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I detenuti transgender continuano a subire violenze nelle carceri di tutto il mondo

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Quest’anno sono state numerose le storie che hanno denunciato il pessimo trattamento patito dai detenuti transgender nelle carceri inglesi e americane. 

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Solo nelle ultime sei settimane si sono verificati due decessi nelle prigioni del Regno Unito. Al di là dei singoli episodi, tuttavia, la vicenda accende i riflettori su come i penitenziari siano scarsamente preparati a far fronte alle necessità dei detenuti—e sul perché molti di loro tornano dietro le sbarre dopo aver scontato la pena.

Le testimonianze sono allarmanti. Una donna britannica che ha completato la transizione in prigione ha raccontato a VICE News di essere stata violentata da un detenuto con il permesso di una guardia carceraria. Secondo lei la porta d’accesso alle docce era stata lasciata aperta volontariamente.

Secondo una recente relazione del Dipartimento di Giustizia americano il 40 per cento dei detenuti trans ha denunciato di aver subito molestie sessuali nelle prigioni statali e federali, contro il 4 per cento della popolazione generale. Negli Stati Uniti, siamo venuti a sapere che le guardie hanno accusato alcune persone di “essersela andata a cercare”. E l’unica forma di protezione assicurata alle vittime è stato il trasferimento nelle celle di isolamento, le quali costituiscono in sé una violazione dei diritti umani associata a un alto rischio di depressione e autolesionismo.

La questione fondamentale è che molti trans non dovrebbero proprio trovarsi in prigione. Questo gruppo è sovrarappresentato nel sistema giudiziario. Negli Stati Uniti, quasi il 50 per cento dei trans di colore sono finiti dietro le sbarre. Gli esperti contattati da VICE News sostengono che questi numeri sono frutto di ripetute discriminazioni. L’avvocato Demoya Gordon che lavora per Lamda Legal, un’organizzazione che si occupa dei diritti delle persone LGBT, ha detto: “Quelli che non li conoscono, pensano che siano persone intrinsecamente cattive, che non rispettano la legge, ma in realtà così tante persone trans, soprattutto di colore, sono svantaggiate per quel che riguarda l’educazione, l’alloggio e l’assistenza sanitaria, e ciò rende le cose ancora più difficili, li porta a compiere quelli che chiamiamo ‘crimini di sopravvivenza.’”

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Nelle prigioni del Regno Unito sono rinchiusi un centinaio di transgender, anche se il numero reale è ignoto a causa della scarsa raccolta di informazioni. La legge britannica stabilisce che un trans deve essere detenuto in un carcere che corrisponde al sesso del suo certificato di nascita o di un Certificato di Riconoscimento di Genere, che può essere richiesto dopo aver vissuto con il sesso acquisito per due anni. Vicky Thompson e Joanne Latham, le due trans trovate morte nelle proprie celle a poche settimane di distanza l’una dall’altra, non avevano questo certificato e, di conseguenza, erano state mandate in un penitenziario maschile.

Tuttavia, la legge dice anche che un transgender può chiedere di essere detenuto in una prigione di sesso opposto, indipendentemente dal certificato e nei casi in cui è chiaro che il prigioniero viveva come una donna. Per far trasferire Tara Hudson, una make-up artist 26enne, dalla prigione maschile c’è voluta una petizione firmata da oltre 150.000 persone. “Mi chiamavano ‘ragazza con il cazzo,’ ‘trannie,’ ho anche sentito uno dire, ‘le dovrebbero sparare’,” ha detto Hudson, descrivendo un ambiente iper-sessualizzato nel quale temeva di essere violentata.

Helen D sostiene campagne su questo tema da oltre 15 anni, ed è anche stata la prima donna trans a lavorare nel Servizio di Libertà Vigilata del Regno Unito. “Se una trans viene trasferita in una prigione maschile, si organizza un incontro tra le parti, ma si tratta di una valutazione, non di una scienza infallibile. È una stima. A volte si sbaglia a percepire il livello di rischio.”

In risposta a questi casi, il governo sta ponendo l’attenzione sui diritti dei trans all’interno del sistema carcerario, raccogliendo le testimonianze delle varie parti. Nel corso di una seduta della House of Commons del Parlamento inglese, Cat Smith, il ministro ombra per le donne, ha raccontato la storia di una donna trans, che è così disperata da aver iniettato candeggina nei suoi testicoli e aver tentato di asportarsi lo scroto da sola.

Jenny Anne Bishop, invece, è un’attivista britannica che, dopo la transizione, ha dedicato la propria vita a sostenere la causa dei trans, oltre a far parte di un forum che fornisce consulenze al governo. Il suo desiderio è quello di avere una sezione dedicata ai trans nelle carceri del Regno Unito, nel quale sia garantita assistenza medica e la presenza di gruppi di supporto.

