento e appesantito, poi si alza, si alza, si alza ancora un po’. Solo a quel punto ci accorgiamo che quella vasca è aperta sopra. Ciao. Faccio cambio di posto con Valla [Eternal Zio] che è fattissimo e se ne fotte del serpente.

La mattina siamo tutti vivi e riposati, umani e squamati. C’è una scala che porta a una stanza. Saliamo, apriamo. Dentro è pieno di ganja appesa a testa in giù ad essicare. Scendiamo, andiamo in cortile. Guardiamo dentro ai bidoni blu: pieni di ganja anche loro. Sul tavolo un setaccio e un contenitore piccolo: fumo. Non chiediamo al tizio perchè ha dovuto lasciare l’Italia, abbiamo abbastanza indizi. Salutandolo, gli rimolliamo in mano i 30 euro del concerto e facciamo quello che si fa con uno che ha la casa piena di erba.

ROBERTO MAGGIONI, ETERNAL ZIO / ASABIKESHIINH

Claustrofobia e cuckold

In uno dei vari tour europei dei Mojomatics ci capitò una data a Copenhagen, una delle nostre città preferite in cui suonare.
Quella volta il nostro promoter era Lasse, un punk di vent’anni, che parlava come ne avesse sessanta: voce rauca, sempre fatto, cresta, borchie, dilatazioni e puzza. Lasse aveva SEMPRE una bottiglia di birra, o vino o un altro alcolico in mano. Ci aveva scritto direttamente perché era un fan, e in questi casi noi tendevamo sempre a fidarci. Il locale era un bar piccolissimo dove bisognava suonare in acustico per non disturbare il vicinato. Facemmo il nostro concerto ad orario aperitivo davanti a quindici ubriaconi che fumavano come ciminiere. C’è un video su youtube di quel concerto, si vede solo del gran fumo!

Ma il bello doveva ancora arrivare. Dopo la cena, un panino terribile del 24h di fianco, rifiutammo l’invito di Lasse di andare in uno strip club fantastico chiamato Trash, dove si esibivano solo donne brutte, perché avevamo davvero bisogno di dormire. Così andammo a casa sua, noi, Lasse e la sua ragazza (stranamente non-punk). L’appartamento era in un complesso di case popolari dove vivevano solo tossici, famiglie disagiate e Lasse. Non era il caso di lasciare il furgone carico sotto casa, quindi portammo TUTTO il backline, merch, tutto quello che c’era in furgone dentro il mini appartamento al secondo piano; ricordo che per arrivarci era un vero e proprio viaggio tra corridoi strettissimi e ballatoi e i vicini di casa, incuriositi, ci guardavano passare giro dopo giro carichi come muli.

Finito tutto il lavoro di scaricaggio ci trovammo finalmente dentro questa casa, veramente marcia, minuscola e completamente piena di strumenti. Una volta portata tutta la roba in casa, l’unica superficie libera per dormire era un divano, e noi eravamo in tre. Fummo presi da un attacco di risa che parve infinito (avevamo fumato erba, rifiutando ripetutamente le offerte di Lasse di prendere medicine a caso per sballarci), chiedendoci perché eravamo là.
Dopo un po’ Lasse uscì perchè voleva fare ancora festa, mentre la sua ragazza era andata a dormire nella stanza di là. Prima di chiudersi la porta alle spalle, Lasse si rivolse a noi dicendo: “Se volete andare di là e farvi la mia ragazza, fate pure, volentieri! Buonanotte!”
Per qualche motivo non ce la sentimmo.

La mattina dopo chiesi a Lasse il rimborso spese pattuito. Lui si fece dare un passaggio in furgone fino a un bancomat e ci diede qualche banconota e tutte le monete che aveva in tasca. In fin dei conti, un ottimo promoter.

