Magic Waddle

Il 22 giugno 1986 Diego Armando Maradona aveva prima frustrato il virile senso della giustizia sportiva inglese segnando un gol palesemente irregolare e battezzandolo “la Mano di Dio“, come se, cioè, si fosse trattato di un’ingiustizia divina da collocare in una sfera superiore a quella della semplice rivalità calcistica; poi li aveva umiliati con quello che sarebbe rimasto ai posteri come il Gol del Secolo (così votato nel 2002 sul sito della Fifa—qui il match completo, qui entrambi i gol col commento in inglese).

Eppure, nello stadio Azteca di Città del Messico, decorato dall’ombra stellata dello speaker sospeso al centro del campo, un inglese più degli altri era in grado di apprezzare la crudele bellezza di quanto accaduto. 

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“Sono entrato nel secondo tempo contro l’Argentina nell’86, a quel punto però Maradona aveva già mostrato la sua magia. Ricorderò sempre il secondo gol, quando è passato in mezzo alla nostra difesa e ha segnato e io e John Barnes siamo rimasti seduti in panchina con la bocca aperta. Ray Wilkins si è alzato in piedi e ha detto: ‘Non vedrete un gol più bello di questo, mai più;’ io avrei voluto applaudire—ovviamente non potevo, ma cavolo se avrei voluto.”

Nel 1986 Chris Waddle aveva 26 anni e anche lui era considerato magico (a quei tempi dai tifosi del Tottenham) per la sua abilità nel dribbling. Nell’intervista al Telegraph del 2001 da cui è tratta la citazione sopra, spiega come abbia imparato da piccolo nel campetto vicino casa a far passare il pallone in mezzo a selve di gambe nemiche e teletrasportarsi indenne alle loro spalle: “Di solito giocavamo 40 contro 40; uno aveva la maglia del Manchester United, uno quella del Barcellona, uno era in maglietta bianca, un altro ancora con l’uniforme di scuola. Finché non avevi capito esattamente chi stava in squadra con te la cosa più semplice da fare era dribblare tutti quanti. È stato molto educativo. Oggi, certo, un allenatore ti direbbe che quello è il modo sbagliato di imparare a giocare a calcio. Io non sono d’accordo.”

A Four Four Two dice che a otto anni faceva i tunnel a gente di 20 e che questo gli ha procurato qualche calcio in più della norma. Nell’intervista del Telegraph ricorda anche però che dentro di sé non riusciva a non ridere ogni volta che faceva un tunnel a qualcuno.

Qui sotto, Waddle umilia Ryan Giggs:

Cresciuto nel nord-est dell’Inghilterra, tra Sunderland, della cui squadra era tifoso fin da piccolo, e Newcastle, città che per prima gli ha dato l’opportunità di diventare professionista. Non molti anni prima del mondiale messicano, a dir la verità. Quando i Magpies lo hanno messo sotto contratto, nel 1980, aveva già vent’anni. Prima, come i media inglesi non dimenticheranno mai di ricordare parlando di lui, lavorava in una fabbrica di salsicce. Dopo essere stato scartato dal Coventry a 16 anni, giocava tra i dilettanti del Tow Law Town e aveva usato entrambe le settimane di ferie che gli concedevano in fabbrica (“Non ho mai fatto le salsicce, solo il condimento”) per fare uno stage/provino col Sunderland. Poi si era affacciato il Newcastle offrendogli a sua volta una settimana di prova ma, avendo finito le ferie, Waddle aveva dovuto aspettare l’anno successivo.

Siccome c’è anche del bello nella vita di provincia, questi sono gli spalti del Tow Law Town:

Una delle ragioni per cui Chris Waddle divenne celebre a metà anni Ottanta (e, devo ammetterlo, per cui ho cominciato a interessarmi a lui) è il mullet. Come qualcuno ha suggerito  lo si potrebbe definire il taglio “alla MacGyver”, ma forse sarebbe più corretto dire “alla Waddle”, dato che lui lo ha sfoggiato sicuramente prima del primo episodio del telefilm che è del 1985.