“Mi chiamavano ‘ragazza con il cazzo,’ ‘trannie,’ ho anche sentito uno dire, ‘le dovrebbero sparare’”

Helen non è d’accordo. Non crede sia possibile creare una sezione separata per meno di 100 persone, e la distanza geografica che si verrebbe a creare tra gran parte dei detenuti e i propri cari causerebbe disagi enormi. Ward pensa che le carceri dovrebbero semplicemente migliorare, così che, “se qualcuno vive come una donna, il presupposto sia che vada nelle prigioni femminili.”

Ma Bishop ha detto a VICE News che secondo lei per il Ministero della Giustizia non è facile decidere dove sistemare i detenuti trans. Parte del problema è che il corpo di un trans spesso non “si accorda” con la sua identità sessuale. La transizione spesso può durare molti anni, e il grado di cambiamento fisico varia da persona a persona.

“Non è così semplice come mettere gli uomini nelle carceri maschili e le donne in quelle femminili. Ci potrebbero essere dei problemi. Mettere un uomo con un corpo femminile nella sezione maschile è un grosso rischio.”

Negli Stati Uniti il problema è ancora più serio. Nel paese è diffusa una cultura di brutalità coltivata dalle guardie nei confronti dei detenuti come metodo di controllo. Una circostanza che non cambierà finché gli stati non prenderanno seriamente in considerazione le accuse di violenza.

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La legge principale che dovrebbe proteggere i diritti dei prigionieri trans è il Prison Rape Elimination Act (PREA), il quale richiede agli stati americani di “prendere provvedimenti per eliminare l’abuso sessuale delle persone in carcere.” Ma l’attuazione del decreto ricade sui singoli stati e questo non è accaduto ce n’è più bisogno.

In Texas, Lambda Legal ha intrapreso con successo una battaglia legale a favore di Passion Star, una donna trans che aveva subito numerosi abusi sessuali in sette penitenziari diversi. “Continuavano a dirle che se la tirava addosso, e che avrebbe dovuto combattere, fare sesso, o compiere atti sessuali per rimanere al sicuro,” ha detto Gordon a VICE News. Il Texas si è rifiutato di implementare il PREA insistendo che la propria legislazione garantisce già il trattamento sicuro dei detenuti.

Jesse Lerner Kinglake del gruppo per i diritti umani Just Detention International ha detto che ogni anno l’organizzazione riceve quasi 2.500 lettere che denunciano violenze sessuali nelle carceri. Un quinto di queste provengono dal Texas.

Il PREA prevede una valutazione del miglior luogo a cui assegnare un detenuto, e dovrebbe essere presa in considerazione anche l’opinione della persona stessa. Ma Gordon ha detto a VICE News che la grande maggioranza degli stati fanno prendere le decisioni a staff non qualificato. Passion Star è stata piazzata in una prigione maschile e gli è stata negata la terapia per la disforia sessuale. Gordon sostiene che molte strutture vietano qualsiasi tipo di trattamento, provocando così esperienze terribili quando i corpi tornano al proprio stato originale.

In giro per il mondo si trovano casi simili. In Nuova Zelanda è in corso un’indagine sulle accuse di stupro mosse da una donna trans detenuta in una prigione maschile del South Auckland, gestita dalla società britannica Serco. La prigioniera era stata rinchiusa nella sezione mista del penitenziario; il suo presunto aggressore è il suo compagno di cella, con il quale condivideva un letto a castello.

Il prossimo 22 gennaio verrà celebrata la prima Giornata d’Azione per i Prigionieri Trans – un evento internazionale per esprimere solidarietà con i detenuti transessuali.

Gli abusi non avvengono solo nelle carceri, ma sono frutto di un pregiudizio sistemico che scorre attraverso il sistema giudiziario. Gli appaltatori privati rappresentano un problema particolare, dato che non sono tenuti a rispettare lo stesso codice professionale delle guardie carcerarie.

All’inizio del 2015, nel corso di un’ispezione dei tribunali del Sussex e del Surrey, un detenuto trans è stato chiamato “la cosa” e “quello” da un funzionario mentre aspettava di entrare in aula. 

L’ufficiale era stato assunto dalla società privata GeoAmey, la quale nel 2011 aveva vinto un appalto pubblico decennale del valore di 900 milioni di sterline (1.2 miliardi di euro) spalmati su dieci anni per fornire i servizi di trasporto dei detenuti dalle prigioni. La compagnia è sotto tiro perché i suoi “agenti” hanno permesso ad alcuni detenuti di fuggire, guidando i fungoni con la portiera posteriore aperta, e dicendo alle persone che dovevano sorvegliare che avevano solo “il diritto di respirare.”