DAVIDE ZOLLI, THE MOJOMATICS / SQUADRA OMEGA

Cose bulgare

OvO, 2001, primo tour, durata 2 mesi e mezzo, insieme al gruppo svizzero NNY.
Suonavamo in Italia, Grecia, Turchia, Bulgaria e Macedonia.
Ogni giorno c’era un problema, un’avventura estrema da superare. C’erano pochi soldi (si suonava “alla porta”) ed eravamo tra i primi gruppi DIY a suonare in quei paesi. Il tour era organizzato ancora via lettera, non esisteva l’euro, c’erano le vere frontiere, e per finire la Macedonia era (almeno per la TV e le news, poi scoprimmo che la realtà lì era diversa) in stato di Guerra Civile. Insomma il ricordo “negativo” parte da Istanbul dove, a concerto finito e in mezzo al caos del traffico di quella città, mentre carichiamo il furgone, gli organizzatori ci danno 40.000 lire (per entrambi i gruppi!) perché con i soldi degli ingressi hanno affittato gli ampli e la strumentazione super costosa per i gruppi LOCALI.

Poi la Bulgaria: a Plovdiv litighiamo con il gestore perchè: 1) rifiutiamo di pagare noi l’affitto dell’impianto audio, e quindi suoniamo con l’impianto del DJ; 2) rifiutiamo di mangiare a pagamento il cibo caro venduto al locale, ma ci compriamo qualcosa di economico fuori; 3) ci facciamo del caffè nel giardino del locale (giravamo con moka e fornelletto, e fummo redarguiti con la mitologica frase “Here No Woodstock!”); 4) il gruppo spalla locale oi! punk suona più di un’ora e per entrambi i nostri gruppi resta solo mezz’ora di tempo, quindi suonano gli NNY senza microfoni per la voce, perché il titolare del posto, irritato, decide di toglierglieli, e poi noi suoniamo 10 minuti, credo, senza microfoni. Da lì parte una litigata senza fine, non mi ricordo se ci hanno pagati, se sì pochissimo.

Sofia: mega locale, ex cinema, noi arriviamo nel pomeriggio super affamati (ricordo che avevamo pochissimi soldi), per fortuna ci promettono una super cena dopo il concerto. Il locale è pienissimo, bella situazione e gran divertimento. A serata conclusa e sempre più affamati, ci presentano una tavola “imbandita” di patatine e vodka. La spiegazione dell’organizzatore, al culmine della presa in giro, è stata: “dall’incasso della serata abbiamo prima pagato l’affitto del locale, poi l’affitto dell’impianto audio (proprietà del gruppo locale in apertura), poi il fonico (il bassista del medesimo gruppo locale in apertura), il rimanente andrebbe diviso fra i 3 gruppi che hanno suonato (noi 2 più il gruppo spalla già citato), ma essendo rimasto pochissimo abbiamo deciso di investirlo in patatine e vodka… Che ne dite?” Noi eravamo allibiti, quasi nessuno di noi beveva e tutti avevamo una fame incredibile. Da lì è partita un’altra litigata, fortunatamente non arrivata alla rissa, ma ci siamo andati vicini. Io per non so quanto tempo ho discusso con uno del collettivo spiegandogli che dovevamo avere almeno dei soldi per la benzina, che eravamo in tour da 1 mese, che stavamo per andare a suonare in Macedonia, che in quel momento era in guerra. Alla fine, stremato, un po’ per compassione un po’ per togliermi di torno, mi dà 40.000 lire.

Quell’esperienza ha segnato molto me e Bruno, il nostro modo di andare in tour e di affrontare i problemi. Molti avrebbero litigato e una volta tornati si sarebbero sciolti, noi abbiamo deciso di fare della musica e dei tour una scelta di vita.

STEFANIA ?ALOS PEDRETTI, OVO / ALLUN / ?ALOS

Zombie punks

Correva l’anno 2004, agosto, secondo tour europeo dei Raein. Concerto a Christiania, il noto quartiere di Copenhagen dove non vigono le leggi della comunità europea. Siamo a metà tour e la data si svolge all’interno di un festival di arti visive e performative, situazione abbastanza inusuale per noi. Mentre ci “esibiamo” ci sono delle ballerine appese a testa in giù con dei cavi da un soffitto di 10 metri, bizzarro ma divertente.