L’invenzione del mullet fu un atto scaramantico dopo un paio di infortuni. “Ero a Newcastle quando l’ho fatto per la prima volta e dopo, mentre correvo in campo, sentivo che in tribuna si chiedevano gli uni con gli altri cosa avessi fatto ai miei capelli. Poi durante la partita vado a battere un fallo laterale e uno mi fa: ‘Oh, Chrissy, si può sapere che razza di taglio di capelli è?’ Due settimane dopo giochiamo di nuovo in casa, la palla esce in fallo laterale ma stavolta nessuno mi prende in giro. Mi sono girato e ho visto che l’80 percento del pubblico aveva il mullet. Tornando a casa quella sera sono passato davanti a un sacco di barbieri col cartello ‘Taglio Chrissy Waddle 5 sterline.’”

D’altra parte i calciatori non possono fare molto per distinguersi gli uni dagli altri. Ad esempio: la barba di Socrates, la maglia fuori dai pantaloncini di Best (o quella di Franco Baresi), il colletto di Cantona, la manica sì la manica no di De Rossi. Una cosa simile a quella di Waddle, coi parrucchieri che ne rivendono il taglio e il pubblico che lo emula è capitata di recente con la cresta di El Shaarawy o in Francia a Pierre-Eemrick Aubameyang. A voi verranno in mente altri esempi, ma insomma avete capite il punto.

Nel Newcastle, Waddle giocava in coppia con l’ex capitano della nazionale Kevin Keegan, famoso anche lui per una specie di permanente. E, tanto per dire, tra le varie pettinature di Balotelli nello spot Nike mandato in onda questa estate durante l’Europeo, c’è anche quella “alla Waddle”.

Tecnica e taglio di capelli erano due modi diversi di farsi notare nel panorama calcistico inglese di metà anni Ottanta (certo, se non fosse stato il giocatore che era nessuno avrebbe copiato il suo mullet). All’interno di un calcio pragmatico che Jonathan Wilson definisce come “vuoto dal punto di vista emozionale, denudato di tutta la sua bellezza” ma che aveva dato frutti al Watford di Graham Taylor e al Wimbledon di Dave Basset, i giocatori come Waddle erano delle mosche bianche.

Ma il bello non è sempre inutile. Calciava benissimo le punizioni e i suoi dribbling erano sempre finalizzati a cross più o meno pericolosi (qui quello che ha portato in vantaggio il Tottenham nella finale di Fa Cup persa 3-2 contro il Coventry nell’87). Nelle sue migliori stagioni ha segnato più di dieci gol e dirò subito che con i suoi assist ha contribuito a far vincere il pallone d’oro a Jean-Pierre Papin (in quella stessa edizione del 1991, a 31 anni, lui è arrivato decimo, secondo tra gli inglesi dopo Gary Lineker).

Mancino naturale, Waddle ha raccontato (a Four Four Two) di aver iniziato a esercitare il piede destro a 23 anni, quando l’allenatore lo aveva spostato da quella parte e tutti sapevano che sarebbe rientrato sul sinistro: “Così ho lavorato sul piede destro in palestra. Venti minuti al giorno per un paio di mesi è quanto basta a un professionista per migliorare il proprio piede debole. Mi fa ridere che in Inghilterra si pianga per l’assenza di giocatori mancini e quelli che si adattano a giocare da quella parte non si prendano 20 minuti al giorno per lavorare il loro sinistro.”

Dopo quattro anni in seconda divisione col Newcastle (la promozione al termine della stagione ’83-’84) e l’esordio in Nazionale, è stato acquistato dal Tottenham dove ha avuto come compagni di squadra (in momenti diversi) altre due eccezioni al dogma virile del calcio inglese: Glenn Hoddle e Paul “Gazza” Gascoigne. Come loro, dopo altri quattro anni passati a Londra, anche lui fu costretto a emigrare verso sud. Hoddle era andato a Monaco, Gazza, come sappiamo, andrà alla Lazio, e Waddle ha fatto parte di quell’Olympique Marsiglia che a cavallo tra anni Ottanta e Novanta secondo alcuni è stata una delle migliori squadre d’Europa (al pubblico francese, impazzito per lui, ricordava l’ala svedese Roger Magnusson).