Per i trans che si trovano nel sistema di accoglienza per gli immigrati, le condizioni possono essere ben peggiori, dato che l’operato dei centri di detenzione non è soggetto allo stesso livello di scrutinio pubblico delle prigioni.

“I trans nei centri di detenzione sono molto vulnerabili. Si trovano in isolamento e sono vittime di abusi, bullismo e molestie,” ha dichiarato Paul Dillane, direttore esecutivo di UK Lesbian and Gay Immigration Group, un’organizzazione che rappresenta circa 1.500 richiedenti asilo LGBT. Dillane ha detto a VICE News che gli aggressori spesso provengono dallo stesso paese delle vittime, infliggendo lo stesso tipo di violenza dal quale cercano di sfuggire.

“Passo 20 ore al giorno nella mia stanza. Non posso uscire, quando lo faccio ridono di me. Mi indicano e ridono perché sono un trans,” ha dichiarato Farah, un richiedente asilo iraniano, in un comunicato presentato da Dillane a un’inchiesta parlamentare che indaga sul trattamento dei trans, compresi quelli che si trovano nel sistema di giustizia criminale. Dillane sta facendo pressioni affinché anche i richiedenti asilo vengano inclusi. Fondamentalmente, l’attivista vorrebbe vedere una netta riduzione dei richiedenti asilo che finiscono in detenzione, con l’introduzione di un limite temporale alla loro permanenza.

‘Molte persone trans si trovano in prigione per aver commesso reati molto violenti, spesso causati dalla frustrazione. ‘

Adam è un trans 23enne che ha richiesto asilo dall’Egitto dove aveva subito orrende violazioni dei diritti umani. “Credo che sarei morto se fossi rimasto in Egitto. Venivo abusato ogni giorno; le minacce di torture e stupro erano reali. La gente mi afferrava per strada per vedere se fossi un uomo o una donna,” ha detto Adam. “La mia richiesta d’asilo è stata rifiutata tre volte. All’inizio non avevo neanche un avvocato. L’Home Office (Ministero dell’Interno) si è rifiutato di credere che io sia un trans, mi hanno trattato come un bugiardo. Continuavano a riferirsi a me come a una donna. Mi sentivo come se mi stessero attaccando.” Dillane ha detto a VICE News che ai trans viene spesso rifiutato l’asilo perché non sono in grado di dimostrare la loro identità sessuale.

Tuttavia l’opinione pubblica è sempre più vicina alle difficoltà subite dai trans all’interno del sistema giudiziario. Negli Stati Uniti questo può riflettere una presa di coscienza sull’atteggiamento prevenuto e aggressivo tenuto dai poliziotti nei confronti di altri gruppi, tra cui gli uomini di colore. Ma l’opinione pubblica e i politici si stanno anche rendendo conto che mettere sempre più persone dietro le sbarre impedendogli di rifarsi una vita rappresenta un costo enorme per la società, anche solo in termini economici.

“Molte persone trans si trovano in prigione per aver commesso reati molto violenti, spesso causati dalla frustrazione. Se sei emarginato dalla società, e vieni abusato verbalmente e fisicamente non ti interessa quello che dice la società,” ha spiegato Helen. Ha poi raccontato la storia di una persona con cui lavorava, che era stata derisa dal personale di un ospedale. La donna ha poi lanciato degli oggetti per la stanza e per questo motivo è stata messa in libertà vigilata. Ward, tuttavia, crede che sia stata provocata. Se dovesse commettere un altro reato, specie se uno violento, quella persona potrebbe finire in prigione.

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Helen sostiene che ricevere sostegno sia all’interno che dall’esterno delle prigioni è essenziale. Dei 20 trans detenuti che ha aiutato negli ultimi 8-10 anni, solo due o tre sono stati recidivi entro due anni, mentre il dato nazionale del Regno Unito raggiunge il 50 per cento. “Gli abbiamo mostrato che essere trans non significa venire esclusi dalla società.”

Ma Helen ha anche ammesso che i tagli imposti al sistema giudiziario potrebbero far naufragare le speranze di un lavoro più progressista, specialmente per i direttori di prigione. Bishop ha fatto riferimento a un’iniziativa dell’Isola di Wight dove ai trans è stata dedicata una sezione del carcere dove si può ricevere sostegno da gruppi locali e assistenza medica specialistica.

“La vita della maggior parte delle persone trans migliora dopo la transizione,” ha detto Bishop. Lei crede fermamente che mettere i trans nelle prigioni appropriate e aiutarli durante la transizione sia un vantaggio economico per i governi. “Se tratti meglio i prigionieri, è meno probabile che commettano altri reati. Non è questa la ragione d’esistere delle prigioni?”


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Foto di H. Michael Karshis via Flickr