Durante quel pomeriggio capiamo che Christiania non è esattamente il quartiere utopico dell’amore dove gli hippie arrivati negli anni Settanta continuano a vivere in armonia tra di loro. A spiegarcelo è Mimmo, uno spacciatore siciliano conosciuto in una lavanderia a gettoni. Ci spiega che devi vivere secondo le leggi non scritte del quartiere e, se sgarri, sparisci sepolto sotto qualche roulotte e nessuno ti viene a cercare. Forse Mimmo voleva solo fare il duro e impressionarci. Mi pare di ricordare che funzionò.

A concerto finito l’organizzatore ci porta a dormire in uno squat abbandonato, che, a pensarci, è un concetto piuttosto astratto, quasi un ossimoro. In quel momento ricordo però non ci soffermiamo troppo sull’aspetto filosofico della cosa, piuttosto ironizziamo sul fatto che probabilmente gli ex occupanti non si siano curati troppo dello stato igienico in cui veniva lasciato lo stabile, ma non bisogna mai formalizzarsi, noi la prendiamo sempre sul ridere, sdrammatizziamo, anche quando ci mostrano i materassi viola di umidità e sporco sui quali avremmo dormito.

Ogni sera per tutto il tour, salvo rare eccezioni, tipo la campagna svedese, due di noi rimangono a dormire dentro al furgone per sorvegliare lo stesso e tutta la strumentazione. Quella notte è più facile del solito trovare i volontari, nonostante nel parcheggio sottostante ci siano tre punk modello ’77 completamente strafatti che per gioco si lanciano bottiglie di vetro vuote.

Poco dopo aver salutato Marco e Fulvio (i volontari) veniamo allertati dalle sgommate del nostro furgone. Stanno scappando dal parcheggio, inseguiti dai suddetti punk che spingono furibondi un carrello della spesa. “Torneranno”, ci diciamo.
Io e Andrea ci sdraiamo vicini e prima di addormentarci ci raccomandiamo l’un l’altro di star bene dentro al sacco a pelo, evitando contatti tra la superficie ammuffita e la nostra pelle. Ci svegliamo la mattina entrambi a bocca spalancata con le facce sul materasso.

Ma il particolare che rende tutta questa esperienza speciale era l’odore che permeava tutto il piano, e proveniva dal corridoio sul quale sia affacciava la nostra stanza. Sono passati 12 anni ed ancora lo ricordo come la cosa più disgustosa della mia vita, un misto acre, dolciastro, oltre il marcio, che filtrava da sotto la porta e a poco servivano le finestre spalancate. La mattina fuggiamo senza la minima voglia di saperne di più e raggiungiamo il furgone nel parcheggio, dove Marco dice che Fulvio è pazzo perchè non capisce quando è in pericolo e Fulvio fa spallucce e dice che Marco non sa mantenere la calma.

Due settimane dopo a Copenhagen scoppiano dei casini legati a Christiania, gli squat e il G8. Ci sono tafferugli in tutta la città che viene messa sottosopra. In uno squat abbandonato in centro viene trovato il cadavere di un tossico in decomposizione, morto da mesi. Un secondo dopo aver sentito la notizia al telegiornale squilla il telefono, è Andrea: “Ecco cos’era quell’odore che veniva dal corridoio!”

Da lì, ogni volta che coi Raein ci troviamo a dormire in situazioni meno che splendide, ci consoliamo dicendo: “Non sarà sicuramente peggio di quella volta che abbiamo dormito di fianco al cadavere”.

MICHELE CAMORANI, LA QUIETE / RAEIN / HAVAH

Ciò che non uccide…

Febbraio di qualche anno fa. È il tour Wow / Eva Won (2013?). Partiamo da Roma direzione Francia. In questa avventura siamo io, Leo, China e Thibault degli Wow e Edoardo al secolo Calcutta (allora solo un bambino homeless portato in tour perché suonare sola non mi ha mai preso troppo bene).

