Salute

Un’aggressione ha cambiato il modo in cui funziona il mio cervello

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Era una sera di agosto a New York e io stavo tornando a casa dopo un barbecue con gli amici, avevo bevuto un po’ e mi stavo godendo quell’abbraccio caldo dell’umidità sulla pelle. Il sole era appena sceso sotto l’orizzonte ma il cielo era ancora chiaro. Le auto sfrecciavano veloci accanto a me. Ero quasi a casa, quando all’improvviso sento la mano violenta di un uomo stringermi la gola. Mi gira di forza e preme le sue labbra sulle mie, mentre con la mano libera mi tiene fermo il braccio. Non riesco a respirare, non riesco a urlare e non posso dare colpi o calci per via della posizione in cui mi ha costretto. Cerco di dimenarmi, sposto la testa, gli mordo forte le labbra e la lingua, e annaspo per prendere fiato. Dopo quella che mi sembra un’identità, finalmente si ferma una macchina con una giovane coppia per aiutarmi. L’uomo allora lascia la presa e corre dal lato opposto, mentre io sono lì, incapace di sentire le mie stesse urla di terrore.

Qualche settimana più tardi, una volta guarite le ferite sul collo, la mia vita sembrava continuare come se nulla fosse successo. Non ero stata ferita o violentata; l’aggressore non mi aveva rubato nulla. Nessuno era morto. Eppure qualcosa dentro me era cambiato. E così mi sono chiesta, quale effetto può avere un trauma isolato su un essere umano? Che si tratti di un’aggressione fisica, di un incidente d’auto o di una sparatoria, se ne esci fisicamente “illeso”, è possibile che ci siano altri danni che non si vedono?

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Gli esperti trattano la reazione del cervello all’ambiente circostante. I neuroni controllano i nostri pensieri e il nostro comportamento, quindi quando un evento traumatico modifica l’attività di quei neuroni, di solito provocando un momento di azioni molto intense e concitate, in cui i neuroni sono “in guardia, pronti a scattare alla minima provocazione”, questo cambiamento ha delle conseguenze sul modo in cui pensiamo e agiamo, spiega Daniel Amen, uno psichiatra di Los Angeles, e autore di diversi libri sul cervello, la memoria e il processo di guarigione dopo un trauma.

Ovviamente, questo tipo di cambiamento non si manifesta immediatamente. Ann Russo, terapeuta che ha lavorato con i sopravvissuti subito dopo la sparatoria di Las Vegas nel 2017, ricorda che poche persone hanno accettato di incontrarla dopo la strage, e che il gruppo di supporto che era stato istituito era rimasto praticamente deserto per settimane. Poi, le persone hanno iniziato a presentarsi agli incontri. “Quando si sono accorti che non erano più in grado di fare le cose semplici che facevano prima della strage, in quel momento hanno cercato aiuto,” dice Russo. Questo ritardo è del tutto normale, così come la sensazione di paralisi emotiva e il desiderio di evitare qualunque cosa che riporti alla mente l’evento traumatico per un po’ di tempo, aggiunge Aimee Daramus, psicologa di stanza a Chicago.

Lo capisco. Quando sono arrivata a casa sana e salva da mio marito quella sera, non riuscivo a ripensare all’aggressione senza che il mio cuore si mettesse a battere all’impazzata e senza sentire il sapore del sangue del mio aggressore in bocca. Quella sera ho bevuto del whisky e ho guardato un vecchio episodio di Crazy Ex-Girlfriend, con lo sguardo freddo, ignorando volontariamente il labbro gonfio, il collo dolorante e il fastidio alla gola.

In ogni caso, dice Russo, aspettare troppo a lungo non è una buona idea: “Prima processi il trauma, meglio è. Così facendo, non ha modo di fissarsi nella tua mente.” Infatti, un trauma irrisolto può manifestarsi nei modi più violenti e disparati: provocando ansia, attacchi di panico, abuso di sostanze stupefacenti e relazioni complicate con le persone care. Inoltre, un trauma può anche portare la persona a evitare in modo ossessivo determinate situazioni.

Russo, infatti, racconta che molti dei suoi clienti avevano fatto fatica a uscire in pubblico dopo la sparatoria. “Anche nelle cose più semplici come andare a fare la spesa, cercavano subito le vie di uscita più vicine,” spiega. Il trauma provoca comunemente quella che viene definita “ipervigilanza” (uno stato di massima attenzione e suscettibilità all’ambiente circostante) in cui la vittima cerca di proteggersi da un eventuale nuovo evento traumatico. Per me, questo significava cambiare vagone della metropolitana quando notavo un uomo che mi fissava per più di pochi secondi, oppure aumentare il passo per strada quando avevo un presentimento negativo su qualcuno.

