“Non riesco a capire perché gli scaffali delle nostre cucine non siano pieni di questi libri vintage.”
Nei mercatini dell’usato, si sa, la pazienza viene spesso ripagata.
A me capita con i libri: ultimamente, spulciando tra la brutta roba di modernariato, ho scovato alcune letture sul cibo decisamente singolari.
Dalla scoperta mi sorge sempre qualche domanda: quando hanno iniziato a pubblicare testi sulla cucina? Quando è stato scritto il primo ricettario?
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Se volete due nozioni veloci, pare che il primo ricettario risalga al 230 d.C, il De Re Coquinaria del romano Marco Gavio Apicio—dove si trova anche la ricetta di questo vino aromatizzato.
In seguito, grazie anche all’invenzione della stampa, si è cominciato a scrivere libri di ricette che si sono diffusi nelle corti europee. Ma è con il 19esimo secolo che i libri di ricette e di cucina sono diventati disponibili a un pubblico più vasto. E con gli anni Cinquanta del Novecento il genere ha raggiunto il suo apice.
È proprio di questi libri vintage che vi voglio parlare: quelli che vanno a grandi linee dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta, dotati tutti di copertine fichissime.
Per indagare più a fondo su questi libri, mi affido a Livia Satriano, che ha una pagina Instagram, Libri Belli, in cui racconta libri vintage e ne mostra le copertine irresistibili. Tra l’altro anche lei, come me con Petronilla, ha la sua eroina dei libri di cucina, Lisa Biondi: un personaggio italiano immaginario che ricorda la Betty Crocker delle campagne pubblicitarie per cibo e ricette in America negli anni Venti. È interessante vedere come, dagli inizi del Novecento fino agli anni Sessanta, fossero molte le autrici, spesso anche fini intellettuali, che non volevano associare il proprio nome alla cucina.
Insieme a Satriano faccio una carrellata di libri di epoche diverse, focalizzandomi su quelli a tema cibo—per quanto la sua pagina spazi in realtà in ogni campo bibliografico—, e riscontro alcune caratteristiche ricorrenti nelle pubblicazioni di oggi come in quelle di ieri. Per esempio, l’estrema cura nei dettagli e nei materiali di stampa. “Ora ci sono altre necessità e priorità,” mi spiega Satriano. “La copertina, per dirne una, prima era fondamentale per colpire il lettore all’interno delle librerie, perché avveniva tutto in quel luogo. Era il luogo e l’occasione per toccare i libri, per interagire con essi in quanto oggetti.”
Il costo di questi libri è perlopiù contenuto. I collezionisti non sono molti e si possono trovare libri pazzeschi a cifre basse. Anche se ci sono, poi, rarità il cui prezzo si alza, ma tutto sommato nemmeno troppo.
Insomma, la funzione del libro di cucina era diversa e più profonda: spesso non era solo ricettario, ma anche una guida su più livelli e su diverse cose, che oggi possiamo usare come fantastico archivio storico culinario.
“Basta vedere Le pentole in soffitta, un libro dove sono fisicamente attaccate tutte le etichette dello scatolame e packaging degli anni Sessanta e la prefazione è di Ugo Tognazzi,” mi illustra Satriano. E io impazzisco, perché adoro questi libri che sono il trionfo del collage e coinvolgono un senso in più, il tatto. Così come mi adoro il fatto che, dentro questi libri, spesso si trovino fogliettini con ricette o nomi di ristoranti. “Io ho addirittura un raccoglitore dove colleziono i bigliettini che trovo in questi libri,” mi dice Satriano.
Tornando a parlare di copertine, è molto interessante notare che anche gli illustratori coinvolti non erano casuali, ma si faceva a gara per avere i migliori, a prescindere dal livello alto, medio o basso delle pubblicazioni.
L’illustrazione veniva usata come veicolo potentissimo per parlare ad un pubblico più ampio possibile. Anche i libri tascabili più sfigati, considerati di serie b, vedevano coinvolti illustratori come Fulvio Bianconi, praticamente l’equivalente, oggi, di Olimpia Zagnoli. Allo stesso tempo, la fotografia è invece praticamente assente, tranne per alcuni still life molto trash che oggi ci fanno sorridere, come nel volume “Surgelati in cucina.”