L’episodio che vi racconto è avvenuto in Svizzera in quel di Ginevra. Tra le domande prioritarie nella vita del tour le prime due sono: ci daranno da mangiare? E se ce lo daranno, ci sarà un cesso agibile nel raggio di pochi metri per quando mi scapperà? (Il bidet, una volta superato il confine, non rientra neanche nei desideri più reconditi).

Siamo in questo locale un po’ rattoppato ma che in un arco brevissimo di tempo si riempe di genti di ogni forma e costume. Di solito non riesco a mangiare prima di suonare poiché l’ansietta mi chiude lo stomaco. Quella sera mi viene una gran fame e mi abbuffo di questa insalatona di riso ricchissima gentilmente offerta dagli organizzatori. Poco prima del live vengo attaccata da brividi di freddo e un impellente sensazione di cagotto quindi corro in questo cesso improvvisato con tendina e mi libero del peso intestinale. Suono davanti a un delirio generale di gente che balla, beve e fuma. Stavamo andando perfettamente d’accordo con il pubblico e l’atmosfera era da Babilonia poliglotta, quando il locale viene improvvisamente chiuso per otturazione del cesso (pare che qualcuno ci abbia sbrattato di brutto).

Ributtati nella neve ci dirigiamo in macchina verso la casa dove ci ospitano per la notte. È una villetta a più piani occupata da alcuni ragazzi. Nel salone dove abbiamo soggiornato ricordo innumerevoli opere artigianali tipo un fantastico distributore di birre da salotto. Presi da un raptus di fame veniamo invitati in cucina e ci viene detto che siamo liberi di mangiare tutto ciò che troviamo. Io e China apriamo il frigo e ci troviamo davvero un sacco di cibo, quasi tutto confezionato: ravioli, insalate, formaggi. Solo che è tutto scaduto da giorni, anzi, da settimane! Torniamo dagli altri per metterli in guardia e una delle tipe di casa sta offrendo un biscotto a Leo: “Have a biscuit! They are Spanish biscuits I bought in Spain two years ago!” Così scopriamo che questi giovani svizzeri si nutrono da anni di cibi scaduti. Della serie nun se butta niente!

Non potevamo certo rifiutare di aderire a questo stile di vita almeno per il pranzo collettivo del giorno dopo a base di ravioli spinaci e ricotta rigorosamente andati. Non erano poi tanto peggio dei ravioli confezionati freschi. Però mi rimane un sospetto riguardo al cagotto della sera prima.

ALEXANDRA, BOBSLEIGH BABY / EVA WON / GIOVANNAS

Pipì e veleno

I posti peggiori dove ho dormito li ho probabilmente rimossi. Però ricordo che a Portland coi Movie Star Junkies siamo stati ospiti di una ragazza completamente bruciata che viveva con sei gatti e li lasciava pisciare sulla moquette. Alcuni di noi hanno dormito per terra, ma qualcuno non ce l’ha proprio fatta ed è andato in macchina.

Coi Lame invece in Svizzera (!!!) abbiamo recentemente dormito, ovviamente per terra, a casa di due tipi, uno dei quali in piena notte si è alzato e ha pisciato sul cappotto di Maria [la batterista].

Ma la migliore che ricordo è forse quella che mi è capitata a Napoli con la mia prima band, gli Introducers: dormivamo in un putrido scantinato e il nostro chitarrista la mattina dopo si è svegliato con una mano gonfia come un pallone. Per fortuna il giorno dopo dovevamo tornare a casa ed è andato subito a farsi visitare. La diagnosi: puntura di scorpione.