Questi cambiamenti accadono perché il nostro cervello cerca di processare i ricordi traumatici. Gli ormoni dello stress, come il cortisolo e la noradrenalina, che vengono rilasciati nel corso dell’evento traumatico, fanno sì che il nostro ricordo di quel momento sia più vivido rispetto ad altri momenti più banali. E generalmente i ricordi traumatici non sono intaccati dal passare del tempo, e possono rimanere vividi e distinti nella nostra mente anche a molti anni di distanza.

Molte persone, io compresa, danno per scontato che un trauma isolato possa essere superato con facilità. Ma il cervello non funziona così. Russo lo spiega: “Se vieni continuamente colpito in faccia, appena qualcuno ti si avvicina trasalisci, impaurito. Ma sei stato colpito in faccia una sola volta, avrai la stessa reazione quando qualcuno ti passa accanto? Secondo me sì.” La realtà è che qualsiasi trauma influenza il funzionamento del cervello e crea determinate aspettative in determinate situazioni. Ed è per questo che il mio cuore si ferma ogni volta che sento qualcuno camminare dietro di me sul marciapiede, e che ogni volta che sento dei passi, mi aspetto che qualcuno mi faccia del male.

Quindi sì, il trauma ha delle conseguenze sul funzionamento del cervello, ma non devi permettergli di creare una nube oscura permanente sulla tua testa. Qui ci sono alcuni consigli degli esperti per cercare di gestire un evento traumatico simile al mio:

Accetta quello che è successo (quando te la senti)

Rifiutare o negare il trauma potrebbe impedirti di superarlo, con eventuali conseguenze a lungo termine sulla tua salute mentale, come disturbi d’ansia o depressione. Quando senti che è arrivato il momento, è consigliabile cercare supporto, che sia una persona di fiducia o un professionista.

Esplora le soluzioni a tua disposizione

La buona notizia, dice Daramus, è che “molte delle attuali terapie per il recupero post-traumatico sono progettate per gestire eventi isolati.” Tra queste, la terapia cognitivo-comportamentale (CBT), la terapia dialettico comportamentale (DBT), e l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing o EMDR, in cui grazie ai movimenti oculari si riducono gli effetti dei sintomi (desensibilizzazione) e si riattiva il fisiologico processo di elaborazione delle informazioni. Infine, le ricerche in corso stanno esplorando l’efficacia degli allucinogeni e della realtà virtuale per la gestione del trauma.

Accetta il cambiamento

Il tuo cervello è cambiato, ma non è necessariamente una cosa negativa. Se i cambiamenti non ti generano ansia o altri disturbi, la cosa migliore da fare è accettarli. “È importante capire e accettare la nostra nuova personalità,” dice Russo.

Rielabora la tua storia

Affrontare un evento traumatico significa rielaborare il concetto del trauma perché diventi parte integrante della tua storia. Così facendo, dice Russo, “sei tu che controlli il trauma, non il trauma che controlla te.”

La mia terapeuta mi ha consigliato di provare con questo esercizio: ogni volta che la mia mente ripensa a quando l’uomo mi ha messo le mani al collo—a quando mi sono cadute le cuffie, si è interrotta la musica e la mia mente è stata travolta dal panicoio cerco di sostituire quel pensiero con il primo momento in cui mi sono sentita al sicuro. Nel mio caso, è stato quando mi sono ritrovata sul sedile posteriore dell’auto della coppia che si era fermata per aiutarmi, ancora senza fiato e ho guardato accanto a me e ho visto il figlio piccolo nel suo seggiolino che mi sorrideva, mentre cercava di mostrarmi il suo aquilone. Intervenendo sul mio cervello per fargli ricordare il finale positivo della storia, invece del momento di terrore, sono riuscita a fare mia quell’esperienza, togliendole il suo potere distruttivo.

Una delle più grandi difficoltà nel caso di questi traumi isolati e improvvisi, è convincersi che non succederà di nuovo. E così ti convinci che sia normale, anzi che sia giusto reagire in modo ansioso a situazioni del tutto normali e tranquille: è così che giustifico a me stessa tutte quelle volte in cui controllo che la porta di casa sia ben chiusa, o quando mi guardo le spalle mentre cammino da sola. È quella sensazione che ti perseguita: potrebbe succedere di nuovo.

La verità è che in qualsiasi momento, potrebbero succedermi tantissime cose brutte: potrei rompermi di nuovo una gamba, strozzarmi con un muffin, o dare fuoco alla mia lunga coda con una candela (sì, sono tutte cose che mi sono successe davvero). Eppure non lascio che queste possibilità influenzino il mio comportamento. E ogni mattina, quando mi sveglio e mi rendo conto che è passato un giorno in più da quella tremenda sera d’estate, cerco di allontanare da me quella possibilità. Per circa trent’anni ho creduto di essere invincibile, e poi, all’improvviso, ho capito che non era così; ma questa presa di coscienza non mi ha reso più vulnerabile. Anzi, mi ha reso più forte.

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