Ma di cosa trattavano questi libri di cucina vintage? Erano semplici, sterili, ricettari? “Ci sono due filoni, direi: uno di ricerca e uno da manuale. Ci sono dei libri monotematici molto specifici dedicati per esempio allo yogurt, alla patata, all’uovo o al peperoncino,” mi spiega Satriano, “e dall’altra parte abbiamo invece, le spiraline—quei libri ad anelli che sicuramente avrete visto a casa di nonna—spesso pubblicate da aziende come Findus o Star. Insomma, schede che contengono ricette facili da collezionare. Le più famose sono: I Jolly della buona cucina, un’intera collana divisa per argomento.”
Ovviamente tutto è figlio del proprio periodo storico e negli anni Settanta, se parliamo di cibo, parliamo decisamente di scatolame, surgelati, dadi per insaporire e sughi in barattolo. Insomma, tutto ciò che era pronto all’uso o che ti semplificava la vita. Non è un caso, appunto, che molti dei ricettari più famosi siano fatti dalle aziende produttrici, che cercavano di segnare una linea sottile tra la tradizione del cucinare e una nuova facilità nel farlo. Per cui nella ricetta che prevede un ragù pronto in scatola, ci sono altre preparazioni che ti fanno pensare di stare comunque cucinando qualcosa con le tue mani.
Sono poi interessanti a loro volta i libri di cucina dedicati ai bambini, volumi indimenticabili come il Manuale di Nonna Papera della Giunti Editore—che a casa mia non sono però mai arrivati—e i volumi dedicati agli uomini, come Uomini in cucina di Elena Spagnol e Bruno Vergottini. Ma anche libri estremi, come quello hippie di Mariarosa Sclauzero, intitolato Concerto Rock per cucina, in cui l’autrice raccoglie dolci macrobiotici e senza zucchero, le cui ricette sarebbero state dettate alla protagonista (forse fittizia, forse reale) da Mick Jagger in persona—con il quale, dice, avrebbe avuto una relazione.
Sono comunque tutti libri avvistati nei mercatini della domenica, quello milanese di Corsico, ad esempio, tra giochi per bambini e i mobili che non vuole più nessuno, e anche Satriano mi conferma che “i mercatini sono da sempre il mio pozzo di ricerca. Ma ci sono anche librerie dell’usato, soprattutto a Napoli—la mia città natale—, per esempio nel quartiere di Port’Alba, ma anche a Milano da Scaldasole Book, Libet e Potlatch. E, ovviamente, si possono trovare praticamente tutti anche su internet.”
Il costo di questi libri è perlopiù contenuto. I collezionisti non sono molti e si possono trovare libri pazzeschi a cifre basse. Anche se ci sono, poi, rarità—che potete trovare qui, per esempio—il cui prezzo si alza, ma tutto sommato nemmeno troppo. “Ci sono delle perle che ho pagato nulla, 5, massimo 10 euro,” mi racconta Satriano. “Come Lo Stivale allo Spiedo che in realtà ha un valore quasi inestimabile (e costa sui 30 euro normalmente, ndr) in cui diversi scrittori italiani, tra cui Mario Soldati e Dino Buzzati, raccontano le cucine regionali, tra aneddoti e dettagli storici.”
Satriano, innamorata di Milano come me, ha pubblicato insieme al collettivo ed editore indipendente Tazi Zine un libro sulla cucina meneghina—Mangia, Bev e Taz -viv in santa pas—, partendo proprio da vecchi libri di osterie e tradizioni milanesi.
Ci sono alcuni volumi di personaggi più noti, per esempio Luigi Veronelli, gastronomo, giornalista e filosofo anarchico nato negli anni Venti, che salgono un po’ di prezzo, ma comunque entro le poche centinaia di euro. Probabilmente è legato al numero di copie limitato in circolazione. “È un mercato che dovrebbe crescere, com’è successo con i libri di fotografia vintage e non capisco perché ancora non sia successo,” confessa Satriano.
Prima di andarmene dalla libreria privata di Satriano le chiedo qual è il suo libro di cucina preferito. “201 panini d’autore con la prefazione di Mario Soldati è la mia fissa,” risponde. “Adoro i panini, vivrei solo di quelli.”
Ecco, come i panini non moriranno mai, in fondo non lo faranno nemmeno i vecchi libri di cucina. Dobbiamo solo ricominciare a riempire le nostre librerie e farli tornare di moda.
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