STEFANO ISAIA, MOVIE STAR JUNKIES / LAME / GIANNI GIUBLENA ROSACROCE / LA PIRAMIDE DI SANGUE

La vendetta è un piatto che quando scappa scappa

Non so se sia la cosa peggiore che ci sia capitata, ma a pensarci mi viene parecchio da ridere. Eravamo in una città italiana misteriosa ed era il nostro primo giro lungo di live, di circa due settimane. Quella volta giravamo in quattro perché nessuno di noi aveva la patente e quindi c’era questo amico che faceva da driver e ci dava una mano con il banchetto. Ci avevano detto che avremmo avuto un posto in cui dormire, ma arrivati al locale scopriamo che il gestore – nonché colui che doveva ospitarci – era essenzialmente un cocainomane tesissimo che non ci guardava manco in faccia quando ci parlava. Chiediamo ad alcune persone se ci possono ospitare, ma visto che siamo gente carismatica e affascinante ci dicono tutti di no. Alla fine finiamo a dormire dal tizio di cui sopra, dopo averlo rincorso perché voleva andare via senza di noi. Smascellando ci dà le chiavi di casa sua e ci dice che in casa non c’è acqua né corrente (chiaramente era quasi inverno), poi se ne va. In casa c’era un letto solo e noi avevamo forse uno o due sacchi a pelo, così il nostro amico ha deciso di dormire per terra, io e Erica sul letto e Juju su un comodino. Non scherzo, Juju ha dormito davvero su un comodino. La mattina dopo facevamo tutti cagare, anche perché probabilmente non ci lavavamo da giorni, ma non potevamo lavarci perché appunto non c’era acqua. Uno di noi (che su questa cosa ha chiesto di non fare nomi) si è messo a urlare “adesso a sfregio gli cago nel bagno senz’acqua”, e così ha fatto. Tempo cinque minuti e siamo dovuti uscire.

ADELE NIGRO, ANY OTHER

I bevitori dell’arca perduta

Kassel, Germania: tour europeo dei Love Boat, anno domini chi cazzo si ricorda. Dopo il concerto al Das Haus, una specie di casa decadente/squat/bar. Come da tradizione continuamo a fare gli stronzi cercando di ingurgitare più alcolici possibili fino alla chiusura del locale assieme ai nativi, al promoter Jenz, alla sosia di Janis Joplin e a Ziege (quello che giocava nel Milan). Intorno alle 3 del mattino il locale chiude e Jenz ci chiede cosa abbiamo intenzione di fare: andare a dormire subito nell’alloggio prestabilito o continuare a bere in un bar poco distante? Stefano e Ilf (batterista e driver) colgono al volo l’occasione e si fiondano a letto, mentre io e Andrea ovviamente ci dirigiamo al bar assieme a Jenz. L’appuntamento con il resto della ciurma è la mattina seguente alle 7:30 davanti al Das Haus perché ci sono da fare 700 km per raggiungere la data seguente. Cinque minuti a piedi siamo al bar. Jenz si accorda con il barista per farci alloggiare a casa di quest ultimo al piano di sopra. Ci sentiamo subito a nostro agio e ci andiamo giù pesante di vodka, rum e shottini vari per almeno un’ora e mezza.

A un certo punto vediamo un’animata discussione tra il barista e Jenz. Ci chiediamo cosa stia succedendo. Ci informano che il barista ha appena avuto una lite coniugale pesante e quindi non vuole gente in mezzo ai coglioni a casa sua. A quel punto spinti dall’orgoglio e dall’alcol sfanculiamo tutti e decidiamo di andare a dormire in macchina. Jenz ci abbandona. Usciamo dal bar e ci incamminiamo verso la nostra station wagon parcheggiata davanti al Das Haus, a pochi minuti da lì. Pochi minuti un cazzo. Dopo mezz’ora ci rendiamo conto di esserci persi. Dopo le prime madonne proseguiamo a passo spedito cercando di affidarci al nostro senso dell’orientamento alla Stevie Wonder in acido. Entrambi abbiamo bagaglio al seguito e dopo più di un’ora di camminata i piedi cominciano a far male. Iniziano i primi insulti reciproci.

