Música

L’algoritmo che calcola se una canzone rap sarà una hit

Considerando che solo i milionari sono in grado di apprezzare davvero il senso di essere milionari, essere un rapper di successo oggi è la risposta alla formula get-rich-quick-[or-die-trying] più perfetta che si possa immaginare. Il successo artistico però, purtroppo, è elusivo, e ciò nel complesso è il motivo per cui un rapper alle prime armi ma che vuole sfondare si trova costretto a investire il suo prezioso tempo nella creazione di beef ignoranti su Twitter/Instagram, invece che nella musica. Va tutto bene amici, vi veniamo incontro noi.

Quanto vi stiamo per illustrare è qualcosa a metà tra la figata e la nerditudine: finalmente gli algoritmi fanno ingresso nel regno di Biggie Smalls. Anthony Abraham e Nikhita Koul sono due accaniti fan di hip-hop e derivati che si sono da poco laureati alla UC Berkeley, in Masters of Information and Data Science. Il progetto su cui si è sviluppata la tesi, loro e di un compagno di corso chiamato Joe Morales è il Rap Analysis Project (abbreviato R.A.P.), che applica “tecniche di apprendimento meccaniche e dati scientifici a un database di testi rap dagli anni Ottanta al 2015.” Tra tutte le meraviglie che questa cosa può comportare, c’è anche la creazione di un modello che può predire, a partire da un testo, se un pezzo rap ha le potenzialità per diventare una megahit.

Mentre i loro compagni di corso si occupavano di questioni come predire i risultati delle partite di baseball e analizzare i pro e i contro di acquistare un’automobile a elettricità, il team R.A.P. ha raccolto migliaia di testi rap in un database e ha cercato di capire quali parametri statistici servissero per renderla una bomba o per farla malcacare dal mondo intero.

I risultati sono su questo sito, dove è possibile inserire un testo rap, un anno, e calcolare se tutto ciò è destinato a diventare un tormentone. Ci sono anche diagrammi che spiegano perché certi argomenti trattati nei testi sono più popolari di altri, quali parolacce usare e quante.

“Praticamente abbiamo cercato di creare un modello base per il nostro sistema in grado di distinguere tra variabili importanti e non,” mi ha detto Abraham al telefono, “le consideriamo come dei veri e propri dati, e ci andiamo a trovare termini specifici contenuti nei testi che possono essere rilevanti, numero di vocaboli e tipo di parole usate. L’approccio alle canzoni era prettamente algoritmico. Quando le abbiamo raccolte tutte, abbiamo osservato quali variabili si avvicinavano maggiormente alle previsioni.”

Screenshot del diagramma, che è anche interattivo.

“Quello che abbiamo constatato è che i temi erano importantissimi, e così la blasfemia. È interessante perché da qui si evince che tra tante parole, le imprecazioni e la loro percentuale rispetto all’insieme di vocaboli, hanno più impatto sul risultato finale,” va avanti. “Gli argomenti trattati e le parolacce erano i due parametri decisivi e con più influenza sul nostro modello.”

Eccoci quindi: temi e bestemmie.

Ci ho giocato un po’ pure io, che manco sono un MC, e infatti ho usato canzoni altrui. Stranamente, ho avuto difficoltà a trovare un testo che non fosse destinato a diventare una hit: ok che i De La Soul vanno bene in qualsiasi epoca storica, ma andando sui pezzi rap inutili e sconosciuti anche a gesù tipo “’I Love College” di Asher Roth il motore R.A.P. ha decretato il suo inesorabile successo nel 2001, e così pure “’All Night’ di Silkk the Shocker, ‘Make It Classy’ di Talib Kweli, e ‘Elvis Killed Kennedy’ dei Vanilla Ice.”

Il pezzo di Roth sarebbe diventata una hittona nel 1991 perché simile a “’Weed #2 – Phife Dawg’ dei De La Soul, ‘Ain’t a Damn Thing Changed’ di Ice-T, e ‘Memories’ dei Cypress Hill.” Quanta bellezza old school. Pure il verso sfigato di Jay-Z in “Monster” è una potenziale bomba.

Con l’aiuto del diagramma sulle parolacce, però, mi sono sorpreso di scoprire che l’istituzione del Wu-Tang “Shame on a Nigga” contro ogni aspettativa non sarebbe stata una hit nel 1987. È anche vero, d’altra parte, che quelli erano anni in cui il neonato rap stava fuoriuscendo dall’epoca disco, e la gente forse non sentiva ancora il bisogno impellente di ringhiare in faccia ad altri esseri umani “ti spacco il culo figlio di puttana”.

Screenshot del diagramma delle parolacce, che è sempre interattivo.

“Si possono vedere le maggiori tendenze [nell’uso di volgarità], ed è interessante notare che alcune parolacce in voga negli anni Novanta, ainizio Duemila hanno smesso di andare di moda, e sono ritornate in voga negli anni Dieci. Un eterno ritorno dell’uguale, praticamente,” spiega Abraham.

“Fa proprio parte di un’intera generazione di rapper, utilizzare parolacce nei propri testi.”

Sembra tutto come un’infallibile formula per sfornare hit prevedibili, impacchettate e infiocchettate ad hoc, che certo, può suonare allettante se non fosse che si confà esclusivamente al linguaggio e non alla moltitudine di altri fattori che influiscono sul risultato finale, come la produzione e il flow.

“Abbiamo pensato che questi dati sarebbero stati più utili ai producer, perché è a loro che serve capire cosa attrae di più gli ascoltatori e che temi scegliere, così da farne una specie di catena di montaggio,” mi ha spiegato Koul al telefono. “È questa la figata.”

Preciso.

Ma chiaramente gli usi sono anche altri. Koul precisa che i dati possono aiutare “servizi come Pandora, cioè quelli in cui per ascoltare canzoni che parlano di religione, basta inserire il parametro e il sistema seleziona la musica per te.”

Abraham ha aggiunto che sarebbe anche comodo per “delineare le caratteristiche delle diverse generazioni hip-hop: come e quando è cambiato lo stile, o quando è mutata la storia del rap.”

Ma l’aspetto più affascinante è venuto fuori da Koul. “L’altra questione che abbiamo provato a risolvere è stata la generazione automatica di testi,” ha detto. “Prendi un artista, impara bene le sue canzoni e genera in automatico un pezzo con un tema ben preciso. Ad esempio, si può costruire a tavolino un Eminem che rappa sui cambiamenti climatici. Forse così la gente si convincerà che può davvero funzionare.”

Non so, temo che i più sensibili al tema cambiamento climatico non saranno così ammaliati da Eminem che ne parla, men che meno dallo stesso Mr. Mathers, ma è comunque un bel viaggione immaginarsi l’ologramma di Tupac che va in tour e tiri fuori un intero album nuovo, senza bisogno di scomodare il vero Tupac, che come ben sapete risiede a Cuba ed è giusto che rimanga indisturbato.

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