Cibo

Recuperare cibo ancora buono dalla spazzatura. Il dumpster diving spiegato da 3 attiviste

In Italia è difficile, ma in Europa la pratica di salvare cibo in ottime condizioni dai cassonetti del supermercato è una pratica sempre più diffusa.
Cos'è il dumpster diving
Foto per gentile concessione di Anna Masiello

La prima sera in cui ho fatto dumpster diving mi ha segnata: fuori da un supermercato avevamo trovato cinque cassonetti pieni zeppi di frutta, verdura e altri prodotti imballati.

Dumpster diving è un termine inglese che si può tradurre come "tuffarsi nei cassonetti", ed è una pratica che consiste nel frugare nella spazzatura dei supermercati alla ricerca di cibo scartato, ma ancora in ottime condizioni.

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È un modo di salvare prodotti perfettamente commestibili che non possono più essere venduti dai supermercati e che altrimenti finirebbero in discarica.

A partire dagli anni Novanta questa attività inizia a diffondersi negli Stati Uniti anche grazie all’ideologia freegan, uno stile di vita anti-consumista che unisce veganesimo e recupero di cibo sprecato. Oggi questa pratica è sempre più diffusa anche in Europa, in particolare nei Paesi Scandinavi.

In alcune città come Copenaghen il dumpster diving è abbastanza sdoganato, in particolar modo tra studenti e giovani lavoratori, che decidono di rifornirsi dai cassonetti per ridurre il proprio impatto ambientale e risparmiare anche qualche soldo.

Non tutti i dumpster diver lo sono per motivi etici. Per alcuni quella di frugare tra i cassonetti rimane una mera necessità, mentre per altri può essere vissuta come un'attività con una componente ludica. Tuttavia sempre più attivisti hanno iniziato a creare scalpore sui social mostrando le quantità impressionanti di cibo trovate nella spazzatura.

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Foto per gentile concessione di Matt Homewood

Matt Homewood è uno di questi. Sul suo Instagram posta le foto dei suoi "raccolti" e quelle di altri attivisti in giro per l'Europa e di recente è stato invitato a parlare degli scarti alimentari dovuti alla grande distribuzione alla COP26 di Glasgow.

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Foto per gentile concessione di Anna Masiello

I numeri parlano chiaro: secondo le Nazioni Unite nel 2019 sono state prodotte 931 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, di cui 118 milioni di tonnellate solamente dal settore retail. Si stima che il 17% per cento di tutto ciò che viene coltivato finisca in discarica, con un impatto enorme su biodiversità ed inquinamento ambientale. Inger Andersen, Executive Director dell'UNEP, ha affermato che se lo spreco alimentare fosse un Paese sarebbe il terzo al mondo per emissioni di gas serra.

Per approfondire l’argomento in questo pezzo ho deciso di fare delle domande a tre attiviste per l’ambiente, che mi hanno parlato di dumpster diving e spreco alimentare: Anna Masiello, Nara Valsangiacomo e Zoe Cirina.

Già da qualche anno avevo intrapreso un cammino nel mondo low impact e senza rifiuti, quindi questa attività mi sembrava perfetta per ridurre ancora di più gli sprechi.

Masiello, conosciuta sui social come @hero_to_0, è un’attivista zero waste e imprenditrice sociale. Vive in Portogallo dove mi racconta di aver fatto dumpster diving per la prima volta nel gennaio 2019.

“Mi ero appena trasferita in una nuova casa a Lisbona (dove ho fatto una magistrale in sostenibilità ambientale) e la mia coinquilina mi ha chiesto se volevo provare a fare dumpster diving. Già da qualche anno avevo intrapreso un cammino nel mondo low impact e senza rifiuti, quindi questa attività mi sembrava perfetta per ridurre ancora di più gli sprechi. Non avevo idea però che avrei trovato così tanto cibo nei cassonetti della spazzatura dei supermercati. Quella sera in cui ho fatto dumpster diving per la prima volta mi ha segnata, fuori da un supermercato avevamo trovato cinque cassonetti pieni zeppi di frutta, verdura e altri prodotti imballati.’’

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Da quel giorno racconta di aver fatto dumpster diving ogni settimana per più di un anno (fino a quando ha vissuto a Lisbona), condividendo foto e video per sensibilizzare sul problema. Anche se, mi racconta, che a differenza di ciò che può apparire dalle foto sui social, i rivenditori non sono gli unici responsabili per lo spreco alimentare che avviene anche a livello di produzione e nelle nostre case.

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Foto per gentile concessione di Matt Homewood

“Una grande quantità di prodotti ortofrutticoli non arriva neanche sui banchi dei mercati in quanto non conformi agli standard di “bellezza” moderni. Quelli che arrivano sui banchi, sono spesso buttati via a fine giornata se sono ammaccati o danneggiati dopo una lunga giornata tra le mani di varie persone. In casa, troppe volte vengono buttati via prodotti che rimangono dimenticati in frigo un po’ troppo a lungo.”

