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Tutto quello che devi sapere su Salvini e la nave Aquarius

Ma i porti si possono effettivamente chiudere? Il rimpallo tra Italia e Malta proseguirà a lungo?

Nella notte tra sabato e domenica la nave Aquarius della Ong SOS Mediterranée ha soccorso al largo della Libia 629 persone, tra cui 123 minori non accompagnati, 11 bambini e sette donne incinte. Un gruppo di migranti era stato salvato dagli operatori dell'organizzazione, mentre in 400 sono stati trasbordati sulla nave dopo essere stati recuperati dalla Guardia Costiera e dalla Marina Italiana.

Una volta terminate le operazioni, l’Aquarius si è messa in viaggio verso nord, in attesa che dal Centro di coordinamento di soccorso marittimo di Roma (che fino a quel momento aveva guidato le procedure) arrivasse l’indicazione di un porto sicuro dove attraccare.

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L’indicazione, però, non è mai arrivata, ed è esattamente da quel momento che la nave vaga nel Mediterraneo.

Nella giornata di domenica, infatti, sui giornali italiani è iniziata a circolare la notizia che il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini avrebbe “chiuso i porti” alle navi delle Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo, inviando una lettera urgente al governo di Malta in cui intimava di far sbarcare lì l’Aquarius. Il governo de La Valletta, però, ha sin da subito fatto capire di non averne l’intenzione; successivamente, Salvini ha pubblicato un post su Facebook in cui dopo aver accusato “tutta l’Europa” di farsi “gli affari suoi,” ha lanciato l’hashtag #chiudiamoiporti.

Già qualche giorno fa Salvini aveva iniziato a preparare il terreno per questa specie di prova di forza, accusando Malta di non collaborare nel soccorso dei migranti e promettendo che questa non sarebbe stata “un’estate di sbarchi.” L’annuncio di “chiudere i porti”, però, non è una sparata in solitaria, ma una decisione condivisa da tutto il Governo. In serata, infatti, è arrivata una nota congiunta con il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli, del MoVimento 5 Stelle, che ha la competenza sui porti, in cui si reiterava la richiesta di far sbarcare l’Aquarius a Malta. E anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte—dopo un vertice con Salvini e Di Maio e una giornata di silenzio—ha scritto di aver parlato con il primo ministro maltese Joseph Muscat. Questi, a sua volta, ha risposto dicendo che la nave non sarebbe sbarcata nei suoi porti, e ha accusato l’Italia di creare “una situazione pericolosa per tutte le persone coinvolte.”

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Questa mattina, infine, Salvini ha ribadito la chiusura dei porti, stavolta con riferimento alla nave della Ong tedesca Sea Watch, che è al largo delle coste libiche.

Tralasciando per un momento il punto fondamentale di tutta questa vicenda, ossia che ci sono 600 persone in attesa in mezzo al mare, ci sono due questioni.

La prima riguarda la legittimità o meno di chiudere i porti. L’ipotesi—peraltro, ventilata già l’anno scorso ma rimasta senza seguito—sarebbe anche in linea di principio percorribile, dal momento che, come spiega la guida sul soccorso in mare elaborata dai legali della Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili (CILD), “lo stato costiero, nell’esercizio della propria sovranità, ha il potere di negare l’accesso ai propri porti.” Le convenzioni internazionali sul diritto del mare, però “pur non prevedendo esplicitamente l’obbligo per gli stati di far approdare nei propri porti le navi che hanno effettuato il salvataggio, impongono e si fondano sull’obbligo di solidarietà in mare, che sarebbe disatteso qualora fosse negato l’accesso al porto di una nave con persone in pericolo di vita, appena soccorse e bisognose di assistenza immediata.”

Le norme internazionali violate dalla chiusura dei porti sarebbero più di una, a partire dal principio di non refoulement (non respingimento) sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra, e per cui l’Italia è stata già condannata in sede europea. Il rifiuto di accesso ai porti di imbarcazioni che abbiano effettuato il soccorso in mare, prosegue la guida di CILD, “può comportare la violazione degli articoli 2 e 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), qualora le persone soccorse abbiano bisogno di cure mediche urgenti, nonché di generi di prima necessità (acqua, cibo, medicinali), e tali bisogni non possano essere soddisfatti per effetto del concreto modo di operare del rifiuto stesso.” Inoltre, il “rifiuto, aprioristico e indistinto, di far approdare la nave in porto comporta l’impossibilità di valutare le singole situazioni delle persone a bordo, e viola il divieto di espulsioni collettive previsto dall’art. 4 del Protocollo n. 4 alla CEDU.”

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La seconda questione riguarda Malta. Come ha spiegato a Internazionale l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo, Malta non ha una vera e propria zona di ricerca e soccorso, ma da anni dipende dal coordinamento italiano. Inoltre, “non ha mai sottoscritto alcuni articoli della Convenzione di Amburgo del 1979 e della Convenzione Solas: queste norme prevedono che lo sbarco avvenga nel paese che ha coordinato i soccorsi, e da sempre in quel tratto di mare i soccorsi sono stati coordinati dall’Italia. Quindi per il diritto internazionale e per la prassi è sempre avvenuto che i soccorsi coordinati dall’Italia avessero assegnato un porto di sbarco italiano.”

Non è la prima volta, tra l’altro, che il governo italiano si rimpalla la responsabilità per il soccorso dei migranti nel Mediterraneo con l’isola—che ha un territorio pari a un quarto di quello di Roma. Il caso più noto è quello del cargo turco Pinar, rimasto bloccato per quattro giorni a 25 miglia da Lampedusa con a bordo 140 persone soccorse mentre Italia e Malta litigavano su dove farlo attraccare. Alla fine, la nave è sbarcata in Italia. Era il 2009, e il ministro dell’Interno era il leghista Roberto Maroni.

L’approdo finale in Italia, considerate le condizioni, è l’epilogo che potrebbe prospettarsi anche questa volta; anche se il premier spagnolo Sanchez ha annunciato la sua disponibilità a far attraccare la nave nel porto di Valencia. Nel frattempo, 629 persone soccorse da un naufragio saranno rimaste—per chissà quanto—bloccate nel Mediterraneo.

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