Insieme a Hoodle, nel 1987 ha intrapreso una breve carriera pop col singolo “Diamond Lights” arrivato al dodicesimo posto in classifica. I due, col nome d’arte Glenn & Chris (forse Hoddle & Waddle sarebbe suonato troppo ridicolo) hanno cantato a Top of the Pops e in tv sembrava terrorizzato.

Guardate la sua mano sinistra:

Non so voi, ma io non riesco a smettere di riascoltarla.

Con Gascoigne (anche lui ha inciso un singolo: “Fog on the Tyne“), Waddle aveva soprattutto in comune il gusto per le buffonate (alla fine di questo video Chrissy calpesta scherzosamente Gazza dopo un gol). Il suo carisma però era un tono sotto quello del “principe clown”. Meno estremo in tutto (forse anche nel talento), si metteva le mani sul capo e le muoveva avanti e indietro come orecchie da coniglio, se cadeva in terra si metteva a nuotare a rana o con le mani dietro la testa faceva finta di farsi una pennichella: tutto qui.

Dove andava oltre rispetto a Gazza era nel considerare le buffonate parte integrante del gioco. “Mi piace intrattenere la gente, sentirmi uno showman. L’atmosfera sugli spalti ogni volta che dribblo qualcuno […] Mi piace pensare che il lunedì mattina in ufficio o nel cortile di scuola qualcuno dica: ‘Oh, avresti dovuto vedere Waddle come ha ridotto il terzino.’” (nell’intervista del Telegraph).

Arrivato all’OM a 29 anni, il momento cardine della sua carriera francese è il gol realizzato nella prima stagione contro il Paris Saint-Germain. In una partita tesa come lo scontro tra Parigi e Marsiglia, Waddle arriva da solo davanti al portiere, lo scavalca con un sombrero e, quando si tratta di spingere la palla in rete, si sente in dovere di girarsi di schiena e metterla dentro di tacco (e quasi lo sbaglia: guardando attentamente il replay si nota come la linea che separa un gesto da idolo sbruffone e un epic fail sia veramente sottile).

Vedere per credere il dribbling ubriaco con cui si prende gioco di un povero difensore del Socheaux (che ricorda la danza di Grobbelaar nella finale con la Roma del 1984).

I due clown più talentuosi del calcio inglese hanno anche condiviso una delle partite più drammatiche per la loro biografia e per la storia della Nazionale: la semifinale di Italia ’90 persa ai rigori contro la Germania.

Gascoigne, che aveva giocato una delle sue migliori gare, si fece ammonire durante i supplementari. Avrebbe saltato un’eventuale finale e le immagini in cui sembra che stia per piangere (e lo farà davvero qualche minuto dopo, quando la partita sarà finita) restano alcune delle più belle di sempre. Gary Lineker gli si avvicina, vede che c’è qualcosa che non va e si rivolge alla panchina: “Keep an eye on him.” Questa fragilità di Gazza è alla base del nostro amore per lui, ma in quella partita era riuscito a gestirla e in qualche modo era arrivato fino alla fine.

Waddle invece aveva avuto l’occasione di chiudere la partita a pochi minuti dal fischio finale, ma il suo diagonale sinistro si era fermato sul palo.

Poi ha sbagliato l’ultimo rigore. E le immagini di Lothar Matthäus che lo consola mentre i suoi compagni esultano vanno insieme a quelle di Gazza di cui ho parlato sopra.

Uccello raro troppo delicato per le temperature britanniche, almeno secondo alcuni, un lusso per la mentalità inglese, o forse addirittura trentenne finito, Chris Waddle con l’OM di Bernard Tapie ha vinto tre campionati di seguito e perso la finale di Coppa Campioni nel 1991 contro la Stella Rossa di Belgrado. Ai rigori, dopo aver dominato e dopo che Waddle in persona aveva avuto due occasioni di testa. Questa volta però non è andato sul dischetto. “Non ho tirato perché avevamo già cinque rigoristi. Quello che ha sbagliato, Amoros, non ne aveva mai sbagliato uno prima. Ha cambiato idea [su come tirarlo] durante la rincorsa, e questo fa capire quanta pressione in quei momenti possa sentire anche uno specialista dei calci di rigore.” (In Four Four Two).