Dopo due ore vagando a caso, prendendo ipotetiche scorciatoie e posti apparentemente visti in precedenza, arriviamo in un parco. A quel punto io sono ubriaco, sfinito, incazzato, ho solo voglia di morire e Andrea idem. Ricominciamo a insultarci, a spintonarci, arriviamo quasi alle mani finchè Andrea lapidario dice: “IO SEGUO IL FIUME”. La sua frase alla Indiana Jones provoca in me un’eruzione di gesucristi e lo mando affanculo. Ci separiamo e andiamo in direzioni opposte alla ricerca della macchina. Ormai è l’alba, mi rendo conto di avere il cellulare scarico e di avere circa 30 centesimi in tasca. In più non ho sigarette, il che rende tutto ancora più terzo reich dell’esaurimento nervoso. Rassegnato continuo a camminare senza meta verso quella che mi sembra la periferia della città. Scorgo in lontananza un distributore di benzina con un bar tabacchi e lo raggiungo. Entro e riesco per miracolo a comprare un pacchetto di sigarette con la Postepay. Attraverso la strada, mi abbandono su una panchina alla fermata del tram e me ne accendo una. Dopo pochi minuti vedo un gruppetto di pischelli che si avvicina a me. Penso subito a qualche baby nazi gang che vuole farmi la pelle visto l’andazzo della serata, invece semplicemente vogliono scroccarmi da fumare. Ma a quel punto ho la geniale idea di chiedergli se per caso conoscono dove minchia si trova sto cazzo di Das Haus. Loro da buoni crucchi mi invitano a salire sul tram e mi indicano a quale fermata scendere. Magicamente in qualche minuto mi ritrovo davanti alla nostra auto e precisamente nello stesso istante arriva anche Andrea che ha risalito il fiume assieme a dei salmoni in scatola credo. Quasi in lacrime, ci stendiamo in macchina. Il tempo di chiudere gli occhi e sento bussare al finestrino. Sono gli altri, è ora di partire.

CLAUDIO ZUCCA, THE RIPPERS / THEE OOPS / LOVE BOAT

Liegi è un paradiso

Data intermedia di un disastroso tour autunnale degli Scena. Siamo a Liegi, che sotto un’apparenza tranquilla nasconde un disagio nemmeno troppo malcelato. Abbiamo pochi chilometri da fare e arriviamo al posto con un po’ di anticipo. Qualcuno rimane in furgone, noi vediamo una collina con un piccolo parco nelle vicinanze e decidiamo di andare a fare un giro (i momenti turistici sono sempre una delle parti più divertenti di suonare in giro). Veniamo subito bene accolti dalla popolazione del luogo, i primi due che incontriamo ci salutano con uno squillante “Bonjour!” mentre si fanno una pera nelle gambe. Tornati al locale incontriamo il ragazzo che organizza: ci sconsiglia caldamente di appoggiare gli strumenti incustoditi sul marciapiede anche solo per un attimo durante il carico, qualcuno potrebbe rubarli.

È un lunedì sera e il locale è semivuoto, è un bar marcissimo in cui fanno un sacco di concerti, e il pubblico si mischia a (ex?)tossici e prostitute attempate. Suoniamo ed è una delle serate più divertenti in assoluto, due ragazze (di cui una senza denti) spogliano addirittura il cantante. A fine concerto una signora belga di almeno 60 anni compra la maglietta pagandola con una banconota sudatissima. Il cachet ammonta a 75 euro (il noleggio del furgone ne costa 70), nel frattempo scopriamo che la data del giorno dopo è saltata. Torniamo a casa, fumo il primo bong dopo almeno 12 anni e vado a dormire mentre albeggia. Bonne nuit!

NICOLA FERLONI, PUEBLO PEOPLE / SCENA / HIS ELECTRO BLUE VOICE

Guitar_Boy è un illustratore, grafico e fumettista romano. Trovi i suoi lavori su Facebook e Tumblr.

Giacomo è su Twitter: @generic_giacomo.