“I bartender sono molto meno stressati, si divertono di più, sono più contenti e, dal mio punto di vista, rendono anche meglio: si approcciano ai clienti nella maniera più giusta, rilassata.”
Non è affatto un mistero che nel mondo della ristorazione e dell’hospitality si lavori troppo, troppo intensamente e che questo causi un tale stress da farne, quasi in tutto il mondo, un lavoro duro e deleterio.
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In questo articolo parlo nello specifico dei cocktail bar, che dietro a quella patina di allegria, shot, alcol e musica, nascondono diritti dei lavoratori mancati e ritmi fuori dal normale.
Se ci si pensa, la giornata tipo di un bartender è, necessariamente, sballata: sveglia relativamente tardi la mattina per recuperare le ore notturne perdute, qualche ora di vita privata (anche se ormai nei cocktail bar ci sono sempre più preparazioni che implicano il presentarsi anche di giorno) e dei turni che vanno in genere dalle cinque di pomeriggio alle 3 di notte, contando la chiusura dei conti, le pulizie e così via.
Non è un argomento di cui in Italia si parli molto—tra salari non adeguati, incidenti sul lavoro e contratti fasulli—ma forse dovremmo cominciare a chiederci: con un giorno libero in più le cose cambierebbero in meglio?
È esattamente quello che hanno pensato da Ultimo, cocktail bar di Varese dove, da settembre 2022, i ragazzi e le ragazze che ci lavorano hanno tre giorni liberi a settimana invece di due: a parità di stipendio, hanno un giorno di riposo in più.
“L’idea è nata dopo la ripresa dalla pandemia e i vari lockdown,” mi dice al telefono Fabio Maroni, proprietario di Ultimo. “In pandemia ci siamo reinventati come asporto e, una volta tornati alla normalità abbiamo dovuto spingere come pazzi perché, come molti altri avranno notato, il lavoro sembrava duplicato. Perciò, quando si sono calmate un po’ le acque, ho cominciato a pensare a come premiare il personale.”
“I vantaggi sono estremamente più alti. Il personale vorrà rimanere a lavorare nel tuo bar e questo a sua volta ti permette di reinvestire su di loro in maniera certa, con dei corsi di formazione seri, per esempio.”
Dato che la legge italiana lo prevede—lo prevede la Costituzione: articolo 36, comma 3—Fabio si è consultato con il suo personale e ha deciso di provare questa soluzione per un mese. E poi, in caso di insoddisfazione, semplicemente di aumentare lo stipendio. La legge infatti dice che il giorno di riposo è un diritto del lavoratore, ma che il datore di lavoro ha l’ultima parola e decide.
“Avevo esigenza di recuperare del tempo per me e per la mia famiglia,” mi dice Fabio Maroni, “e abbiamo pensato che potesse essere lo stesso per i nostri dipendenti. Hanno sui 30 anni—che non sono pochi se fai questo lavoro, magari anche da qualche anno.” Tipo che stare in piedi per ore ti causa bei problemi alla schiena e alle ginocchia, per dirne un paio. “Lo stiamo facendo ormai da 4 mesi e sì, confermo che funziona e me lo confermano anche loro: sono molto meno stressati, si divertono di più, sono più contenti e, dal mio punto di vista, rendono anche meglio, si approcciano ai clienti nella maniera più giusta, rilassata.” Che, in fondo, è quello che un bar dovrebbe essere, ospitalità pura.
C’è però una ragione, naturalmente, per cui non tutti i bar lo fanno. E non è solo una smania di potere che fa godere i proprietari nel rendere i propri dipendenti degli schiavi. Ed è molto semplice: accorciare la settimana costa. Non troppo di più, ma è un investimento di sicuro. “Chiaramente hai dei costi aggiuntivi: per farla breve devi trovare altro personale per coprire i buchi, ma per come la vediamo noi è un investimento sul lungo termine,” mi racconta ancora Fabio Maroni. “Però i vantaggi sono estremamente più alti. Non solo avrai il personale più rilassato, ma lo stesso personale vorrà rimanere a lavorare nel tuo bar e questo a sua volta ti permette di reinvestire su di loro in maniera certa, con dei corsi di formazione seri, per esempio. O, se parliamo di tempo, una volta che loro sono rilassati, hanno anche modo di visitare altri bar e portare nuove idee.”
Tra l’altro da Ultimo non solo i bartender lavorano 4 giorni a settimana, ma tutti fanno tutto, per rendere il lavoro ancora più stimolante e rilassante. È un modello che funziona, soprattutto in Australia. “Sì, infatti sono stato a lavorare a Sydney tempo fa e ho capito che mettere un giorno in più e girare i ruoli funzionava alla grande. E ho capito che devi rimuovere quello che non funziona e puntare sull’eccellenza e il benessere. Per dirti c’è una ragazza, Marta Azzalin, che è entrata a lavorare per Ultimo anni fa e ora è una socia del locale.”
Ultimo è un cocktail bar in una città relativamente piccola. Qualcosa che orribilmente oggi si definirebbe una realtà di provincia. Eppure cerca di stare al passo coi trend del momento sui cocktail, facendo una ricerca su tecniche e stagionalità e una selezione attenta di vini e birre.
E tengono ai diritti dei dipendenti. Un po’ come fa anche questo bar in provincia di Salerno.
Non so a voi, ma a me sembra a questo punto che il prossimo faro da seguire non siano più le grandi città, se non si danno una mossa.