Di quell’edizione di Coppa Campioni (l’anno successivo avrebbe vinto l’OM, ma senza di lui) preferisce ricordare di quando, nel ritorno dei quarti di finale contro il Milan (all’andata aveva fatto questo splendido assist per Papin), ha ridicolizzato un giovane Paolo Maldini. Dopo che il terzino con la faccia d’angelo lo aveva colpito alla testa, Waddle aveva giocato per qualche minuto in stato confusionale e quando un cross dalla sinistra, prolungato di testa da Papin, gli era caduto sul destro un metro dentro l’area di rigore, lui non era ancora tornato in sé. In un servizio di un’ora a lui dedicato, Magic Waddle (il link ha uno strano doppiaggio francese ma l’originale è inglese), dice addirittura di non conservare memoria del gol che lui stesso ha segnato (ma solo delle immagini riviste in tv). Non so come sia possibile colpire una palla al volo con tanta precisione senza avere possesso delle proprie capacità intellettive, ma se lo dice lui. Un aneddoto del genere, anche se inverificabile, serve comunque  a testimoniare l’idea di fondamentale naturalezza che Waddle associa al suo talento (naturalezza, più il lavoro fatto in palestra a 23 anni).

In quella stessa partita (poi finita 3-0 a tavolino per la storia del riflettore che si spegne e Galliani in campo a sbracciarsi per far uscire i giocatori sperando in una ripetizione dell’incontro—storia che sarebbe finita con la squalifica per un anno del Milan dalle coppe), stava per segnare uno dei gol più belli di sempre, se non fosse caduto a terra a pochi metri dalla linea di porta (non si capisce se Sebastiano Rossi lo tocca, ma lui non protesta).

Fail.

Nel video del 1991 in cui canta “We got a feeling” insieme al compagno di squadra Basile Boli, in compenso, sembra più sciolto rispetto ai tempi di Glenn & Chris.

Dopo il mondiale italiano viene ignorato dal nuovo allenatore della Nazionale, Graham Taylor, lo stesso Taylor del Watford, non a caso. “Ma Platini [che fino all’Europeo del ’92 ha allenato la Francia] dichiarò che se Hoddle e Waddle fossero stati francesi lui li avrebbe convocati ad occhi chiusi,” ricorda lui stesso.

Tornato in Inghilterra nella stagione ’92-’93, perde due finali, League Cup e FA Cup (qui una sua splendida punizione in semifinale nel derby contro lo Sheffield United) entrambe contro l’Arsenal. Alla fine di quella stagione la Football Writers Association lo vota Giocatore dell’anno e Waddle resta in Premier League con lo Sheffield fino a 36 anni. Poi inizia una serie di pellegrinaggi in squadre sempre più improbabili, compreso un breve periodo da calciatore/tifoso al Sunderland, continuando a giocare anche dopo i 40. Il che non significa che non fosse più in grado di fare magie.

Tipo un gol col Bradford da centrocampo, contro l’Everton in FA Cup (’97):

 O un gol a calcetto che se lo faccio io muoio felice:

Ricapitolando brevemente: Waddle ha lavorato in una fabbrica di salsicce, ha assistito alla Mano di Dio e al Gol del Secolo dal campo, ha cantato a Top of the Pops, ha colpito un palo e sbagliato un rigore nella semifinale di un Mondiale, ha vinto tre scudetti in Francia e perso quattro finali in tutto, tra cui una di Coppa dei Campioni, ha cantanto con Hoddle, scherzato con Gascoigne e preso in giro Maldini, a 33 anni è stato votato dai giornalisti inglesi miglior giocatore del campionato, ha giocato più o meno 600 partite e segnato più di 100 gol.

Ai tempi dell’intervista del Telegraph, Chris Waddle era un giocatore del Worksop Town (ottava o nona divisione). “Non posso andare avanti all’infinito—probabilmente smetterò a 50—ma io amo giocare a pallone. È semplice. Lo scorso anno giocavo nella campionato dei pub di Sheffield, quindi se vogliamo al Worksop sono salito di livello.”

Chris Waddle adesso fa il commentatore e si lamenta dello scarso tasso tecnico dei giocatori inglesi.


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