Mi piacciono le cover, da morire. Ascoltare il modo in cui una voce inedita prende possesso di una melodia già conosciuta, percepire la sensibilità con cui sceglie di lasciarla incontaminata o plasmarla secondo l’istinto: credo che interpretare il pezzo di qualcun altro dica molto sull’artista che lo fa. Per questo, il mio cover radar è completamente impazzito quando, circa un anno fa, gironzolando su YouTube sono finita qui:
Mi sono chiesta come fosse possibile che una ragazza così giovane potesse appropriarsi di un classico come “Bad” con questa consapevolezza, e da quale pianeta di una galassia lontana provenisse una voce del genere. Così, da quel momento di circa un anno fa, ho deciso che Billie Eilish fosse un alieno.
Devono averlo sospettato anche i suoi genitori, entrambi attori e musicisti, quando diciassette anni fa hanno deciso di dare a questa incredibile creatura il nome di Billie Eilish Pirate Baird O’Connell. Un nome impegnativo, che va assecondato. E così è stato: a soli undici anni Billie ha iniziato a creare le sue canzoni affiancata dal fratello Finneas, che nel 2016 ha pensato di farle cantare un pezzo che aveva scritto per la sua band ma che trovava più adatto a una voce femminile, “ocean eyes”. La fama di Billie è esplosa quando la traccia è stata caricata quasi per caso su SoundCloud, una piattaforma che ha portato alla luce tanti nomi che in vario modo hanno contribuito all nuova wave musicale che stiamo vivendo in questo momento. Non a caso, la stessa Billie ha dichiarato “SoundCloud è perfetto. Trovo lì tutta la nuova musica. È ciò che mi ha portato fin qui: chi ha talento magari non ha le risorse per condividere la sua arte, ma SoundCloud lo permette.”
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E con SoundCloud rapper come XXXTentacion e Lil Peep l’artista losangelina non ha in comune solo le modalità di debutto online, ma anche una tendenza all’introspezione che spesso sfiora l’abisso: nel suo dark pop minimale, le parole sussurrate raccontano sentimenti oscuri ed esperienze dolorose con cinismo e onestà. Si tratta di una tendenza alla malinconia che un’età brutale come l’adolescenza non può che rendere più pura, ma c’è di più: l’urgenza espressiva di Billie, soprattutto dal vivo, è così cristallina e magnetica da spezzare sistematicamente il mio cuore d’adulta con performance come questa, in cui tutto—la presenza scenica, l’empatia con il pubblico, il dolore—è totale e totalizzante.
Quiet when I’m coming home and I’m on my own
I could lie, say I like it like that, like it like that
È sincera, Billie Eilish: il suo rapporto con depressione e ansia non è mai stato un segreto, e ha recentemente reso pubblica la difficile convivenza con la sindrome di Tourette dopo l’uscita di alcuni video in cui i suoi tic erano stati raccolti in discutibili compilation. In effetti, essere lei non deve essere semplice: amatissima da una quantità impressionante di teenager di tutto il mondo (meno di un mese fa il suo sold out milanese), in diverse interviste ha raccontato senza ipocrisie le pressioni derivate dalla sua fama. Il suo account Instagram conta 14 milioni di follower ed è inutile girarci attorno: viviamo in un’epoca in cui tutto è esposto, tutto è narrato e i DM hanno abbattuto ogni limite tra fan e artista.
Deve essere davvero faticoso essere Billie Eilish, quindi, ma soprattutto vivere sotto così tanti riflettori il momento in cui il mondo intero si rende improvvisamente conto di quanto tu sia un alieno. Mentre scrivevo questo pezzo, mi sono imbattuta in almeno dieci articoli che la definivano “il futuro del pop.” Dave Grohl, oltre ad aver inaspettatamente suonato “idontwannabeyouanymore” insieme alla figlia, ha detto di lei: “Le sta succedendo esattamente quello che successe ai Nirvana nel 1991. Ci si chiede se il rock sia morto, ma quando guardo gente come Billie Eilish capisco che il rock non è ancora morto.” Non solo: è stata la musa del noto artista giapponese Takashi Murakami per una recente cover del magazine Garage, mentre il regista Alfonso Cuarón l’ha scelta per comporre un pezzo ispirato al suo film Roma, vincitore di tre premi Oscar. Niente male per una ragazzina, no?
Ciò che rende Billie Eilish così speciale, oltre a un innegabile talento, è anche la sua capacità di incarnare perfettamente un certo zeitgeist estetico. È molto distante dall’essere una Lolita iper-sessualizzata come, per intenderci, la Britney Spears di “…Baby One More Time”: i suoi vestiti oversize mostrano pochissimi centimetri di pelle e la collocano, così come il suo atteggiamento, oltre ogni stereotipo di genere. In una recente intervista, ha dichiarato: “I don’t fuckin’ wanna be a girl, bro. I mean, I am. But I don’t wanna be like… A GIRL.” E io, che alla sua età pensavo esattamente la stessa cosa, non posso che supportare questa diciassettenne appassionata di streetwear che cita come massime fonti di ispirazione due nomi agli antipodi come Tyler, The Creator e Lana Del Rey. Questa volta l’industria musicale dovrà trovarsi un’altra bambolina, perché Billie Eilish non sembra davvero oggettificabile.
Il vero giro di boa sarà l’album When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, in uscita il 29 marzo a due anni di distanza dall’EP di debutto dont smile at me. Gli enfant prodige non hanno mai avuto vita facile, si sa, e la vera sfida per Billie sarà riuscire a lasciare il segno senza perdersi, per diventare molto di più di una next big thing e coltivare il suo talento come il prezioso dono alieno che è. Perché se amo così tanto un’artista che ha circa dieci anni meno di me, o sto invecchiando benissimo (e lo spero in ogni caso) o siamo davvero davanti a una fuoriclasse.
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