In Italia spesso i cassonetti dei supermercati sono posizionati in proprietà private e chiusi con lucchetti, forzarli è illegale

Nara Valsangiacomo è un’attivista per l’ambiente. È svizzera ma ha vissuto anche in Italia, a Bologna. Mi racconta di non aver mai provato a fare dumpster diving in Italia per paura di qualche controllo e perché nessuno era disposto ad andare assieme a lei. In Italia spesso i cassonetti dei supermercati sono posizionati in proprietà private e chiusi con lucchetti, forzarli è illegale.

Mi racconta invece come in Svizzera questa pratica sia molto più diffusa. “Ho frequentato l'università a Zurigo, dove la pratica è piuttosto conosciuta: agli aperitivi di diverse associazioni offrivano pane e pesto "salvati" e vi erano diversi collettivi che si organizzavano.”

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Ci sono anche alcune regole informali da seguire, come “non prendere tutto il cibo buono ma lasciane un po’ per chi verrà dopo di te” o “non prendere alimenti che hanno toccato i lati o il fondo del cassonetto.”

Zoe Cirina è una giovane cuoca che vive a Copenaghen, dove ha lavorato da Amass, il ristorante di Matt Orlando (già sous-chef di Renè Redzepi al Noma, che nella sua nuova esperienza ha puntato molto sulla sostenibilità dei suoi piatti). Mi racconta di aver scoperto il dumpster diving quando ancora viveva in Italia, grazie ad una youtuber danese.  “Ne sono rimasta molto colpita perché io stavo (e sto tuttora) intraprendendo un percorso zero-waste e cercando di ridurre al minimo il mio impatto sul pianeta quanto possibile. Di solito ci si concentra sulla propria impronta ambientale convinti che questo tipo di percorso da solo possa fare la differenza, ma in quel momento mi sono resa conto di quanto il nostro potere sia limitato se poi i grandi supermercati possono gettare così tanto cibo senza attirare l’attenzione e venire puniti.”

Le cose sbagliate che fai credendo di salvare l’ambiente

Mi racconta che dopo essersi trasferita a Copenaghen ha scoperto che anche lì non è facile trovare dei cassonetti accessibili, tuttavia esistono gruppi di persone che si organizzano per fare dumpster diving alla ricerca di frutta e verdura ancora incelofanata, prodotti di origine animale e altro ancora. Ci sono anche alcune regole informali da seguire, come “non prendere tutto il cibo buono ma lasciane un po’ per chi verrà dopo di te” o “non prendere alimenti che hanno toccato i lati o il fondo del cassonetto.”

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“Io l’ho praticato per un periodo in cui lavoravo attaccata ad un supermercato che aveva i cassonetti spesso aperti, era un modo per fare qualcosa di sostenibile e in più risparmiare sulla spesa, e poi lo trovavo anche divertente. Recentemente ho abbandonato un po’ il dumpster diving perché ho scoperto delle associazioni che fanno un lavoro simile ma più su vasta scala, andando a ritirare direttamente dai supermercati l’invenduto tenuto da parte appositamente per questo scopo. In questo caso il cibo viene selezionato, diviso in scatole e venduto per poche corone.’’

Anche in altri Paesi esistono delle realtà del terzo settore che si occupano di evitare che il cibo che rimane troppo a lungo sugli scaffali dei supermercati vada sprecato; mi racconta Masiello che in Europa, ad esempio in Francia e Italia, esistono legislazioni a riguardo. In Francia c’è l’obbligo per i punti vendita di donare prodotti alimentari invenduti ad associazioni e sono previste multe salate per chi non lo fa. In Italia, diversamente dalla Francia, sono previsti incentivi per i commercianti che donano eccedenze alimentari e quindi per loro conviene di più donare il cibo che sprecarlo. 

Negli ultimi anni abbiamo anche assistito alla nascita di diverse app contro lo spreco alimentare che creano un collegamento tra distribuzione e cliente. Secondo Valsangiacomo bisognerebbe però ripensare anche produzione e logistica: agricoltura di prossimità (che favorisce anche il stagionale), autoproduzione, servizi su ordinazione e distribuzione più efficiente. 

Anche per quanto riguarda gli scarti alimentari nel mondo della ristorazione c’è ancora molto da fare. Per Cirina le cucine non sono ancora del tutto trasparenti sul tema della sostenibilità, esistono premi per l'impegno ambientale ma i controlli sono pochi. È difficile che un locale sia 100% zero waste, ma questo non vuol dire che non si possa cercare di diventarlo.

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